RITAGLI DI GIORNALE – 15.02.2015 di Malachia di Armagh
A metà gennaio la Commissione Europea ha varato il cosiddetto Piano Juncker – presentato a novembre alla plenaria del Parlamento Ue e approvato a dicembre dal Consiglio europeo – che potrebbe non avere ancora assunto la sua formulazione definitiva ma le cui prospettive appaiono già adesso particolarmente confuse e fumose. Teoricamente, molto teoricamente, il piano dovrebbe mobilitareinvestimenti pubblici e privati per 315 miliardi di europer sostenere la crescita e l’occupazionein Europa, puntando su settori strategici comele reti energetiche e labanda larga. Ma a tutt’oggi a quanto pare il Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS) di Juncker sarà formato da 21 miliardi di euro, di cui 5 miliardi provengono dalla Banca europea per gli investimenti (Bei) a cui vanno aggiunti gli 8 miliardi, per il momento virtuali, del bilancio dell’Unione europea. Attraverso un complesso sistema di alchimia finanziaria, legato a “garanzie” monetarie della Bei e ipotetiche nuove fonti di investimento, ai 21 miliardi dovrebbero aggiungersene prima sedici, poi sessanta e poi …. non mettiamo limiti alla provvidenza. Importante -se fosse vera, al di là di questo balletto di cifre- potrebbe essere considerata l’affermazione di Juncker il quale avrebbe confermato che:
<<“i contributi degli Stati” al nuovo Fondo di investimenti “saranno fuori dal deficit e dal debito“. “Non tradiremo le regole del Patto di Stabilità perché è una questione di credibilità”, ha precisato, ma “non terremo conto dei versamenti che saranno fatti dagli Stati nel Fondo nei calcoli del Patto” su deficit e debito. Il piano ha l’obiettivo di finanziare nuove infrastrutture, innovazione tecnologica, trasporti, scuola, sanità e di promuovere l’efficienza energetica. [da www.direttanews.it, firmato V.B.]>>
Ultima importante precisazione:al FEIS potranno partecipare sia gli Stati membri, che soggetti terzi, quali banche di promozione nazionali o enti pubblici di proprietà dei Paesi Ue da essi controllati, attori del settore privato e soggetti extra-Ue. Per un commento e una critica, parziale, possiamo prendere in considerazione Alberto Quadrio Curzio che ha scritto, a proposito di quello che a suo dire è il “non-piano Juncker”, (Sole 24 ore-09.12.2014):
<<la Cancelliera Angela Merkel incalza criticamente Italia e Francia perchè facciano ulteriori riforme. Da quest’ultima critica bisogna partire per una richiesta dura alla Germania, già al prossimo vertice europeo, per un vero rilancio degli investimenti della Eurozona.[…] il Piano è […] debole perché mobilitare 300 miliardi di investimenti in tre anni sulla base di una garanzia tra i 13 e 21 miliardi di euro e con un moltiplicatore di 15 è molto più che una scommessa. Al massimo il piano potrà essere un rafforzamento dei programmi Bei e dei bilanci comunitari 2014-2020. Ci vuole ben altro di fronte ad un crollo degli investimenti che nel solo 2013 si aggira tra i 230 e i 370 miliardi di euro rispetto a quelli che si sarebbero avuti se il trend di crescita pre-crisi fosse continuato. Juncker ha però il merito di aver posto l’urgenza di rilanciare gli investimenti per contrastare quella miscela di recessione, deflazione, stagnazione che rischia di asfissiare l’Europa.>>
Insomma se in qualche maniera l’azione combinata del “piano Juncker”, pur con tutte le sue manchevolezze, e dell’”alleggerimento quantitativo” (QE) promesso da Draghi servisse in qualche modo a bypassare il blocco della spesa pubblica e la paralisi del credito all’economia reale si potrebbe sperare che un impulso alla crescita venga in qualche modo a prodursi. Quadrio Curzio però ha in mente una ulteriore iniziativa. Si tratterebbe di un azione che dovrebbe partire dall’Italia e dalla Francia per dare vita a un ulteriore piano di investimenti fondato su due pilastri: una garanzia aurea e la riforma del fondo Esm. A questo proposito sembra proprio che Germania e Olanda stiano cercando, con scarso successo, di riportare in patria le loro riserve ufficiali depositate soprattutto presso la Fed. Questo fatto dovrebbe far riflettere l’economista su alcune questioni importanti ma Quadrio Curzio invece insiste nel rilevare che
<<i Paesi della Eurozona sono i principali detentori di oro ufficiale al mondo con circa 330 milioni di once che diventano 347 con quelle della Bce mentre gli Usa ne hanno circa 260 milioni di once. L’oro ufficiale pro-capite della Uem supera quello Usa del 20%, quello della Germania lo supera del 64%, quello dell’Italia del 60%, quello della Francia del 50%. Usare 100 milioni di once come garanzia di un Fondo europeo per gli investimenti è fattibile, senza altri calcoli.>>
Questi 100 milioni di once equivarrebbero a circa 100 miliardi di euro che dovrebbero venire conferiti all’Esm, il fondo salva-stati (1), il quale dovrebbe emettere dei “gold-bonds” che potrebbero essere acquistati dalla Bce e
<<che andrebbero a finanziare gli investimenti infrastrutturali(materiali ed immateriali)strategici europei da decidere e governare con norme e professionalità europee per evitare strettoie nazionali. L’esito sulla crescita e sull’occupazione sarebbe ben più certo del prefigurato acquisto di titoli di stato di Paesi della Uem da parte della Bce.>>
Secondo l’economista l’ostacolo a questa proposta italo-francese potrebbe arrivare ancora una volta dalla Germania che dovrebbe accollarsi la quota maggioritaria nel conferimento del metallo aureo. Ai tedeschi bisognerebbe ricordare, così egli afferma, che la ripresa della crescita è la priorità assoluta per la Ue e che siccome il Trattato Ue vigente non ha impedito la rapida approvazione del Fiscal Compact e del Esm anche in questo caso si potrebbe agire presto e bene. Da parte nostra vorremmo, in conclusione, ricordare al professore che la Germania per mantenere la sua supremazia all’interno dell’Unione non può accettare “condivisioni” di bilancio e/o di debito con i partner Ue oltre certi limiti; se accettasse di “aiutare” gli altri paesi, al di là del limite imposto dai suoi interessi nazionali rischierebbe di impantanarsi, di perdere dinamicità e quindi la sua attuale posizione, subordinata agli Usa ma con un ruolo importante, nell’arena globale.
(1)Al fondo salva-stati sono strettamente collegate, fino ad adesso più in teoria che in pratica, le OMT: << Le OMT consistono nell’acquisto diretto da parte della BCE di titoli di stato a breve termine emessi da paesi in difficoltà macroeconomica grave e conclamata (requisito di condizionalità)[5]. La situazione di difficoltà economica grave e conclamata è identificata dal fatto che il paese abbia avviato un programma di aiuto finanziario o un programma precauzionale con il Meccanismo Europeo di Stabilità (Esm).[6] La data di avvio, la durata e la fine delle OMT sono decise dal Consiglio direttivo della BCE in totale autonomia e in accordo con il suo mandato istituzionale.>> [da Wikipedia]
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Mario Platero (Il Sole 24 ore-14.02.2015) scrive:
<<Ci sono tre ragioni che rendono assurdo questo conflitto in Ucraina. La prima: la Guerra Fredda è finita. […] La seconda: c’è un vero nemico che dovrebbe unire Mosca, Washington e le capitali europee: l’Isis. Infine, la ripresa. Ha cominciato a far capolino: la settimana scorsa ho visto Sergio Marchionne a New York ed era per la prima volta ottimista sul futuro dell’Italia e dell’Europa. Persino Jason Furman, capo economista della Casa Bianca, che ho incontrato in un’altra occasione era positivo: “Dovete rilanciare il consumo e ce la farete, siete a un passo dal farcela”. Come ? Prezzi del greggio bassi, competitività dell’euro, iniezioni di liquidità dalla Bce, riforme che comunque stanno arrivando hanno cambiato il paradigma. Volevamo davvero rovinare tutto con una guerra in campo aperto? Se la tregua tiene, le sanzioni alla Russia (carissime per noi) saranno tolte, riprenderà l’interscambio; il Fondo Monetario darà 17,5 miliardi di dollari a Kiev e le prospettive per la crescita in Europa saranno rafforzate. Razionalmente cercare una tregua, anzi, di più, costruire una piattaforma per la pace era l’unica cosa da fare. Ma l’irrazionalità è sempre in agguato…>>
Ci sarebbe stato da aspettarsi qualcosa di più da un giornalista specializzato in economia e finanza ma anche membro dell’Institute for International and Strategic Studies (IISS) di Londra. Speravamo di poter intravvedere una comprensione, almeno parziale, della differenza tra interessi strettamente economici e interessi geopolitici, tra la razionalità dell’homo oeconomicus e la razionalità strategica applicata alle relazioni internazionali. Nel conflitto multipolare a volte è necessario sostenere costi economici anche rilevanti finalizzati al mantenimento di determinate posizioni sulla “scacchiera”; posizioni da cui sarà poi possibile operare una controffensiva che potrà dare dei risultati anche economici ma soprattutto una ulteriore autonomia di movimento e capacità di gestire i nuovi conflitti che verranno a presentarsi e di stabilire nuove alleanze. Ma non andiamo oltre perché si tratta di temi che non possono essere trattati in una rubrica come questa.