Turchia: le strategie per la transizione della maggioranza
[tradotto da Francesco D’Eugenio: Turkey: The Ruling Party’s Transition Strategy | Stratfor
In breve
Le forze di sicurezza turche hanno dichiarato l’8 luglio che tre militanti curdi sono stati uccisi in scontri nel sud est della Turchia. Gli scontri avvengono mentre il governo lavora per migliorare il dialogo e gli sforzi di riconciliazione con i gruppi nazionalisti curdi.
Gli scontri avvengono dopo che il partito Giustizia e Sviluppo ha abolito i tribunali speciali che venivano usati per giudicare presunti terroristi e cospiratori golpisti. Lo smantellamento di questi tribunali – che sono detestati dalla minoranza curda – era stato concepito come gesto di riconciliazione verso i curdi e verso i militari. Istituiti dal partito al governo nel 2005, i tribunali giudicheranno comunque le centinaia di casi che coinvolgono separatisti curdi e i membri dell’esercito turco accusati di aver complottato per rovesciare il governo del Primo Ministro Recep Tayyip Erdogan. Tuttavia non saranno assegnati nuovi casi e, alla chiusura dei processi in atto, i tribunali saranno aboliti permanentemente. La loro eliminazione è parte dello sforzo della maggioranza per conquistare i curdi in Turchia e i partiti politici d’opposizione e gettare le basi per la concordia nazionale.
Il partito Giustizia e Sviluppo è di fronte a una svolta storica, così come la stessa Turchia. Il partito di radici Islamiche sta cercando di accompagnare la Turchia da un sistema politico parlamentare a uno presidenziale come parte di uno sforzo per gestire un cambio di leadership all’interno del partito. La capacita del partito di governare questo cambiamento avrà vaste ripercussioni, perché la prevista ascesa della Turchia nella regione è basata sulla crescita economica e sulla stabilità politica domestica.
Analisi
Il partito Giustizia e Sviluppo ha impiegato anni per costruire l’economia turca e imbrigliare i poteri dei militari con il dominio della politica. Il partito ha anche tentato in precedenza di aprire un dialogo per risolvere le tensioni con i Curdi. Ma anche se questi problemi fossero superati, Ankara non sarebbe in grado di concentrarsi sulle sue ambizioni regionali finché la maggioranza non risolverà le transizioni di leadership e del sistema politico all’interno del paese.
La crisi del partito Giustizia e Sviluppo è radicata nelle origini del partito. Negli ultimi cento anni, la Turchia è stata governata per la maggior parte del tempo o dai militari o da deboli governi di coalizione. Il partito Giustizia e Sviluppo ha cambiato tutto ciò. Fu fondato come una coalizione di islamisti, pragmatisti, indipendenti, riformisti, centristi, conservatori e persino gran parte del movimento turco di sinistra liberale, che vide in esso un mezzo per mettere la museruola al potere dei militari. Sin dall’inizio, il partito è stato capace di costruire una larga base di sostenitori, incanalando il crescente potere economico della nuova classe imprenditoriale (ma socialmente conservatrice) dell’entroterra anatolico, come una forza contro le vecchie élite economiche e culturali di Istanbul e Ankara.
Ora la maggioranza è di fronte a un ricambio generazionale interno. Secondo lo statuto del partito, i membri non possono restare in carica in parlamento per più di tre mandati consecutivi. Ciò significa che ben 73 eminenti membri del partito – tra cui Erdogan, il Vice Primo Ministro Bulent Arinc, il Vice Primo Ministro Responsabile dell’Economia Ali Babacan e il Presidente della Camera Cemil Cicek – saranno ineleggibili per le elezioni del 2015. Perdere così tanti leader anziani nel parlamento sarà un duro colpo per il partito Giustizia e Sviluppo, perché candidare un gruppo di politici più giovani creerebbe un bel po’ di problemi. La coesione del partito, la cooperazione, il coordinamento, la leadership e la focalizzazione – senza contare la cooperazione con una potenziale presidenza Erdogan – potrebbero essere difficili.
Si dice già che Erdogan stia cercando di convincere uomini politici esterni alla maggioranza a unirvisi, così da conservare la coesione e la capacità di perseguire l’agenda del partito. Verso la fine di giugno i media turchi hanno riportato che Erdogan era in trattative con il rispettatissimo politico islamista di sinistra Numan Kurtulmus, per unirsi alla leadership della maggioranza.
La sfida costituzionale del partito
Un modo in cui il governo spera di gestire la transizione nella leadership è quello di mantenere un certo numero degli attuali dirigenti anziani in un ruolo di alto livello. Un modo per farlo è trasformare l’attuale sistema parlamentare – in cui i poteri del presidente sono principalmente cerimoniali – in un sistema che dà al presidente poteri reali e impoverisce il ruolo del primo ministro. Erdogan potrebbe quindi candidarsi alla presidenza e formare un gabinetto costituito sia da un organico di quadri giovani scelti all’interno del partito in Parlamento, che da politici più anziani già in servizio da tre mandati.
Per cambiare il sistema politico, Erdogan dovrà ottenere o una maggioranza di due terzi in parlamento o proporre la questione in un referendum nazionale. Entrambe le opzioni presentano sfide importanti.
Il Partito Giustizia e Sviluppo possiede 327 seggi su 550 disponibili in parlamento. Ha bisogno di 366 voti per modificare la costituzione. Al fine di ottenere i 39 voti mancanti, il partito avrebbe bisogno di sostegno da parte di uno o più dei partiti di opposizione. Ottenere questo sostegno sarà difficile, se non impossibile. I tre principali partiti d’opposizione – il nazionalista laico Partito del Popolo Repubblicano (135 seggi), il Partito del Movimento Nazionalista (52 seggi) e il pro-curdo Partito della Pace e la Democrazia (35 seggi) – tutti temono un sistema presidenziale e un decennio con Erdogan in carica.
Se Erdogan riuscisse con successo a passare ad un sistema presidenziale, potrebbe candidarsi alla presidenza nel 2015. Se vincesse, potrebbe servire un mandato di cinque anni, quindi potrebbe candidarsi di nuovo nel 2020 e, in caso di vittoria, ottenere un altro mandato di cinque anni fino al 2025. Erdogan è primo ministro dal 2003, per cui due vittorie presidenziali significherebbero avere Erdogan al timone della politica turca, legalmente, per 22 anni. Questa possibilità rende improbabile una collaborazione da parte dei partiti di opposizione turchi nel cambiare sistema parlamentare del paese.
L’altra opzione è un referendum costituzionale. Per poter portare l’emendamento ad un referendum nazionale, il partito di Erdogan avrebbe bisogno solo di tre quinti e non due terzi della maggioranza (330 voti e non 367) in parlamento. Naturalmente, l’emendamento dovrebbe poi essere votato alle urne.
Costruire il consenso
Uno dei primi passi necessari per il passaggio a un sistema presidenziale è il cambiamento della durata del mandato presidenziale.
Il presidente in carica Abudllah Gul è stato eletto nel 2007 in un’elezione indiretta, con un mandato settennale. La legge è stata cambiata subito dopo in uno dei due referendum costituzionali tenutisi da quando il partito Giustizia e Sviluppo è al potere. La nuova legge, promossa dalla maggioranza, sottopone la presidenza alle elezioni popolari dirette e limita i presidenti a due mandati quinquennali. La Corte Costituzionale ha decretato sulla presidenza Gul il 15 giugno, stabilendo che il presidente potrà concludere l’attuale mandato – che scade nel 2014 – e candidarsi per un ulteriore mandato di cinque anni.
La sentenza ha aperto la strada per il prossimo passo: un referendum costituzionale. Il partito Giustizia e Sviluppo sta preparando una nuova costituzione da Maggio. Non è stata ancora annunciata una data per sottoporre la nuova costituzione al voto nazionale. La maggioranza controlla ampiamente la stesura, e col parlamento che si avvia verso la sessione estiva, non sono attesi progressi se non più avanti nel 2012.
Ma Erdogan sta già facendo la corte all’opposizione. Il 6 giugno ha incontrato ad Ankara Kemal Kilicdaroglu, leader del Partito Popolare Repubblicano. I due hanno deciso di istituire una commissione multilaterale per risolvere il problema curdo. Il partito di Kilicdaroglu si oppone integralmente alla trasformazione del sistema politico ed è al correnet delle ambizioni presidenziali di Erdogan. Ciò che questi può offrire al partito d’opposizione in cambio dell’appoggio al referendum non è ancora noto. Il fatto che il Partito Popolare Repubblicano abbia unito le forze a Erdogan sul problema curdo suggerisce che un compromesso sia possibile. Tuttavia, l’altro principale partito di opposizione – il Partito del Movimento Nazionalista – ha rifiutato di partecipare alla commissione.
Sembra che Erdogan speri anche di sanare la rottura con il potente movimento gulenista. Il 15 giugno, Erdogan ha invitato il fondatore del movimento, Fethullah Gulen, a tornare in Turchia. L’invito è giunto durante un discorso pronunciato da Erdogan alla decima Olimpiade Turca, una manifestazione gulensita. Sebbene Erdogan sapesse che l’offerta sarebbe stata rifiutata, aver invitato Gulen a tornare in Turchia ha nondimeno migliorato l’immagine del primo ministro tra i membri del movimento nel paese.
Un tempo gli interessi del movimento gulensita coincidevano in gran parte con quelli del partito Giustizia e Sviluppo. Tuttavia il movimento cominciò ad accumulare troppo potere per i gusti del partito, specialmente quando, all’interno dei Tribunali Speciali turchi, i procuratori gulenisti cominciarono a contestare gli incontri della maggioranza col Partito dei Lavoratori Curdi (PKK) tra 2009 e il 2011. I due alleati dissentivano anche sui processi ai militari laici.
Essenzialmente, il partito Giustizia e Sviluppo costruì la sua popolarità con l’aiuto del movimento gulenista. La fronda tra i due si è allargata, ma i Gulenisti contano ancora sulla maggioranza come organo politico e il partito ha bisogno dell’appoggio del movimento gulenista per conservare il potere. Il compromesso sull’abolizione dei Tribunali Speciali mostra chiaramente la loro ininterrotta dipendenza reciproca.
Divisioni sui Tribunali Speciali
I Tribunali Speciali turchi sono stati usati per attaccare militari, dissidenti curdi, militanti, sindaci di città curde e chiunque fosse sospettato di appoggiare la causa curda. Eliminare questi tribunali è stata una decisione chiave da parte del partito Giustizia e Sviluppo per riguadagnare la fiducia e il supporto dell’esercito – sia della vecchia guardia che delle truppe – e per guadagnare i pochi (ma in aumento) voti curdi.
La Turchia ha avuto un lungo conflitto con i Curdi nel paese, che ammontano a circa 14 milioni su una popolazione stimata pari a 74 milioni. La popolazione curda è divisa, prevalentemente per appartenenza tribale, ma i partiti nazionalisti curdi hanno conquistato terreno nelle ultime elezioni parlamentari turche – cosa che Erdogan e la maggioranza non hanno sottovalutato.
Erdogan ha calcato la mano sul fuorilegge PKK, che ha continuato ad attaccare obiettivi governativi all’interno della Turchia (Ankara ha anche accusato la Siria di dare rifugio ai ribelli curdi). Allo stesso tempo, il primo ministro ha teso la mano ai leader e alla comunità curdi. Il 12 giugno ha annunciato che la lingua curda potrebbe diventare un’opzione nelle scuole pubbliche – un piccolo ma simbolico riconoscimento della cultura e dell’identità curde.
Il 30 giugno, Erdogan si è incontrato per un’ora e mezza con la deputata indipendente curda Leyla Zana. Una figura molto rispettata nella comunità curda per il suo impegno nella causa curda, Zana ha trascorso 10 anni in prigione per il suo sostegno al nazionalismo curdo. Sia prima che dopo l’incontro, Zana ha appoggiato le iniziative di Erdogan per risolvere il problema curdo, dichiarando di aver fiducia nel primo ministro e facendo appello per la riapertura delle trattative con i militanti curdi. In risposta, il PKK ha criticato le sue esternazioni.
L’incontro con Zana fa parte della strategia di Erdogan per ottenere l’appoggio della classe dirigente curda, dividendo i Curdi politicamente e indebolendo il PKK spaccandone la base. Il partito Giustizia e Sviluppo non risolverà presto il problema curdo, ma rompere gli appoggi dei militanti curdi all’interno della leadership politica curda aiuterà a intaccare l’appoggio della popolazione curda. Selahattin Demirtas, uno dei leader del partito Pace e Democrazia, ha già fatto appello ai militanti perché’ cessino gli attacchi in Turchia.
Gli obiettivi della maggioranza sono chiari, così come la sua strategia. Erdogan è finora riuscito a gestire l’equilibrio tra l’opposizione politica e il problema curdo convincendo il Partito Popolare Repubblicano a riavviare le trattative, ma un vero negoziato con i Curdi richiederà una seria discussione con l’opposizione. Già vincolato dalla transizione all’interno del partito, Giustizia e Sviluppo sarà alla fine limitato nelle concessioni che potrà fare all’opposizione politica o ai Curdi.
Risanare la rottura con il movimento gulenista sarà persino più difficile, ma Erdogan ha fatto il primo passo e ora con tutta probabilità cercherà altri problemi o temi in cui mostrare la sua volontà di raggiungere un compromesso col movimento, senza cedere alcun potere reale. Erdogan sta facendo le mosse di apertura in un piano per un gioco molto più grande.