SENATORI A SVISTA
Riguardo alla nomina di quattro nuovi Senatori a vita da parte del Presidente Napolitano vorrei sviluppare un ragionamento, al contempo etico-politico e politico-istituzionale, entrando tanto nel merito della questione che nell’opportunità della designazione. Il Capo dello Stato, secondo quanto previsto dalla Carta, all’art. 61, “può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario.” Giorgio Napolitano, nell’investitura di dette personalità, ha piegato fortemente il bastone a suo piacimento, secondo precisi calcoli politici. Durante il suo primo mandato aveva incaricato Mario Monti per requisiti che stiamo ancora cercando nel suo curricolo. Il rettore della Bocconi non viene ricordato nell’Accademia per alcuna grande opera d’intelletto ed ha l’unica virtù, se di virtù si tratta, di aver ricoperto ruoli apicali in organismi internazionali dove l’ascesa ai massimi vertici è fortemente caratterizzata da strettissime amicizie nel bel mondo finanziario e istituzionale che conta. Un po’ poco per elevarlo sullo scranno perpetuo di Palazzo Madama. Dunque, nonostante l’assenza di valevoli attributi, Mario Monti si è trovato proiettato in Parlamento per un’astuzia del Quirinale il quale, con tale atto, intendeva rassicurare il Professore circa l’immunità di cui avrebbe goduto una volta nominato Premier, dopo le dimissioni coatte di S. B.
Poiché il compito di Monti sarebbe stato infame ed al limite della sopportazione generale, come svelò post-factum, anche uno dei suoi Ministri, Andrea Riccardi, (“…il governo di Monti si è comportato con un sadismo politico servile alla Merkel e alla Germania come nessuno mai prima aveva fatto in Italia… Più Monti assumeva provvedimenti lacrime e sangue, più esodati la Fornero creava, più saliva la protesta e la sofferenza delle classi più deboli, più a Palazzo Chigi erano soddisfatti perché proprio quella era la dimostrazione lampante di credibilità verso la signoraMerkel. Cioè, più legnate riuscivano a dare al Paese e più pensavano di essere forti in Europa… ll tutto mentre il benessere personale del senatore a vita Mario Monti non ne ha mai sofferto, ovviamente.” Ipse dixit.), Napolitano, con siffatta mossa preventiva, infondeva dall’esterno il coraggio necessario al “Grigio” che ardimento non avrebbe mai trovato in se stesso, mettendolo al riparo dai “revanchismi” della popolazione e da quelli degli altri poteri dello Stato ai quali avrebbe sottratto risorse, con le sue iniziative lacrime e sangue, per compiacere una serqua di potentati esteri. Possiamo ben dire che all’epoca abbiamo assistito ad un golpe bianco nel pieno rispetto della legalità ma non della sovranità popolare e dell’indipendenza decisionale nazionale.
Qualche giorno fa Re Giorgio, così ribattezzato dal N.Y.T., ci ha rimesso lo zampino con un’altra infornata, vita natural durante, che lascia molto perplessi, per essere eufemistici.
In un momento delicato per il governo Letta che rischia di vedersi mancare i numeri se B. deciderà di rompere l’alleanza dopo il voto sfavorevole sulla sua decadenza, il Capo dello Stato, ha pregiato della “livrea” senatoriale quattro personalità (Claudio Abbado, Elena Cattaneo, Renzo Piano e Carlo Rubbia) di elevato spessore scientifico che però, in passato, hanno lavorato a stretto contatto con alcuni partiti di sinistra (Rubbia con Pecoraro Scanio, su un progetto velleitario, sull’energia solare, denominato Archimede) o che si sono espressi contro il leader del PDL e la sua organizzazione (tutti gli altri).
I tempi e le modalità di quest’ultima mossa sono stati fin troppo sospetti per non accendere atroci dubbi. Senatori a svista, a voler essere buoni. Inoltre, c’erano in giro altri luminari, ugualmente degni e molto meno smaccatamente schierati a sinistra o avverso B., che non sono stati nemmeno presi in considerazione. Et pour cause. Oppure, se si fosse voluto preservare una logica bipartisan, la medesima che tiene in piedi anche questo strano Gabinetto, si sarebbe potuto bilanciare la scelta identificando altri dotti, non così afflitti dal male dell’antiberlusconismo come quelli cooptati. Penso, verbi gratia, ad Antonio Zichichi, cattolico e di simpatie centro-destrorse, che vale, almeno, quanto Elena Cattaneo.
Così non è stato, proprio perché il gesto del Presidente è paragonabile ad una manovra finalizzata ad evitare nuove elezioni in caso di tracollo dell’attuale maggioranza allargata. Fin qui, dunque, le valutazioni politiche.
Passiamo ora a quelle etico-politiche che sono anche più gravi. Non capisco perché la politica debba essere messa in mano a chiunque, anche se scienziato plurinsignito, artista pluridecorato o letterato pluripremiato. C’è chi nutre l’idea balzana che essendo il mestiere parlamentare pienamente squalificato, soltanto chi si è distinto in altri settori distanti da quello possa ormai salvarlo da impareggiabile declino. Chi lo pensa si sbaglia perché dall’attuale inadeguatezza si passerebbe al dilettantismo. Per non dire di quei cialtroni che intendono sostituire il realismo politico con la santa onestà che è la vera anticamera di tutte le imperizie del mondo. Seguendo queste improbabili strade, come da noi nei tempi recenti, si è aggravata la degenerazione degli organi elettivi ed esecutivi e si è messa a repentaglio la medesima tenuta dell’impalcatura statale. Se vogliamo gratificare i nostri illustri sapienti diamo loro una medaglia, una onorificenza ed un premio in danaro, ma che c’entra nominarli Senatori, o ancor peggio, Presidenti del Consiglio? Eppure, le lezioni di Benedetto Croce e di Vilfredo Pareto restano ineguagliabili sul tema. Il secondo confutava l’ubbia che fossero gli onesti a saper decidere sempre per il meglio, in riferimento agli affari pubblici, semplicemente attenendosi a molteplici esempi della storia contraddicenti tale stolta congettura( vedi nota 1), il primo demoliva il pregiudizio della superiorità dei tecnici e degli ottimati in politica, mantenendosi sul buon senso e sulle imprescindibili abilità, inassimilabili a quelle di altri campi, da possedere per occuparsi del buon andamento della polis (vedi nota 2). Evidentemente non le hanno apprese i nostri rappresentanti elettivi, a partire dal rappresentante in Capo. Come diceva Erasmo, non si può insegnare la grammatica ai cavalli. Tutt’al più li si può nominare senatori.
(1) “….Gli storici lodano il tempo passato; ma quando si tratta di testimoniare sul tempo in cui vivono la scena cambia e sono piuttosto portati ad oscurarne spesso le tinte. In ogni caso, se crediamo alle testimonianze dei contemporanei, è impossibile ammettere che siano i buoni costumi dei popoli, e ancora meno dei loro capitani, che abbiano assicurato le vittorie. Ecco, per esempio, la ritirata dei diecimila; ciò che li salva, è la loro perfetta disciplina, la loro obbedienza agli strateghi; quanto ai loro costumi, lasciano molto a desiderare. Vedete ciò che accade quando gli strateghi decidono d’allontanare tutte le bocche inutili; i soldati sono costretti ad obbedire, «eccetto alcuni che sottraggono o un giovinetto o una bella donna ai quali sono attaccati». Quanto a Senofonte, i suoi costumi possono essere stati i più casti, ma il suo linguaggio non è tale nel Convito; e se si fosse astenuto da questo genere di letteratura, il mondo non vi avrebbe perduto nulla. Val meglio non parlare dei costumi di Filippo il Macedone e delle persone che l’attorniavano. Allorché la battaglia di Cheronea abbatté la potenza ateniese e asservì la Grecia, non si può veramente dire che fu la castità che riportò la vittoria. Filippo, oltre le concubine senza numero, prendeva donne dovunque ne trovava. Né le cause della sua morte possono onestamente raccontarsi. Passiamo rapidamente sui costumi dei valenti capitani, come Demetrio Poliorcete (il conquistatore di città), perché il meno che si possa dire è che furono infami. Alcibiade era pure lontano, molto lontano, dall’avere buoni costumi; tuttavia, se egli avesse comandato in Sicilia, al posto di quell’onesto ed imbecille Nicia, forse Atene avrebbe evitato un disastro irreparabile. I bacchettoni ateniesi che intentarono un’azione penale ad Alcibiade, sotto pretesto della mutilazione delle Erme, furono probabilmente la causa della rovina della loro patria. Più tardi ad Egospotami, se i generali greci avessero seguito il consiglio di Alcibiade, avrebbero salvato la flotta ateniese e la loro città. I generali avevano forse costumi migliori di Alcibiade — ciò non era veramente difficile — ma, quanto all’arte della guerra, gli erano molto inferiori e si fecero battere vergognosamente. Se passiamo ai romani, ci è difficile scorgere virtuisti nei cittadini che, ai giuochi Floreali, facevano comparire sulla scena cortigiane interamente nude. Un giorno che Catone di Utica — il virtuoso Catone — assisteva ai giuochi Floreali, il popolo non osava, in sua presenza, domandare che le mime si spogliassero dei loro vestiti. Un amico avendo fatto osservare ciò a Catone, questi lasciò il teatro onde permettere al popolo di godere lo spettacolo abituale. Se Catone fosse stato un virtuista, sarebbe rimasto al teatro per impedire quello scandalo; ma Catone era solamente un uomo di costumi austeri adstricti continentia mores. I complici di Catilina avevano cattivissimi costumi; si sarebbe soddisfatti poter dire che erano vili; disgraziatamente la verità è il contrario. Sallustio ci narra come caddero nella battaglia di Fiesole. «Ma fu quando la battaglia finì che si poté veramente vedere quale audacia, quale forza d’animo vi fosse nell’esercito di Catilina. Perché ciascuno, dopo la sua morte, copriva con il corpo il luogo che aveva occupato durante la pugna. Un piccolo numero solamente, che era stato disperso dalla coorte pretoriana, era caduto un poco diversamente, ma tutti erano stati feriti davanti.» Non è sicuro che tutti i virtuisti avrebbero fatto altrettanto…Napoleone I non era casto; i suoi marescialli, i suoi generali e i suoi soldati, ancora meno. Essi riportarono tuttavia molte vittorie e, in quanto alla disfatta che ebbero in Russia, sarebbe difficile di vedervi un trionfo dei buoni costumi sui cattivi. Maurizio di Sassonia, che salvò la Francia dalla invasione straniera, era un grande capitano, ma aveva costumi molto cattivi. Sarebbe stato meglio per la Francia che egli fosse stato virtuista e che si fosse fatto battere a Fontenoy? Nelson, il vincitore di Trafalgar, era lontano dall’esser molto casto. I suoi amori con Lady Hamiltonsono conosciuti. Invece del Nelson, sarebbe stato meglio per l’Inghilterra, avere un ammiraglio virtuista, ma che avesse perduto le battaglie navali d’Aboukir e di Trafalgar?”
(2) “L’ideale che canta nell’anima di tutti gli imbecilli e prende forma nelle non cantate prose delle loro invettive e declamazioni e utopie, è quello di una sorta di areopago, composto di onest’uomini, ai quali dovrebbero affidarsi gli affari del proprio paese. Entrerebbero in quel consesso chimici, fisici, poeti, matematici, medici, padri di famiglia, [Professori] e via dicendo, che avrebbero tutti per fondamentali requisiti la bontà delle intenzioni e il personale disinteresse, e, insieme con ciò, la conoscenza e l’abilità in qualche ramo dell’attività umana, che non sia peraltro la politica propriamente detta: questa invece dovrebbe, nel suo senso buono, essere la risultante di un incrocio tra l’onestà e la competenza, come si dice, tecnica. Quale sorta di politica farebbe codesta accolta di onesti uomini tecnici, per fortuna non ci è dato sperimentare [la nostra generazione, purtroppo, lo ha sperimentato], perché non mai la storia ha attuato quell’ideale e nessuna voglia mostra di attuarlo. Tutt’al più, qualche volta, episodicamente, ha per breve tempo fatto salire al potere in quissimile di quelle elette compagnie, o ha messo a capo degli Stati uomini e da tutti amati e venerati per la loro probità e candidezza e ingegno scientifico e dottrina; ma subito poi li ha rovesciati, aggiungendo alle loro alte qualifiche quella, non so se del pari alta, d’inettitudine”.