RITAGLI DI GIORNALE – 15.03.2015 di Malachia di Armagh
Sul Sole 24 ore (04.03.2015) Antonella Scott intervista Aleksej Uljukajev, ministro russo dello Sviluppo economico:
<< Debolezza del rublo, inflazione, prezzi del petrolio, sanzioni, indebitamento delle imprese: qual è l’elemento che la preoccupa di più per le conseguenze che sta avendo sull’economia russa?
Vede, ogni medaglia ha due facce. La crisi non significa solo tempi duri per le famiglie e le imprese, è anche una sfida. Porta nuove possibilità: la produzione è ridimensionata dalla svalutazione. E queste due cose – la svalutazione che incide sull’inflazione, l’inflazione che cresce – assottigliano ogni giorno i redditi reali, così si riduce la domanda di beni di consumo come motore per la crescita. Ma d’altra parte, poiché diminuiscono i costi di produzione delle imprese, crescono i loro profitti, diventano fonti di investimento. Dobbiamo aumentare le esportazioni nette, soprattutto attraverso le produzioni che sostituiscono l’import. La chiave è aumentare la domanda di investimenti, utilizzare le risorse e la domanda del governo. Naturalmente, sono cruciali i tassi di interesse>>.
Aumentare le esportazioni nette significa prima di tutto ridurre le importazioni tramite lo sviluppo di alcuni rami decisivi dell’industria nazionale. Sarà necessario, anche, adottare misure protezionistiche come sempre accade quando si voglia sfuggire ai vincoli dannosi indotti dai meccanismi perversi della globalizzazione, che non è un evento di origine recente ma che si ripete e riconfigura – a partire dal decollo della prima Rivoluzione Industriale – sempre a vantaggio della/e potenza/e egemone/i a livello mondiale in un dato momento. A questo proposito sarà bene ricordare, per inciso, alcune constatazioni sostanzialmente banali ma spesso sottovalutate. L’economicismo tende a proporre come criterio per valutare la “potenza” di una formazione sociale particolare il Pil, i profitti, il valore aggiunto creato all’interno di un paese e quindi dalle imprese e dalle industrie principali di questo paese medesimo. In sostanza la vulgata dei “sinistri” continua a ribadire che il fine principale della società capitalistica è il profitto; ma quando si dice questo si intende, per lo più, una certa quota di capitale monetario convertibile in una quantità di merci che possiamo chiamare “ricchezza” o “reddito”. L’”uomo della strada”, con il quale mi identifico – eccettuati quei momenti di “lucidità” che ogni tanto sopravvengono – e che è normalmente un lavoratore a basso-medio reddito o un pensionato arriva sempre, a questo proposito ad una conclusione e a una domanda: da dove proviene l’accanimento con il quale i capitalisti milionari, che possiedono grandi ricchezze, perseverano nell’accumulare, nel realizzare fusioni e acquisizioni, nello sviluppare quella dinamica di centralizzazione e concentrazione dei capitali che trasformano la concorrenza mercantile in una autentica guerra per acquisire quote di mercato e allargare le sfere di influenza ? Come si giustifica che questi milionari si impegnino in una autentica lotta per la vita e per la morte allo scopo di controllare, tramite imprese e alleanze di imprese corporate di sempre maggiori dimensioni, ingenti quantità di capitale finanziario e monetario ? Come ricorda La Grassa: il capitale è prima di tutto un rapporto sociale, una relazione tra individui che mette in moto il circolo capitale monetario/finanziario – capitale merce – capitale produttivo che incessantemente si estende e si ripete; il ciclo del capitale merce è quello che descrive meglio il processo sociale ad esso inerente perché è il momento in cui si realizza l’immagine che vede da una parte il proprietario dei mezzi di produzione e dall’altro il mero possessore di forza-lavoro. D’altra parte è la differenza, l’”opposizione” tra capitale monetario/finanziario e ricchezza/reddito, che rende conto del fatto, che spiega come, la formazione sociale capitalista e la sua dinamica fondamentale, a cui aderiscono i portatori soggettivi dei processi, non consideri il risultato “sociale” della sfera economica (fatto salvo che i beni prodotti devono comunque soddisfare bisogni umani), cioè il denaro e le merci, come un fine. E, infatti, l’obiettivo degli agenti strategici e dei funzionari del capitale non consiste nell’ottenere per una ristretta minoranza di privilegiati un benessere (materiale e non) “mastodontico” ma è quello di costruire il mezzo, che a partire dall’inizio dell’epoca della modernità classica (1648 ?) risulta essere decisivo, assieme naturalmente alla forza militare, per il raggiungimento del vero scopo: l’accrescimento della potenza, la conquista del potere e della supremazia. Tra i punti fermi per una eventuale elaborazione di un nuovo materialismo storico si potrebbe, quindi, considerare l’esistenza primigenia ( con caratteri ad un tempo naturali e sociali ), in ogni società storicamente determinata, di una “base” infrastrutturale economico-produttiva e di una forza coercitiva e militare – che mantenga l’ordine all’interno e permetta al paese di difendersi e/o di aggredire rispetto a società e entità territoriali esterne – senza le quali non potremmo sopravvivere. Se è vero che come dice Clausewitzla guerra è «la prosecuzione della politica con altri mezzi» si può affermare che l’azione politica in tutte le sue forme e la “sfera” relativa rivestono carattere strutturale e non possono essere ridotte, come affermato anche dallo stesso Marx, a forme “ideologiche” sovrastrutturali.
Il successivo passaggio dell’intervista a Uljukajev pone il problema degli alti tassi d’interesse che caratterizzano, attualmente, il sistema bancario e creditizio russo:
<< Crede che l’economia possa sostenerli a lungo ai livelli attuali (15%, ndr)?
Dipende dall’andamento del cambio e dell’inflazione. In questo momento il rublo si sta riprendendo, c’è spazio per un ulteriore apprezzamento. Ma anche l’inflazione cresce, in febbraio al 16%: ci aspettiamo un picco in aprile, dopo di che l’inflazione calerà per gli effetti della svalutazione. Così la Banca centrale avrà la possibilità di ridurre il tasso di riferimento. Ma è difficile dire quanto rapidamente>>.
Faccio fatica a capire come la svalutazione possa portare ad una diminuzione dell’inflazione. Bisognerebbe che lo chiedessi ad un economista. La riduzione delle importazioni potrebbe, come riportato in precedenza, stimolare la produzione per i consumi interni mentre la svalutazione giova evidentemente alle esportazioni ed infatti Uljukajev osserva che
<< abbiamo una bilancia corrente molto positiva, un surplus di quasi 60 miliardi di dollari quest’anno, e se la crisi e la svalutazione proseguiranno nel tempo, la bilancia dei pagamenti resterà positiva. Da un punto di vista matematico è abbastanza. Abbiamo risorse sufficienti per sopravvivere a lungo. Da un punto di vista fiscale certo, dobbiamo tenere il bilancio in equilibrio, con entrate ridotte. Ma se calcoliamo una media dei prezzi del petrolio a 70 dollari – dall’anno scorso all’anno prossimo – è certo che con questo dato possiamo tenere in equilibrio entrate e spese. Anche se poi c’è un aspetto psicologico: la gente dovrebbe cambiare abitudini, equilibrare consumi e risparmi. Lo farà? Difficile dirlo. Per questo la situazione è comunque delicata>>.
Stando ai manuali di economia sembrerebbe che il fatto più grave (e inevitabile) legato ad ogni svalutazione dipenda dal generale aumento del costo di tutte le importazioni, non solo di prodotti finiti, ma anche di materie prime e di prodotti intermedi (semilavorati) che le imprese devono importare per poter svolgere la loro attività. Questo aumento del costo di produzione dei prodotti (tenendo conto che non si devono ridurre le esportazioni e quindi è necessario mantenere inalterati i prezzi di vendita) costringe le imprese a scegliere tra ridurre i profitti, oppure ridurre il costo del lavoro. Ma di rado i profitti sono tanto elevati da tollerare una riduzione consistente: se diventano troppo bassi gli imprenditori si ritirano dal mercato o investono all’estero, e quindi cresce la disoccupazione interna. Non resta che ridurre il costo del lavoroe quindi i salari. Ma i salari reali in Russia sono stati già indeboliti dall’alta inflazione e un ulteriore abbassamento potrebbe provocare una crisi sociale. Ovviamente gli Usa e i loro servi all’interno della UE non aspettano altro.
Nella restante parte dell’intervista il ministro russo accenna alle sanzioni e alla necessità di riattivare l’interscambio commerciale tra Russia e Ue. E’ necessario che aumenti la domanda di beni di consumo e che arrivino nuovi investimenti dall’estero ma “perché gli investimenti crescano, abbiamo bisogno di un clima per gli investimenti migliore. Mi riferisco alla protezione della proprietà, al rispetto della legge, alla riduzione dei costi delle transazioni.”
L’ultima domanda ha come risposta un appello e una esortazione agli operatori economici italiani:
<<Quali potrebbero essere i settori più promettenti?
Le infrastrutture, dove sono concentrati gli investimenti russi, pubblici e privati. Invitiamo le compagnie italiane a partecipare ai grossi progetti nel settore automobilistico, ferroviario, i porti. La storia di South Stream è finita ma ci sono altre possibilità, come il Turkish Stream. Abbiamo discusso di forniture con Serbia e Ungheria. Le compagnie italiane possono partecipare, benvenute!>>