SCHUMPETER ED IL CREDITO ALL’INNOVAZIONE – parte II°
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Gli autori dei testi di economia politica (ed aziendale) si richiamano agli schemi dell’economia (neo)classica che tanta fortuna hanno avuto nel definire l’impresa come organismo economico organizzato che, producendo determinati beni o servizi, ha come finalità la soddisfazione di determinati bisogni. Una posizione rovesciata rispetto all’economia reale della produzione, in un mondo (immaginario) dei bisogni dei consumatori che, sul lato della domanda, organizza l’impresa ( o l’insieme di imprese) nel processo di trasformazione dei beni da collocare nel mercato in attesa di essere consumati: il lato metaforico della produzione che sostituisce la domanda e che, a sua volta, può crescere a dismisura e posizionarsi come una retta (all’infinito) sui bisogni e sui desideri individuali; una sorta di “mondo sottosopra” come descritto da Ray Bradbury nel romanzo “Fahranheit 451,” similmente ad una parafrasi di consumatori famelici che circondano la produzione, nelle radici metafisiche “dell’utilitarismo dell’impresa.”
Ma l’impresa non è semplice struttura organizzativa, un contenitore che razionalizza il processo sociale ed economico nell’oggettività della storia economica con il pregiudizio metafisico della ricerca empirica; la ricerca economica secondo Schumpeter è la costruzione di una teoria economica secondo “l’assunzione di un punto di vista” in un campo di ricerca dove i cambiamenti interni alla vita economica comprendono i mutamenti di nuovi fenomeni economici sociali. Chi presiede al cambiamento è l’imprenditore con l’innovazione e non il mero riflesso dei bisogni dei consumatori. “E’ il produttore (imprenditore) che di regola inizia il cambiamento economico e i consumatori, se necessario, sono da lui educati;” non interessa qui, se l’imprenditore è il proprietario o il manager in sua rappresentanza, la produzione crea discontinuità con l’innovazione della merce, punta essenziale di un vettore a composizione di combinazioni sociali ed in trascinamento a nuovi metodi di produzione; nel cambiamento realizzato dall’interno del sistema economico attraverso l’innovazione, possiamo trovare il nucleo centrale del pensiero di Schumpeter, il legame del credito con il capitale (nella funzione dell’imprenditore). Il capitale di un impresa, secondo l’autore, non è semplicemente patrimonio aggregato di beni ma “il mezzo per disporre di certi beni per nuovi scopi o un mezzo per dettare alla produzione una nuova direzione.. Un capitale che sta di fronte al mondo dei beni…. un agente autonomo che sta tra l’imprenditore ed i beni;” una definizione dell’autore legata ad un concetto di capitale che fa riferimento non ad una ‘cosa’ ma, ad un rapporto sociale (di marxiana memoria). L’identificazione del capitale con i beni d’impresa che formano il patrimonio è una espressione ellittica in un’economia senza sviluppo, “Il capitale incarna un aspetto dei processi economici dello sviluppo,” un agente che svolge una funzione particolare, quella di contribuire allo sviluppo attingendo al mercato dei capitali, in quello comunemente ed impropriamente viene chiamato mercato monetario, interfaccia quest’ultima del credito finanziario: una triangolazione che lega le funzioni del credito, al capitale ed all’ imprenditore che, si coagulano a loro volta in nuove combinazioni sociali, date dall’impulso, all’interno del sistema, dell’innovazione del prodotto.
Il finanziamento del credito all’innovazione è un atto che non nasce dal totale dei risparmi dello sviluppo precedente, o dal non consumo “dell’economia del flusso circolare” preesistente; la creazione di un nuovo investimento con il credito finalizzato all’innovazione, non può nascere se non con le banche (o di settori finanziari dediti ad attività creditizie), con immissione di biglietti di banca o suoi sostituti e con la creazione di un nuovo potere d’acquisto della moneta, in attesa della circolazione delle nuove merci. L’investimento nato dal finanziamento per l’innovazione, lega strettamente le nuove combinazioni alle aspettative, del nuovo potere d’acquisto creatosi: la nuova moneta è in equivalenza di valore alle nuove merci prodotte, in derivazione della espansione dei nuovi mezzi produttivi accompagnati ad una nuova produttività nell’occupazione, con nuovi salari e nuova moneta da spendere: un circolo virtuoso (di sviluppo), all’interno di una nuova formazione economica sociale.
La ricostruzione fondamentale che fa Schumpeter nella sua opera fondamentale della “ Teoria dello Sviluppo Economico”si dipana su una diversa posizione teorica rispetto alla scienza
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economica, in una identificazione di quest’ultima, dello sviluppo economico ”sic et simpliciter,” nel diverso impiego delle forze produttive nell’economia: un errore che lega la funzione della moneta, al semplice riflesso in valore dei beni. L’economista austriaco elabora nel sua idea dello sviluppo, una scelta di campo entro cui le forze economiche devono agire: “il diverso impiego delle forze produttive dell’economia non può essere attuato altro che mediante uno spostamento nel potere d’acquisto dei soggetti economici.” In sostanza, dall’emissione della moneta non può dipendere alcun sviluppo, essa è soltanto il veicolo essenziale del processo attraverso cui si realizza il salto (nella discontinuità) del campo di applicazione dal vecchio al nuovo modo di produrre, un rivoluzionamento con l’innovazione, nell’articolazione di una nuova formazione economico sociale. La funzione che può svolgere la moneta, con immissione di nuovo potere d’acquisto attraverso il credito al finanziamento, assume per Shumpeter una indipendenza di elaborazione assolutamente nuova e scevra da qualsiasi teoria quantitativa della moneta; una presa di distanza dell’autore che parte dalla considerazione che ”le operazioni bancarie non possono accrescere (di per sé) la ricchezza di un paese” sino all’affermazione, di converso, nella necessità della ‘creazione’ di nuovo poter d’acquisto, precondizione per la funzione dell’imprenditore non identificata al possesso di un patrimonio. Si deduce, che il credito creato in questo modo, non ha una “ base rappresentata dai beni” ma fa parte di una tipologia di finanziamento che, per sua natura e funzione, è legato all’innovazione e quindi ad una “certificazione di prestazioni future e di beni ancora da produrre.”
Il credito con la finalità dell’innovazione “è per definizione concessione di credito all’imprenditore e costituisce un elemento dello sviluppo economico” in grado di rompere l’equilibrio statico di un economia del “flusso circolare”, nella funzione essenziale di un finanziamento, come “ponte sull’abisso,” all’accesso di beni all’imprenditore prima di aver acquisito il diritto su di essi: una “finzione sul diritto di possesso.” Se si parte da questo divario iniziale incolmabile, l’immissione moneta attraverso il finanziamento, comprime il potere d’acquisto esistente, creando nel contempo, uno spazio per la nuova produzione.“ Allo stesso modo in cui una quantità addizionale di gas affluisce in un recipiente, la parte di spazio occupata dalle molecole della quantità precedentemente esistente risulta ridotta, così l’affluire di nuovo potere d’acquisto nello spazio dell’economia comprimerà il vecchio potere d’acquisto.. le unità di potere d’acquisto ora esistenti sono tutte più piccole di quelle che esistevano prima ..e la loro distribuzione fra le economie individuali ha subito uno spostamento.” Come si può dedurre lo spazio creato con il credito all’innovazione concesso all’imprenditore, deve essere da quest’ultimo riempito con il controvalore del potere d’acquisto dei mezzi di produzione presi a prestito; restituzione che avviene con immissione dei prodotti innovativi che vanno a coprire il controvalore del flusso del finanziamento (dei mezzi di produzione) immesso nel mercato monetario. Passato il periodo alla fine del quale le imprese hanno prodotto il loro effetto nella collocazione delle nuove merci sul mercato, in sostituzione di quelli esistenti, si ristabilisce il parallelismo tra flusso di moneta e beni, costituendo un livello di produzione dei nuovi beni innovativi pari ad una somma maggiore del credito ricevuto (in grado perciò di restituire il prestito concesso più gli interessi della banca) e la cui differenza è il saldo attivo ( profitto + interessi) dell’imprenditore(i) innovativo.
Il credito all’innovazione rappresenta per Schumpeter il finanziamento concesso alla” distruzione creatrice,” una grande novità in controtendenza alle teorie economiche del Novecento; su questa idea, si può rilevare che se prevale il finanziario sulla sfera economica, si moltiplicano nel valore della moneta le immagini figurative delle merci prodotte, in una crescita abnorme degli organismi finanziari, un rimando a duplicazioni all’infinito della moneta e dei suoi sostituti ( nelle forme del credito e derivati) similmente a specchi che si rifrangono in altri specchi con immagini virtuali di ricchezze presunte; viceversa, quando gli agenti della sfera politica della finanza si alleano con l’imprenditore innovativo , si può avere l’avvento della fase creativa o della distruzione creatrice. L’interpretazione che fa Schumpeter del Capitale Finanziario nella componente del Credito all’Innovazione elemento essenziale e funzionale allo sviluppo, è per certi aspetti in controtendenza alle ideologie del suo tempo che ponevano nel Finanziario, la caratteristica dominante dello sviluppo capitalistico come conseguenza a sua volta, delle concentrazioni
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finanziarie del ‘carattere monopolistico’ dell’economia, premessa irreversibile del parassitismo ed della putrescenza del capitalismo, fino alla sua crisi finale. Con la fine della seconda guerra mondiale, la tesi “della distruzione creatrice” di Schumpeter trovò piena conferma nello sviluppo impetuoso del capitalismo all’avvio del ‘monocentrismo’ Usa, già in fase espansiva fin dagli anni Trenta grazie alle ‘innovazioni’ dei prodotti. Per usare una metafora nella descrizione del clima di solitudine intellettuale, “la Teoria dello Sviluppo” di Schumpeter somigliò ad una traversata nel deserto, per le varie sedimentazioni culturali apparentemente contrapposte, tutte comunque concordanti nel ‘crollismo’ del capitalismo per arrivare alla decrescita tanto di moda dei giorni nostri. Un esempio, di come le ideologie economiche dei dominati facciano il paio con le culture dominanti Usa, si pensi al ‘catastrofismo ambientale’, che si diffonde con la stessa incidenza dei messaggi radiofonici dell’Eiar’ in Italia durante il fascismo; un velo dell’oblio è steso sulla crescita dei paesi europei nell’ esempio più eclatante, che riguarda ’l’innovazione ambientale,’ spacciata come misura salvifica per un’umanità sempre più terrorizzata da ipotetici disastri planetari nei prossimi cento anni, nei cui confronti si misurano i ‘salvatori della patria,’ che di recente, rispondono al nome dell’americano Al Gore, premio Nobel e vice di Clinton e di come l’ambientalismo può diventare “l’ultimo rifugio per le canaglie.” Alla voce ‘ambiente,’ il sistema produttivo europeo si è arenato in codici di comportamenti che, invece creare le condizioni di un processo di sviluppo ed occupazione, allunga sempre più gli aggiustamenti normativi al Codice di comportamento di impresa, con il risultato che nell’Europa a 25 più di due terzi delle risorse finanziarie (dedicate all’ambiente), circa 51 miliardi di euro, sono finite in spese correnti, ovvero di tipo amministrativo: i finanziamenti destinati alle ‘innovazioni ambientali’ si sono trasformati in un mostro burocratico. Rimane soltanto il miraggio dello sviluppo e della competizione dei paesi dell’area europea governata sempre più, ed in peggio, da governi “oclocratici” controllati da oligarchie finanziarie. Il ‘caso Italia’ è unico ed emblematico: le concentrazioni bancarie Intesa e Unicredit, appoggiate da gruppi politici della sinistra, sono in completa dipendenza delle banche d’affari Usa, idrovore queste ultime che sottraggono risorse finanziarie all’ economia reale, ormai sospesa in un cielo brumoso ed in quieta attesa della gran tempesta, similmente alla fase storica che precedette l’avvento dei regimi fascisti e nazisti.
G.D. ottobre 07
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