ROTTA DI COLLISIONE

Che i settori produttivi italiani siano enormemente frammentati è francamente il segreto di Pulcinella. Si tratta effettivamente di una realtà sotterranea, carsica, sviluppatasi sotto traccia per svariati decenni fino a emergere fragorosamente all'inizio degli anni Novanta, quando le riunioni tra "tecnici" di governo e finanzieri anglosassoni andarono a sommarsi agli attentati eversivi contro esponenti istituzionali di primo piano (Falcone e Borsellino) e al tentato putsch giudiziario in cui la procura milanese guidata da Francesco Saverio Borrelli funse da braccio armato della grande finanza statunitense e della subordinata Confindustria agnelliana, innescando una sinergia negativa che portò alla disintegrazione dell'asse DC – PSI e alla conseguente caduta della cosiddetta "Prima Repubblica".

La retorica moralista mediante la quale i grandi imperi editoriali di riferimento dei poteri forti ("Corriere della Sera", "La Stampa") in combutta con quelli legati al duo Eugenio Scalfari – Carlo De Benedetti martellarono l'opinione pubblica fece in modo da orientare l'attenzione generale sull'arcinota realtà tangentizia che governava il paese distogliendola dal massiccio piano eversivo in questione che stava portando al totale smantellamento dell'industria strategica italiana, che era rimasta in mano pubblica fin da quando l'abile Alberto Beneduce era riuscito a risanarla tirandola fuori dalla crisi del 1933.

Il gotha del capitalismo privato italiano, avvinghiato come nessun altro all'assistenza perché a corto di capitali e quindi endemicamente allergico alla concorrenza, respinse al mittente la proposta di riprendersi, seppur per i consueti "due soldi", le industrie fresche di risanamento, etichettate come "carrozzoni" improduttivi. Lo Stato si trovò a quel punto titolare di un ingente patrimonio industriale, che protagonisti indiscussi dell'immediato dopoguerra come Enrico Mattei seppero valorizzare e sviluppare a dovere al fine di attizzare la concorrenza con i privati mantenendo bassi i prezzi. Il ruolo dell'industria strategica pubblica risultò effettivamente cruciale nell'ambito della crescita economica italiana, poiché stimolò la piccola impresa – parte essenziale del tessuto produttivo nazionale – che ebbe così modo di acquisire prestigio e "peso" sociale.

La grande industria privata, quella della socializzazione delle perdite e della privatizzazione dei profitti, ha tentato in ogni modo di erodere il meccanismo regolatore del circolo virtuoso innescato dall'industria pubblica esternalizzando varie fasi della produzione a una parte dei suddetti settori dell'indotto e spingendo per la composizione dei contenziosi tra PCI e DC che sarebbe poi dovuta sfociare nel sedicente "compromesso storico" mediante il quale sarebbe stato integrato il blocco popolare di riferimento del PCI nei torbidi disegni di potere, spianando conciò il terreno per esercitare pressioni fortissime sui governi affinché sfruttassero l'ottuso operaismo dei sindacati per promuovere il metodo triangolare della "concertazione".

Lo spauracchio del terrorismo "rosso" e "nero" portò molta acqua al mulino di coloro che premevano per la formazione di un "fronte nazionale" e l'accordo della "scala mobile" (1975) tra Giovanni Agnelli e Luciano Lama funse da preambolo a tutte le nefandezze che avrebbero avuto luogo negli anni a venire. In base a tale intesa, si indicizzò la remunerazione salariale all'aumento dei prezzi, "sbattendosene" beatamente delle relative ripercussioni inflazionistiche sortite dal meccanismo innescato. In questo modo i miopi sindacati ebbero modo di sentirsi garanti del riscatto dei loro assistiti e placarono le rivendicazioni della "classe operaia", tacciando nel contempo di fascismo quanti si azzardassero a puntare il dito contro il circolo vizioso sancito con ratifica dell'accordo.

Questa offensiva sferrata dall'industria privata nei confronti di quella pubblica godette dell'appoggio di specifici ma predominanti settori del PCI legati all'ala berlingueriana, responsabile del voltafaccia filostatunitense non troppo bene nascosto dalla sedicente "questione morale", tirata presumibilmente in ballo per impedire che venissero compresi a pieno i termini del "cambiamento di campo" allora in atto. L'eliminazione a orologeria di Aldo Moro (sulla quale si ebbe modo di accertare la responsabilità più o meno pesante dei servizi segreti statunitensi, israeliani e cecoslovacchi), promotore di punta del "compromesso storico" mandò a monte l'entrata del PCI al governo, che sarebbe in ogni caso probabilmente saltata comunque, in virtù dello scetticismo della base popolare assai restia ad accettare di legarsi alla DC e della scarsa affidabilità di certi "dinosauri" di partito di chiara vocazione filosovietica.

Ma a conti fatti è possibile affermare che il fallimento del "compromesso storico" non scompaginò affatto i piani della grande finanza privata italiana, che poté comunque sentirsi in una botte di ferro per aver fatto leva sulla viltà di taluni dirigenti del PCI per assicurarsi sostanzialmente i servigi dell'intero partito. Dal canto loro, i vertici della DC, partito notoriamente incardinato sulla massima "Francia o Spagna purché se magna", accettarono il tutto per "quieto vivere" e per rimanere saldamente ancorati alla propria poltrona, mentre il PSI dell'astro nascente Bettino Craxi non seppe barcamenarsi sufficientemente bene nelle torbide acque della politica italiana appoggiando lo sciopero "oltranzista" presso la Fiat (1980) che sancì l'asservimento totale dell'ala dura dei sindacati agli oscuri disegni agnelliani.

Malgrado Craxi avesse compreso dove si sarebbe andati a parare, le sue mosse atte a contenere il dilagante successo agnelliano non andarono oltre la sponsorizzazione di uno sparuto nucleo di industriali in erba (Silvio Berlusconi) portatori di interessi opposti a quelli dello zoccolo duro di Confindustria. L'industria pubblica si
ritrovò orfana di qualsiasi solida sponda politica di riferimento è fu in larghissima parte facile preda dei "croceristi" del Britannia per mezzo degli intermediari "tecnici" quali Mario Draghi, Giuliano Amato, Carlo Azeglio Ciampi e compagnia cantante. Parallelamente, la procura di Milano sbrigò il compitino di schiantare giuridicamente l'asse DC – PSI incarcerando i ladri di polli alla guida dei partiti di governo lasciando i "compagni che sbagliano" freschi di rinnegamento del comunismo e del "socialismo reale" immuni da ogni indagine. Silvio Berlusconi fu il "frutto" degli aneliti craxiani, un mero sassolino che andò a insinuarsi negli ingranaggi del poderoso meccanismo atlantista procrastinando la compiutezza del piano di disintegrazione dell'autonomia nazionale italiana.

Si badi bene che Berlusconi scese in politica solo ed esclusivamente per tenersi fuori di galera e le misure da egli adottate non sono mai state mosse da sani intenti nazionali ma dal perseguimento del proprio tornaconto personale. Un banale venditore di tappeti volgare e ignorante dietro il quale sono andati giocoforza a trincerarsi quei settori dell'industria pubblica e della finanza portatori degli interessi opposti all'antinazionale Confindustria agnelliana sottoposta alla grande finanza anglosassone. Non stupisce affatto che all'interno di uno Stato esistano centri di potere portatori di forti interessi antinazionali. La Guerra Civile Americana rappresenta un caso paradigmatico al riguardo. Allora il nord industriale e manifatturiero i cui interessi erano portati avanti dal presidente Abraham Lincoln represse con risolutezza gli aneliti secessionisti del sud agricolo grande esportatore di cotone verso l'ex madrepatria inglese.

Lincoln si collocò nel solco tracciato quasi un secolo prima da George Washigton e dal suo abilissimo ministro del Tesoro Alexander Hamilton, i quali si erano impegnati ad adottare forti misure protezionistiche atte a stimolare l'industrializzazione del paese (ben descritte da Friedrich List), battendo concià la strada maestra che conduce inequivocabilmente una singola nazione ad affermarsi al rango di grande potenza. I sudisti erano per lo più una congrega di facoltosi proprietari terrieri che estraevano plusvalore totale dagli schiavi importati forzatamente dall'Africa, al fine di soddisfare l'altissima domanda inglese di materie prime tessili. Non a caso, una delle prime mosse vincenti dell'Unione fu quella di effettuare blocchi navali ai porti confederati, sbarrando la strada alle navi mercantili intente a rifornire i mercati inglesi. I grandi proprietari terrieri finanziatori delle spese militari si ritrovarono in breve a corto di liquidi per via dei mancati introiti derivanti dalla vendita delle materie prime all'ex madrepatria e l'esercito unionista ebbe (relativamente) buon gioco ad avere la meglio e ad estendere conseguentemente la linea di politica economica nordista a tutto il sud. L'abolizione della schiavitù – malgrado quanto blaterino remunerati ed ipocriti commentatori contemporanei – fu dovuta essenzialmente alla necessità di integrare l'intera popolazione non solo nei processi produttivi ma anche nella logica capitalistica industriale, e non a qualche "nobile" velleità morale del sovrano illuminato.

La situazione italiana è, mutatis mutandis, per molti versi affine a quella che portò alla Guerra Civile Americana. Esistono infatti due schieramenti in diametrale opposizione tra loro, l'uno concentratosi attorno ai settori produttivi appartenenti alle passate rivoluzioni industriali (automobilistico) che sopperisce alle proprie inadeguatezze strutturali ed epocali vampirizzando contributi pubblici a non finire e facendosi garante degli interessi della grande finanza statunitense, l'altro formato da blocchi industriali (Eni e Finmeccanica) e finanziari (Bpi e Capitalia) sia pubblici che privati sopravvissuti a "Mani Pulite" asserragliatosi coattamente dietro l'inadeguato cialtrone opportunista Silvio Berlusconi.

La recente condanna delle ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio è assai eloquente in relazione a ciò. Gli odierni sepolcri imbiancati improvvisatisi "grandi inquisitori" lo accusano di aver violato quella neutralità elevata a dogma in tempi di "pensiero unico" galoppante e di aver quindi favorito illecitamente taluni centri di potere a discapito di altri. La realtà che non piace raccontare a costoro è che Fazio è sempre stato un uomo di fiducia della finanza vaticana che si è posto di traverso al progetto di riallineamento della pur caotica finanza italiana sulla direttrice eurocratica assai gradita ai dominanti statunitensi. L'errore colossale di Fazio è stato quello di affidarsi a elementi assolutamente inadeguati e comunque non all'altezza per adempiere i compiti necessari rientranti nel progetto finalizzato alla formazione di un polo finanziario del norditalia in grado di farsi carico del rilancio dell'industria strategica italiana. Fiorani si è poi mostrato per quello che era e l'Antonveneta è finita al colosso Abn Amro che l'ha rivenduta alla Montepaschi, da Fazio estromessa in principio dalle trattative. Così Mediobanca (grande fulcro di potere malgrado la dipartita di Cuccia) e Fiat hanno puntellato le proprie posizioni di dominio, Fazio è stato rimosso e al suo posto è stato eloquentemente nominato nientemeno che Mario Draghi, uomo di punta della Goldman Sachs, che ora si appresta ad approdare a ben più luminosi lidi (Bce).

Questa è la situazione odierna in cui versa l'Italia, governata da un patetico Primo Ministro evidentemente degenerato e sul punto di slittare del tutto verso i rinnegati del comunismo e dei loro compari annessi (il "pensionato" Romano Prodi, il defunto Tommaso Padoa Schioppa) e connessi (Mario Draghi, John Elkann) legati a massonerie mafiose internazionali (Bilderberg) che – ammesso e non concesso che individui simili siano capaci di vincere le elezioni – non appena prenderanno le redini del governo porteranno indubbiamente a termine il progetto di smantellamento nazionale innescato con "Mani Pulite" e con la svendita del patrimonio industriale e finanziario pubblico.

Aziende strategiche di punta come Eni e Finmeccanica, ultimi fiori all'occhiello rimasti, si son viste ridimensionare il proprio raggio d'azione sia per presunte ragioni "endogene" (propositi di frammentazione dell'Eni, attacchi della magistratura ai vertici di Finmeccanica) che "esogene" (in specie per il riallineamento totale di Berlusconi che ha preluso alla vergognosa aggressione
alla Libia e per il progressivo allontanamento dalla Russia), mentre i media di massa fungono da cassa di risonanza alle lodi sperticate tessute da Emma Marcegaglia e dai suoi compari confindustriali nei confronti dell'amerikano Sergio Marchionne, celebrato in qualità di "salvatore" della Chrysler laddove si è trattato di una evidente manovra politica di Barack Obama (che ha elargito forti somme di denaro per salvare l'industria automobilistica americana prima di "consegnarla" a Marchionne ) finalizzata a rinsaldare i rapporti di forza.

Urge una brusca inversione di tendenza, un governo forte che sappia favorire i settori strategici (che appaiono sul punto di capitolare) e annientare quelli parassitari che stanno prosciugando interamente le (magre) risorse di cui dispone il paese. Lincoln seppe schiacciare gli elementi antinazionali e filobritannici contribuendo pesantemente ad affermare gli allora emergenti Stati Uniti al rango di potenza che tutti conoscono. In Italia occorrerebbe fare lo stesso, con gli stessi metodi e la stessa risolutezza. Una "gioiosa (ma altamente improbabile) macchina da guerra" in grado di ripulire il paese dai tanti parassiti che lo attanagliano.