SCALFARI, LA “P2”, IL PCI E LA FINANZA “DEMOCRATICA”
Il Golpe Usa in Cile (1973) fu il segnale chiaro per l’avvio del Compromesso Storico del Pci (1973), che Enrico Berlinguer riuscì a far prendere quota presso la propria base elettorale, con una motivazione ideologica paradossale: la necessità storica di una alleanza politica tra le forze politiche democratiche onde rafforzare il patto Costituzionale dell’antifascismo ed in grado perciò di prevenire un altro possibile “Golpe;” un mondo rovesciato dove l’apparenza, di una “Solidarietà Nazionale” tra le due forze politiche principali (Dc+Pci), fu realmente imposta in piena osservanza agli interessi Usa.
Il 1981, anno cruciale di una precipitazione storica della politica italiana, con l’inizio delle indagini giudiziarie sulla P2 (1); un periodo segnato da “colpi di scena improvvisi” con la prima “caduta giudiziaria” del governo democristiano presieduto da Forlani coinvolto nelle liste massoniche “deviate” e con l’avvio operativo del “Compromesso storico” già annunciato (dal’73), tra il Pci e la Dc; serviva l’innesto giusto, cui far leva, per rimuovere gli ostacoli ancora frapposti che impedivano non tanto il libero dibattito tra le due forze politiche principali (Dc e Pci), già in odore di accordo, quanto un disegno di prospettiva politica non del tutto chiaro, sulla posta in gioco che era sostanzialmente demandata, nelle sue finalità sempre sottaciute, alle necessità strategiche geopolitiche Usa. Un compromesso in “corso d’opera,”che travalicava nelle sue implicazioni, i confini nazionali con motivazioni ben più forti del moto apparente della “Solidarietà Nazionale” come risposta ad un ipotetico “timore di golpe” (si ricorda a questo proposito la macchietta del “Golpe di Borghese” dei primi anni Settanta).
Il soccorso giudiziario, della provvidenziale “P2,” andava molto al di là di un azione politica da mettere in movimento; gli intenti politici più di fondo, del garbuglio mediatico, furono perseguiti con pervicacia e distillati in velenose dosi quotidiane, minando sempre più un’ intera classe politica governativa; bisogna attendere “Mani Pulite”(’92), perché quei frutti velenosi arrivassero a maturazione e che, per certi aspetti, segnò l’epilogo di un’ intera fase storica, cominciata, vent’anni prima, con il Compromesso Storico .
La P2 doveva più semplicemente avviare una prima scrematura dei politici più “recalcitranti,” che ingombravano il cammino ad ogni “Solidarietà Nazionale;” il cui l’obbiettivo finale, con il senno del poi, risultò essere l’attuale configurazione della GF e ID (GRANDE- FINANZA e INDUSTRIA-DECOTTA), cioè una formazione economica sociale con una caratterizzazione tipologica di Capitalismo Italiano, quale sostanziale recettore finale dei “Funzionari del Capitale” dell’insieme del “Capitalismo Usa da esportazione” con al seguito di tutti gli annessi e connessi “diritti umani” a tutto campo, dei vari democraticismi ad oltranza.
Qualche politico più accorto, di stampo democristiano e socialista, aveva avvertito, che mano a mano il dibattito sul compromesso storico si allungava ( in modo smisurato) si avvertivano segnali poco rassicuranti sui sommovimenti della Grande Finanza italiana (GF) che tesseva, nel frattempo, una fitta rete di interessi editoriali e mediatici entro cui collocare il “Quinto potere;” come poi avvenne, prima dell”affaire “Corsera”(Corriere della Sera), con il quotidiano “La Repubblica,” provvidenzialmente fondato (1976) per guidare il felice connubio; non senza dimenticare il grande demiurgo di quella operazione, che risponde al nome di Eugenio Scalfari; un fedele mandatario “dell’Antifascismo Azionista” che, del “Governo Badoglio,” (’43) aveva saputo trarre le conseguenze politiche di una storica lezione: come marcare l’alleanza strategica con l’antifascismo militante comunista con un’ipoteca posta sulla sovranità nazionale, a garanzia di quella sovranazionale Usa, nell’ombra del tradimento più bieco; tenere alta la bandiera “dell’Antifascismo dell’arco Costituzionale” per affossarla sempre più in consunzione storica, fino a quando cioè il corso degli eventi (storici) non avessero assunto i contorni più favorevoli ad un cambio improvviso di direzione di marcia.
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Eugenio Scalfari, che potrebbe essere indicato metaforicamente come un grande orecchio teso all’ascolto dei rumori di fondo degli spazi mediatici della “ Razza Padrona”(suo libro guida), emerse come astro del giornalismo italiano con una intensa campagna giornalistica sull’Unità, La Repubblica… piena di suggerimenti sussiegosi su come “uscire dal guado” del compromesso storico.
Un suggerimento ripreso da Gerardo Chiaromonte ( dirigente del Pci) che, in un articolo su Rinascita (’79) dal titolo “L’anomalia del Pci,” rispose al “compagno Scalfari,”con indicazioni di massima, come superare il guado delle difficoltà politiche del Pci per un inserimento nei meccanismi della riproduzione del Capitalismo Italiano. I quesiti posti da Scalfari non furono tanto sulla necessità di abbandonare i collegamenti con l’Urss, il cui sistema concorrenziale con gli Usa erano già in forte declino, quanto e soprattutto la questione del “Centralismo Democratico” unico vero aggancio ad un sistema partitico monolitico che aveva saputo resistere per un tempo lunghissimo. Si ricorda a mo’ di memoria che il “Centralismo Democratico” del partito comunista togliattiano, dalla “Svolta di Salerno”(’44) in poi, verteva su un aspetto di organizzazione partitica che lo differenziava da tutti gli altri, dall’idea non tanto peregrina, che le correnti politiche all’interno dei partiti impedivano una reale disciplina, nell’impossibilità di presentarsi al proprio elettorato con una voce unica. Su questo aspetto Chiaromonte espresse nel suo saggio il rapporto tra partito e movimenti di massa: ” Un partito comunista che si dissolva nel sociale non riesco a concepirlo: questo sarebbe la sua fine. Io sono convinto che non può considerarsi partito rivoluzionario quel partito che non ha un disegno politico da far vale e portare avanti, e che si limiti a registrare e approvare quel che viene posto dalla cosiddetta spontaneità dei movimenti…..Nessun gruppo dirigente del Pci potrebbe cambiare, dunque, nel senso che ci è richiesto, le caratteristiche di fondo del partito. Ma anche se ci fosse un ipotetico gruppo dirigente che volesse questo, si tratterebbe pur sempre di un proposito velleitario, che, se perseguito, servirebbe solo a diminuire drasticamente la forza del Pci.. ”
Un articolo alquanto predittivo sulla fine che avrebbe fatto il Pci e che trovò la conferma con la “Svolta della Bolognina” dell’89 dell’allora segretario Occhetto e con esso tutta l’accozzaglia sgangherata dei dirigenti piciisti residuali, in un “cupio dissolvi,” senza alcun dibattito politico in un generale consenso nel cancellare tutta la propria storia, guarda caso, qualche mese dopo la “caduta del muro di Berlino.”
Ma in tutto questo c’è un diverso ordine di problemi, rispetto al Centralismo Democratico, ben accetto del resto, dall’intellighenzia Usa del politicamente corretto. Si voleva più semplicemente da parte Usa accelerare i tempi, per un affondo sostanziale ad un cambio di regime improvviso di tutto il sistema politico italiano, per essere pronti all’appuntamento con la storia dell’Urss, che aveva già iniziato la sua parabola discendente. Il sistema politico italiano si doveva trasformare, da una zona di confine, di “ dialogo avanzato” dentro il bipolarismo Est-Ovest, ad una retrocessione nelle retrovie del monocentrismo Usa, in piena espansione subito dopo l’implosione dell’Urss; un riallineamento politico italiano indotto, che facesse affidamento al calderone della sinistra residuale; dalle posizioni più avanzate, del “dialogo” demo-craxiano, a quello di retroguardia entro una più marcata posizione di sub-dominante, illanguidendo ogni velleità competitiva, non senza dimenticare il “granellino” Berlusconi che tentò di bloccare l’ingranaggio Usa avviato.
Sembrerebbe, che più forti interessi egemonici Usa convergessero sull’Italia, per un nuovo spazio da occupare in derivazione dell’apertura di nuovi rapporti economico-sociali che il compromesso storico del Pci intendeva portare avanti con determinazione e che riguardava, in particolare, la difesa dell’esistente attraverso le lotte sindacali che facevano riferimento ad una “passata rivoluzione industriale” (vedi, la sconfitta operaia, con Berlinguer ai cancelli della Fiat nei primi anni Ottanta); conseguenza ovvia, ad una inevitabile riduzione di autonomia del capitalismo italiano come condizione necessaria per il decollo del “Compromesso Storico,” e che richiedeva, per la sua realizzazione, una certa lena ideologica; oltre alle suggestioni del quotidiano “La Repubblica” con Scalfari suo profeta, “l’aiutino” d’Oltreatlantico arrivò puntuale, con la storia della
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“P2” dei primi anni Ottanta: un tempestivo contenitore ideologico teleguidato, onde accelerare i processi di cambiamento del capitalismo italiano.
Addentrarsi nei particolari del garbuglio mediatico della P2, potrebbe essere sviante, nel senso che si finisce con il parlare d’altro, dividendo soltanto i buoni dai cattivi, come del resto è accaduto più volte nella storia ultima di questo paese. A questo proposito su quell’avvenimento, si aprì una lunga discussione monocorde nel senso di una interpretazione a senso unico, su un canovaccio di storia concordata, tra vari dirigenti comunisti che si alternarono su “Rinascita,” senza troppo scavare sulle cause di quella misteriosa vicenda; rimaneva la sola necessità di portare la “linea del partito” a tutta la base, per lo più interdetta su quanto stava succedendo.
Si ricorda, che lo scandalo della P2 fece seguito ad una iniziativa giudiziaria della magistratura milanese contro Roberto Calvi ( poi “suicidato” a Londra, dalla mafia), presidente del “Banco Ambrosiano” e della “Centrale” e Carlo Bonomi presidente della “Invest”, arrestati entrambi per traffico di valuta. Una tappa soltanto di uno scontro di potere tra gruppi di dominanti che vedeva schierati il governo di centro-sinistra a sostegno di Calvi-Bonomi che erano diventati, nel frattempo, protagonisti dell’acquisto del Corriere della Sera e della Montedison (industria chimica)
Lina Tamburrino intervenne su “Rinascita” (’81) con un articolo dal titolo, “La linea d’ombra degli affari e della finanza”, e aprì uno spaccato politico sullo scontro in atto, con interrogativi sulla vicenda Calvi-Bonomi, mettendo in rilievo “la coincidenza tra queste due operazioni, condotte dal maggiore esponente della finanza cattolica (vedi Calvi), con ascendenze sia vaticana che sindoniana, insieme all’altra maggior esponente della finanza laica che si intendeva aggregare con Mediobanca (Bonomi) ed Enrico Cuccia?. ( si chiedeva la giornalista) un matrimonio che lega due destini tra, “l’area della finanza nera (2), dalle forti venature autoritarie” e “il santuario della finanza laica e democratica ( vedi Cuccia) (3) Oggi il gruppo Calvi-Banco Ambrosiano è il più potente gruppo bancario privato.. …L’operazione Corriere garantisce a Calvi una legittimazione politica rilevante, lo immette direttamente nel circuito dei più potenti opinion makers; l’operazione Montedison riassegna all’imprenditoria privata un fiato ed un riconoscimento del tutto impensabili fino a qualche tempo fa.”
Una facile deduzione in questo articolo s’impone, anche perché tutto ciò ha appassionato lungamente la dirigenza del Pci; anzitutto, invocare l’intervento di Enrico Cuccia, il grande padre della finanza italiana, nonché il massimo esponente finanziario “dell’antifascismo azionista”, perché intervenisse a tenere separate le due finanze, cattoliche (Calvi) e laiche con Bonomi di Mediobanca in combutta tra di loro, onde poter ricomporre una cogestione del Pci con i poteri forti dell’alta finanza; e con ciò salvaguardare tutta la battaglia politica del Compromesso storico, e con esso la salvaguardia di anni di lotte operaie. L’articolo in questione, conclude infatti: ” La vicenda Calvi-Corriere ha molto poco di bancario in senso stretto, è un fatto squisitamente politico, e a rispondere agli interrogativi che essa pone sono chiamati innanzi tutto i politici che non siano inquinati dalla P2.”
Sembrerebbe, che due forti interessi di dominio Usa convergessero sull’Italia, in rappresentanza di due frazioni capitalistiche americane, in modo da garantire, con fasi alterne, la loro opera distruttiva; anche se tale penetrazione pervasiva potrebbe essere tutta interna ad una unica strategia, sempre mutevole e pronta ad ogni cambiamento; certo è che il Compromesso storico ha rappresentato l’asservimento crescente di una classe politica, “in primis” quella piciista, ormai completamente fuori dalla storia; e la cui ragion d’essere poteva trovarsi soltanto nell’ignominia e nella corruzione e nel conseguente azzeramento di quel minimo di autonomia industriale, dei tanto vituperati governi della Dc, che avevano saputo assumere una breve sia pure significativa assunzione di un ruolo centrale e autonomo nei confronti della grande borghesia nazionale sopravvissuta al fascismo, in cui “ i caratteri specifici di una egemonia borghese sulla “Ricostruzione italiana” furono il superamento della tradizionale scissione delle due finanze laica e cattolica (dal quale fu escluso il sistema bancario italiano) in cui i due filoni restarono distinti, per l’apertura ad un ricambio generazionale e ad un afflusso di nuove forze imprenditoriali.” (4)
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la loggia massonica Propaganda Due, più nota come P2, già appartenente al “Grande Oriente d’Italia, è stata una loggia segreta, nata per reclutare adepti alla causa massonica, con fini di sovversione dell’assetto socio-politico-istituzionale italiano; così come quanto si evince dalla relazione della Commissione parlamentare sulla P2, firmata da Tina Anselmi che mise in luce uno stretto legame tra la massoneria italiana e americana, Cia e mafia.
riporto citando: ” l’esponente maggiore della finanza nera è Michele Sindona legato agli ambienti della destra internazionale, all’ala più anticomunista della leadership americana, alla mafia alla massoneria, alla parte più restauratrice della Democrazia Cristiana.”
Enrico Cuccia svolse importanti incarichi istituzionali durante il fascismo; nell’immediato dopoguerra, fu alla guida di Mediobanca (unica “Merchant Bank” italiana); insieme a Mattioli, rappresentò la massima espressione politica di quella frazione finanziaria del “salotto buono” dell’antifascismo azionista.
cfr. Lodvico Festa “Il partito della decadenza”
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