SE NON SI TOCCANO GLI AMERICANI……
Da vent’anni, da quell’operazione sporca denominata umoristicamente “mani pulite”, la politica italiana si è completamente defilata, non esiste più. Ripetiamo brevemente il significato di quel “colpo di mano” (e forse pure di Stato). Si liquidò un “regime” che durava da trent’anni (basato su Dc e Psi), nel senso che si disgregarono giudiziariamente tali partiti su “richiesta” americana, coadiuvata dalla Confindustria (di fatto orientata dalla Fiat e dagli Agnelli). Tale duo di mandanti (di ben diverso peso e potere) pensò di affidare la propria rappresentanza politica a coloro che già avevano trattato a partire dagli anni ’70 (dalla segreteria Berlinguer, 1972) il loro spostamento di campo, che non poté avvenire realmente se non dopo il crollo socialistico dell’Europa orientale e dell’Urss (1989 e 91). Nel primo di questi due anni, alla Bolognina, Occhetto decise la svolta aperta del partito verso “ovest”; nel secondo, si verificò il mutamento di nome e l’ex Pci fu pronto all’aperto “salto della quaglia”, assumendo la (ir)responsabilità di principale “cameriere” dei suddetti mandanti del colpo di mano (di Stato).
L’operazione giudiziaria che seguì non andò in porto per l’entrata in campo di Berlusconi, ma soprattutto perché ci si scordò di un “piccolo particolare”: occorreva conquistare il consenso elettorale di milioni di individui che avevano votato per decenni il precedente “regime” e che non compresero come potessero essere rappresentati da un partito contro cui erano stati chiamati a difendere le “libertà occidentali”, un partito che credeva di avere ormai, cambiando denominazione, conquistato tutte le credenziali prima spettanti a Dc e Psi. Uno dei più begli esempi di come certi manipolatori siano convinti che sia sufficiente mutare nome ad una “cosa” per cambiarne non tanto la “natura” (questa era già mutata da vent’anni anche in presenza del vecchio nome) quanto la rappresentazione che di quel partito si erano fatti in moltissimi per un lungo periodo di tempo. In un paio d’anni, milioni di elettori diccì e piesseì avrebbero dovuto convincersi che il Pds non era più il Pci per il semplice fatto della sostituzione di etichetta senza mai aver spiegato perché, e attraverso quali processi, il gruppo “sostitutore” (lo stesso di prima) si era convinto che il vecchio vino era andato in aceto e lo aveva sostituito con un vero “nettare”, il cui nuovo “profumo” nessuno riusciva ad odorare, nemmeno provandoci con tutta la buona volontà.
L’entrata in campo del Cavaliere ha conosciuto varie tappe e vicende, che ho raccontato più volte e adesso non ripeto. La conclusione odierna è però che, dopo alcuni anni un po’ travagliati nei suoi rapporti con gli Usa (per le sedicenti “amicizie” con Putin e Gheddafi, in realtà per una politica estera comportante alcuni vantaggi e buoni affari per l’Italia), costui sembra di nuovo piuttosto “in linea” con il paese centrale dell’“Occidente”. Tuttavia, lo ripeto, per vent’anni si è alterata la situazione, la si è in effetti nascosta, non si è mai detto per quali motivi si è arrivati a questo punto. Come dice bene Giacalone oggi (8 maggio) su Libero, siamo al punto che il presdelarep – dopo aver spinto per una guerra aperta contro la Libia senza nemmeno bisogno di un dibattito in Parlamento con ampia pubblicità presso la popolazione – si scandalizza (cioè finge) per un rimpastino di sottosegretari, giacché alcuni di questi non facevano in precedenza parte della maggioranza.
Ci si scorda, fra l’altro che – quando le posizioni erano all’opposto di quelle odierne, e il centro-destra reclamava nuove elezioni, a causa del voltafaccia di alcune decine di parlamentari eletti con la maggioranza, mentre l’opposizione rifiutava tale prospettiva strepitando – Berlusconi fu costretto a non pensare più al voto, poiché fu ventilata la possibilità che il suddetto presdelarep potesse favorire un’ammucchiata da Vendola fino a Fini (passando per il fantomatico “terzo polo”) nel caso di crisi di Governo, così da liberarsi una buona volta dell’attuale premier. Nessuno dubita che anche quanto è avvenuto in questi giorni – ritorno di transfughi, cambiamenti di casacca, ecc. – faccia un po’ schifo (vedi articolo di oggi di Rondolino, ex d’alemiano, sul Giornale); tuttavia, non più di quanto non lo abbia fatto l’operazione da voltagabbana di Fini con formazione del Fli, ecc. Siamo in pieno galleggiamento trasformistico da parte di tutti gli schieramenti. Dove sta però il vero “veleno” che tale mefitica situazione sparge tutt’intorno?
Dal momento di “mani pulite”, con quasi immediato intervento “bloccante” di Berlusconi, iniziò a verificarsi il graduale fallimento della “sinistra (il cui grosso è rappresentato dai transfughi del Pci), il progressivo sfarinamento del centro-destra con continue defezioni, tradimenti, ecc.; e senza che mai vi sia, da nessuna parte, un effettivo progetto politico di lungo periodo: non di sole parole, ma di effettiva volontà di realizzarlo. Tutta la battaglia si è viepiù incanaglita attorno a Berlusconi con la liquefazione cerebrale della “sinistra” (non dei soli vertici, ma pure di quel ceto medio semicolto che la vota), cui la “destra” ha risposto uniformandosi allo stesso comportamento, solo di segno opposto. Da una parte si è teso a “creare il Mostro” (alla guisa di Frankestein, che poi lo dovette inseguire tutta la vita, alla fine morendo altrimenti il Mostro avrebbe continuato ad esistere, non essendo altro che il “doppio” del suo “creatore”); dall’altra parte, si è finto di avere sempre di fronte i “comunisti” (e le “toghe rosse”), quando proprio l’abiura del comunismo, lungamente preparata dai primi anni ’70 e attuata non appena crollò e socialismo e Urss, ha consentito quell’operazione di annientamento di Dc e Psi e il tentativo di ricambio dei propri “rappresentanti” da parte di Usa e Confindustria.
Crollata con il voto del 14 dicembre dell’anno scorso la “prima linea d’attacco” a Berlusconi (dell’ultimo attacco, in ordine di tempo) – cioè quel Fini che era già stato a Washington a incontrare personaggi tipo Nancy Pelosi e John Kerry – si è fatta avanti la “seconda linea” rappresentata da Napolitano – già “ambasciatore” del Pci a Washington nel 1978, momento cruciale della svolta del partito – che ha iniziato a non mostrare più la faccia da “arbitro” ma di “interventista” secondo una precisa linea di opposizione al Governo. Ebbene, si legge sempre oggi su Giornale e Libero che si tratta di interventi di uno che sarebbe rimasto comunista, a cui si rinfaccia il lontano appoggio (1956) alla repressione sovietica della rivolta in Ungheria, ecc. Un “comunista” che anche ultimamente è stato ricevuto in modo molto più che affabile negli Usa (e non solo una volta), che ha parlato all’Onu (“in un certo modo&rdquo
;), che ha premuto per l’intervento in Libia, così caro agli Usa, quando ancora Berlusconi traccheggiava. E via dicendo.
Napolitano ha iniziato il suo spostamento quasi quarant’anni fa assieme al Pci, che ha mutato posizione e non solo nome, senza alcuna autocritica perché ha preferito dimenticare d’emblée il passato, non trovando alcuna argomentazione per giustificarsi. Esso è stato accolto a braccia aperte dai vecchi avversari: sia internazionali (Usa) che interni (industriali alla Agnelli che affermò agli inizi degli anni ‘90: “i miei interessi di destra sono oggi meglio difesi dalla sinistra”). Il Pci, già a partire dal 1976, fu appoggiato da La Repubblica, giornale uscito in quell’anno per orchestrare ben determinate campagne di appoggio alla “concertazione”, al “compromesso storico”, ecc.; e non certo per avallare il comunismo. Nei primissimi anni ’70 il sottoscritto, in due articoli su Ideologie e su Che fare, aveva previsto la svolta di tale partito in senso filo-occidentale (atlantico) e di supporto a settori del grande capitale privato (ancora famigliare in Italia). Ero forse indovino o profeta? Nemmeno per sogno; rilevavo fatti evidenti che, invece, sia “destra” che “sinistra” odierne continuano a nascondere. E perché? Per il semplice motivo che, dire finalmente la verità, significherebbe rivelare al “popolo” come, dietro a tutte le manovre che devastano il paese – dietro a quella guerra per bande, di cui Guido Rossi, in un momento di rabbia (e dunque di verità), disse che era “come quella della Chicago anni ’20” – ci stiano gli interessi statunitensi, con al seguito quelli della grande industria e finanza italiane ad essi subordinate (per cointeressenze da “camerieri”, nemmeno da “maggiordomi”).
Nessuno, nemmeno i più lucidi e intelligenti fra i commentatori, ha il coraggio di nominare gli Usa, perché si è ancora influenzati dall’egemonia conquistata nel 1945 nel “campo occidentale”, da essi dipendente. Per un determinato periodo storico, ammettiamo (io non lo ammetto, ma voglio concederlo) che tale atteggiamento sia stato comprensibile. Oggi non più, anzi è sempre più pericoloso e sviante. Abbiamo bisogno che nasca un’autentica forza politica di carattere nazionale (non nazionalistica in modo assurdo ed esasperato come in altri tempi!). Se non emergerà nei prossimi anni (ne possiamo concedere dieci? Già troppi) saremo finiti come paese. Tempi pessimi si approssimano. Smascheriamo sempre le trame degli Stati Uniti, diciamo quale ruolo giocano.