SEMPLICI CONSIDERAZIONI DI F. D’ATTANASIO

 

(in merito a “Procediamo lentamente, ma procediamo” di G. La Grassa ed altro)

 

Il lavoro di Gianfranco è encomiabile, difficile trovare una persona con la passione, la serietà e la dedizione che Gianfranco profonde nel suo lavoro di studioso della formazione sociale capitalistica. I risultati ai quali è riuscito a pervenire sono, a mio avviso, notevoli, non penso che nel mondo esista uno studioso che provenendo culturalmente dal comunismo sia riuscito a “mettersi” in discussione come ha fatto Gianfranco: sì perché penso che quando si parli di comunismo per arrivare a certe conclusioni, sebbene di carattere solo teoriche, ma comunque del tutto innovative rispetto a quelle di provenienza, bisogna fare anche un lavoro su se stessi, quasi di carattere psicologico, significa anche modificare certi approcci alla realtà, il modo di rapportarsi ad essa, in definitiva l’acquisizione di angoli di visuale prima addirittura osteggiati e combattuti. Ma comunque quel che a noi interessa sono detti risultati teorici, vale a dire  nuovi strumenti analitici e di pensiero che ci permettano di meglio inquadrare il mondo, di dare ad esso maggior ordine e coerenza, come conseguenza della presa di coscienza dell’inutilità, in quanto superati dalla storia, dei vecchi arnesi di pensiero.

Ciò nondimeno sento l’esigenza di dover sottolineare un aspetto su cui ho tentato di riflettere ultimamente. Se ho ben interpretato il pensiero di Gianfranco, ho avuto spesso l’impressione leggendo i suoi scritti, che tenda a dare un’importanza eccessiva al lavoro teorico sebbene lo interpreti (giustamente così come sottolineava Althusser) come prassi teorica, in altre parole alla battaglia ideologico-culturale. Anche questo penso sia un lascito del periodo oramai passato, quindi anche di questa impostazione forse bisognerebbe in parte liberarsi; sicuramente aveva un senso decenni fa, quando ancora era viva un’atmosfera sociale a ciò favorevole, quando esistevano delle forze politiche radicate in grado di veicolare certi contenuti, cioè quando, per dirla proprio alla Gianfranco, il campo di battaglia (o almeno uno dei campi di battaglia) era concretamente quello. Tento di spiegarmi meglio: con ciò non voglio assolutamente sminuire il complesso teorico (quindi il lavoro al fine di elaborarlo) da cui necessariamente bisogna attingere per muoversi nella realtà in cui si vive − sono molto propenso ad essere d’accordo con Gianfranco quando sostiene che la ricerca teorica che deve avere come base la capacità di astrazione per arrivare a delle generalizzazioni in cui possiamo inquadrare certi fatti specifici o insieme di fatti specifici e concreti, non serva tanto a farci pervenire alla conoscenza della verità ma quanto a fornirci appunto degli strumenti di orientamento − voglio più precisamente dire che non credo si possa stabilire a priori, nel corso dell’evoluzione storica, quando sia maggiormente necessario concentrarsi sul lavoro teorico o quando piuttosto maggiormente sull’azione più concretamente politica: la teoria come d’altronde spesso lo stesso Gianfranco ricorda, per quanto possa essere rigorosa, è sempre in arretrato rispetto alla concretezza del reale. D’altro canto la politica non è solo fredda analisi e ricerca di categorie interpretative e strumenti, la politica è anche sempre e comunque idealità, passione, auspicio, quindi non solo necessità di sperimentare sul “campo” le proprie convinzioni, ma bisogno, appunto, con tutti gli strumenti all’uopo necessari, di torcere il bastone dalla propria parte. Allo stesso modo confesso mi lasciano un po’ freddo e perplesso certe affermazioni di Gianfranco secondo le quali staremmo vivendo un’epoca di trapasso: trapasso verso quali mete e secondo quali supreme finalità? A nulla vale, a  mio modesto avviso, in relazione a questo aspetto, la sua impostazione di fondo secondo la quale la storia vedrebbe alternarsi fasi policentriche e monocentriche. D’altronde se Gianfranco insiste tanto sulla razionalità strategica, sull’analisi di fase atta principalmente a cogliere la disposizione delle forze in campo, vien da pensare che non ci si possa limitare solo a questo: la naturale e principale conseguenza di ciò è che bisogna individuare le condizioni e i mezzi per intervenire concretamente.

La mia sensazione in definitiva è che il lavoro teorico slegato da qualsiasi prassi diventi pura speculazione sebbene possa essere molto gratificante per chi lo fa soprattutto quando si riescono ad azzeccare delle previsioni, segno del fatto che si sono inforcati degli “occhiali” buoni supportati cioè da un insieme di categorie efficaci nell’interpretare le dinamiche sociali più rilevanti, segno altresì della capacità stessa del teorico di essere molto dinamico nel suo approccio scientifico e rigoroso. Ma noi (a parte lo stesso Gianfranco) non siamo teorici, al massimo possiamo contribuire con qualche riflessione, a noi interessa maggiormente veder concretizzare qualcosa di politicamente rilevante, l’affermarsi di qualche minima tendenza nella direzione che noi consideriamo “giusta”. Ma qui si apre un fronte di analisi e discussione veramente ampio e che mai, a mio avviso, abbiamo avuto il coraggio di affrontare con il necessario coraggio e rigore perché abbiamo il timore di doverci rassegnare al nostro “destino” e questo lo vogliamo evitare a tutti i costi perché pensiamo costituisca, per noi stessi, il male peggiore. Né comunque credo affatto nelle capacità taumaturgiche delle masse; escludo, con la massima convinzione, che allo stato attuale delle cose, soprattutto nei paesi più avanzati, dal “basso”, politicamente parlando, possa nascere qualcosa di rilevante: le masse sono oramai perfettamente integrate nel “sistema” , di per sé non possono dar vita a nessuna forma di reale antagonismo sociale e politico. Perché le persone, pur ammettendo che arrivino a condividere (e penso che la maggior parte la condivida) la nostra “visione del mondo”, dovrebbero seguirci fino in fondo? Perché dovrebbero sottrarre del tempo alle loro esistenze per impegnarsi con noi? Che speranza concreta noi diamo loro? Il punto è, a mio avviso: quali mezzi abbiamo per agire nella direzione da noi auspicata ed aver qualche minima speranza di successo? Perché è esattamente quest’ultimo aspetto che alle persone interessa. Il popolo teme più di ogni altra cosa il caos e l’anarchia, la più feroce dittatura è pur sempre meglio di una situazione caotica e priva di qualsiasi organizzazione e vertice direttivo. Tutto ciò per molti potrebbe costituire la classica scoperta dell’acqua calda, ma si dà il caso che proprio trascurando le cose che sembrano più banali e scontate si rischia di perdere il contatto con la realtà. Allora la nostra speranza può solo essere riposta in qualche forza economica, con opportuni agganci nei luoghi reali del potere, che arrivi alla conclusione che per meglio difendere i propri interessi debba agire proprio nella direzione da noi auspicata.

Sull’atteggiamento da tenere in relazione all’attività del pensiero che cerca di districarsi nel magma della realtà, sono d’accordo con Gianfranco quando afferma che dalla porta del marxismo-leninismo dobbiamo necessariamente uscire (almeno per chi ha certe ascendenze culturali e politiche naturalmente) e non da altre che non ci sono mai appartenute, che quindi non conosciamo a sufficienza e di cui non potremmo rilevare i punti deboli; perché, come diceva anche il grande filosofo della scienza Whitehead, i punti deboli delle teorie scientifiche (cioè di quelle teorie ritenute indiscutibili fino ad un certo punto della storia) in realtà si tramutano quasi sempre in punti di forza dato che da essi si dipartono poi i successivi avanzamenti e progressi, è da essi che si aprono nuove prospettive, sono essi che danno la stura a nuovi approcci e favoriscono l’acquisizione di nuove mentalità. Ma se Gianfranco sostiene che “l’elemento di ultima istanza” risiede nel potere, “manovrato secondo razionalità strategica per modificare i rapporti di forza tra gruppi di comando e conquistare la supremazia” e che “è indispensabile cogliere l’aspetto decisivo e generale della formazione capitalistica, che del resto è lo stesso di ogni formazione sociale storicamente esistita: l’esplicarsi della razionalità strategica nel conflitto per la supremazia”, tutto ciò potrebbe indurre a pensare che rispetto a Marx si stia compiendo qualche passo indietro, che Marx in realtà non abbia apportato nessuna novità in merito alla conoscenza della formazione sociale capitalistica. Ma noi sappiamo benissimo che ciò non è vero, che di Marx c’è ancora molto di buono, il punto è che dobbiamo far sì che ciò che di buono vi è in Marx (lo stesso dicasi per Lenin) non rimanga come in un bel museo, che contribuisca, in virtù di tutto ciò che vi è anche di superato, a produrre qualcosa di completamente nuovo e soprattutto utile.

 

29 Luglio.