SECONDO IL PARADIGMA LIBERALE L’IMPORTANTE E’ DEMONIZZARE IL NEMICO, NON SERVE CONOSCERLO.
In un intervento del 11.06.2016 apparso sul sito www.askanews.it troviamo scritto:
<<Polemiche al calor bianco intorno all’iniziativa de “Il Giornale” di offrire in supplemento a pagamento, Mein Kampf, libro manifesto di Adolf Hitler. “Trovo squallido che un quotidiano italiano regali oggi il Mein Kampf di Hitler. Il mio abbraccio affettuoso alla comunità ebraica”, ha scritto su Facebook il premier Matteo Renzi, rilanciando sui social l’hastag #maipiù”. Netta anche la presa di posizione della presidente della Camera Laura Boldrini: “distribuire Mein Kampf è una decisione grave, si deve rispettare la memoria. Solidarietà ai familiari di tutte le vittime dell’Olocausto”, ha scritto su Twitter>>.
Mi vergogno un po’ pensando che fino a qualche tempo fa avevo creduto che “Matteo il chiacchierone” al contrario della presidente della Camera, evidentemente incapace di articolare ragionamenti che vadano oltre quelli alla portata di un onesto muratore (1) in pensione, avesse una qualche dose di furbizia da “toscanaccio plebeo”. Qui non c’è solo la sottomissione al più bieco “politicamente corretto” ma si manifesta persino il tentativo di far passare il “rifiuto di pensare” come una sorta di riaffermazione di presunti principi morali intangibili. La questione è ripresa, indirettamente, da Armando Massarenti sul Sole 24 ore (19.06.2016) in una nota che prende spunto dall’autobiografia del famoso epistemologo Paul K. Feyerabend, intitolata Ammazzando il tempo (trad.italiana1994) dalla quale riporta questa interessante citazione:
«Hitler accennava ai problemi locali e a quanto era stato fatto fino ad allora, faceva battute, alcune abbastanza buone. Gradualmente cambiava il modo di parlare: quando si riferiva a ostacoli e inconvenienti aumentava il volume e la velocità del parlare. Gli accessi violenti che sono le uniche parti dei suoi discorsi conosciute in tutto il mondo erano preparati con cura, ben interpretati e utilizzati con umore più calmo una volta finiti; erano il risultato di controllo, non di rabbia, odio o disperazione».
Il filosofo italiano, infine, concludendo il suo commento alle scritto di Feyerabend, termina così il suo breve intervento:
<<Ancora oggi, se del nazismo non cerchiamo di capire le ragioni interne, e magari non ci spaventiamo a rileggere Mein Kampf, non sapremo mai perché esso ha appassionato così tante persone. E sarà anche più difficile difendere i nostri valori più cari: libertà, pluralismo, democrazia. Benché l’intelligenza critica di Feyerabend fosse già piuttosto acuta, al punto da commentare la lettura di Mein Kampf (ad alta voce alla famiglia riunita) come un «modo ridicolo di esporre un’opinione», «rozzo, ripetitivo, più un abbaiare che un parlare», egli stesso, pochi giorni dopo, avrebbe concluso un tema scolastico su Goethe legandolo proprio a Hitler. Non solo la memoria collettiva può fare brutti scherzi: anche la nostra attenzione critica è qualcosa di quanto mai fragile. Ma lo è ancora di più se ci rifiutiamo di rileggere senza ipocrisia le pagine più buie della nostra storia>>.
Il sonno della ragione indotto da fobie irrazionali o da assurdi “calcoli” effettuati da politici totalmente ottusi e incapaci induce considerazioni paradossali. Seguendo la logica dei nostri governanti si dovrebbe togliere dai libri di storia tutto ciò che riguarda fenomeni come il nazismo e il comunismo staliniano. Ma potrebbe capitare che un adolescente, tenuto all’oscuro di queste cose, venisse a sapere che nazismo è l’abbreviazione di nazionalsocialismo; a questo punto egli si ricorderebbe di aver letto che nella costituzione la difesa della patria è considerata un “sacro” dovere e poi anche che sarebbe esistito un socialismo democratico e liberale – con i suoi martiri veri o presunti: Matteotti, Gobetti, Rosselli ecc. – che anelava a conquistare, in maniera “pacifica” per le grandi masse un più alto livello di eguaglianza e equità in termini di condizioni e possibilità sociali. Senza la possibilità di una conoscenza storica ma anche “teorica” dei cosiddetti regimi totalitari come potrebbe, questo ragazzo, venire mai a conoscenza di quello che è stato etichettato come il “male assoluto” in termini sociali e politici? Ma il problema probabilmente consiste nel fatto che qualsiasi “male”, assoluto o relativo che sia, può essere declinato solo a partire (dialetticamente) dal suo opposto che in questo caso è rappresentato dall’”ordine esteso di mercato” e dalle norme e istituzioni che caratterizzano la formazione sociale capitalistica. Nonostante le “transizioni” giustamente individuate e problematizzate da La Grassa ci si può domandare infatti se – almeno a partire dall’epoca del capitalismo “compiuto” ovverosia dalla rivoluzione industriale e da quella francese – non esistano alcuni elementi che continuano a permanere, a persistere, come fondamento del sistema sociale che da allora predomina a livello mondiale quando prevalgano condizioni storiche “normali” e non “eccezionali” (queste ultime sono alla base di quelle forme politico-ideologiche di dominio che sono state definite come autoritarie e totalitarie). Per Hayek, seppure attraverso ampie oscillazioni e crisi, continuerà ad affermarsi il sistema liberale nella forma di uno specifico cosmos – come ordine spontaneo autopoietico sociale fondato sul mercato – e nomos – nella forma di norme di giusto comportamento, in contrapposizione ad altre condotte da non tenere, a garanzia e protezione della proprietà, intesa in senso lockeano come “vita, libertà e fortuna” – in quanto condizioni regolative generali atte a garantire, pur nelle sue variazioni e mutazioni il sistema sociale di tipo capitalistico. Una conoscenza più approfondita, storica e teorica, del comunismo e del nazifascismo – fenomeni ormai conclusi e superati riguardo alla loro forma storica specifica – potrebbe aiutare a comprendere meglio l’attuale ordine sociale, a livello globale e nei singoli paesi, e magari dare stimolo a una rinnovata capacità critica nei confronti dell’egemonia ideologica delle potenze e dei gruppi sociali predominanti.
(1)E’ solo una battuta. Non è mia intenzione offendere i muratori. Quel mestiere l’ho fatto anch’io seppure per breve tempo e so quanto sia maledettamente duro e difficile.
Mauro Tozzato 23.06.2016