SEVERINO: SU ‘COMPROMESSO STORICO’, PCI E STATI UNITI
Ovvero quando la filosofia è come un gatto che non fa le fusa(ro) alla Verità ma cerca di afferrare i significati di porzioni di realtà,
scritto da Andrea Berlendis
In diverse parti dell’elaborazione lagrassiana vi sono asserzioni non contro la filosofia, ma contro una data filosofia che impoverendo lo spirito scientifico marxiano, lo riduce ad una ricerca della Verità, ad un critica dell’Alienazione dell’Uomo… Sempre in relazione all’ipotesi lagrassiana del cambiamento di campo geopolitico del Pci mi sono imbattuto in un testo del 1979, il cui titolo (‘Techne : le radici della violenza’) e la cui quarta di copertina potrebbero essere collocati nel filone di cui sopra, cioè di quel tipo di filosofia che si vuol decisamente contrastare—versante decrescistico, critica del progresso tecnico come tale, ecc.—ma che contiene invece talune argomentazioni ed ipotesi (ovviamente di livelli di profondità molto differenti tra loro, al di là del grado di condivisibilità) circa la natura e la dinamica del Pci negli anni Settanta. In particolare ritengo rimarchevole le considerazioni ed i dati fattuali che, nelle intenzioni dell’autore, vorrebbero (di)mostrare l’ostilità statunitense nei confronti del Pci, mentre invece, al contrario, possono generare un’altra lettura.
Nel capitolo titolato ‘Il compromesso storico’, sostiene Severino: “Sono anni che sulla stampa nazionale compaiono articoli e corrispondenze sui contatti più o meno segreti che da qualche tempo esisterebbero tra il Pci e gli Stati Uniti e che comunque sembra ormai che vadano alquanto per le lunghe. Si è parlato di viaggi regolari compiuti in America da membri del Pci e di altrettanto regolari contatti con il Pci da parte dell’ambasciata americana e, addirittura, dei servizi segreti americani. In sostanza, queste rivelazioni giornalistiche più o meno esplicitamente lasciavano intendere che tali contatti erano il sintomo più convincente dell’imminenza della partecipazione del Pci al governo. Se però si leggeva con attenzione, ci si poteva accorgere che le cose stavano ben diversamente da come le si voleva lasciare intendere; col risultato che non si è fatto altro che buttare legna sul fuoco. Ad esempio, in uno scritto intitolato ‘Incontri segreti Pci-Usa. Un americano alle Botteghe Oscure’, ‘Il Mondo, 1975, si leggeva che l’americano che fino allora frequentava la sede romana del Pci—un certo R. Boies, segretario d’ambasciata—’era un uomo di prim’ordine per niente intossicato dai pregiudizi, che anzi dimostrava un’intelligenza molto aperta’. La dichiarazione era di S. Segre, responsabile della sezione esteri del Pci, il quale aggiungeva che al posto di R. Boies era proprio allora subentrato un certo Martin Wenick, ‘un americano che viene direttamente da Mosca’ e che ‘può darsi sappia tutto sul partito comunista dell’Unione Sovietica, ma è un po’ complicato spiegargli come stanno le cose da noi’. E già questa osservazione lasciava intendere come le conversazioni col signor Wenick non avessero molto l’aria di mettere a punto il trionfale accesso del Pci al governo con la benedizione americana, ma presentassero intoppi e difficoltà. Ma Segre avrebbe anche aggiunto: ‘I servizi americani in Italia oggi risentono visibilmente della crisi in cui si dibatte la politica di Washington, che è poi la crisi di Kissinger’, una crisi che ‘può provocare attività e interventi pericolosamente contraddittori’.(E questo linguaggio non è certo di chi è ormai sicuro di avere il beneplacito degli Stati Uniti alla sua scalata al potere, bensì di chi teme una involuzione americana nei confronti del Pci).” (1) A sostegno di questa convinzione l’autore mette in campo anche la seguente argomentazione: “Se i dirigenti comunisti vanno in America e si incontrano con i funzionari dei servizi segreti statunitensi non lo fanno per mettere a punto la loro scalata la governo, ma per convincere che non hanno alcuna intenzione di aggravare ulteriormente con la loro politica le già precarie condizioni di salute del mondo occidentale. Non per nulla Berlinguer ha parlato delle ‘preoccupazioni’ che anche il Pci nutre per ‘l’indebolimento del ruolo dell’Occidente’. Quanto poi alle presunte dichiarazioni della Cia che vedrebbe con favore la presenza dei comunisti al governo con funzione equilibratice nella situazione italiana, c’è per lo meno da osservare che esse sono a loro volta equilibrate dalle dichiarazioni dello stesso Carter sulle complicazioni che scaturirebbero dalla presenza dei comunisti nei governo occidentali (dichiarazioni notevolmente diverse da quelle che faceva prima di diventare presidente), e che quindi sarebbe una grossa ingenuità inferire che gli Stati Uniti hanno dato ormai il loro beneplacito alla partecipazione dei comunisti al governo.” (2) Infine contro coloro che ritenevano che gli Usa potessero cambiare il loro referente politico italiano, obiettava che “Questo ottimismo è estremamente pericoloso. E paradossale. Vuol far credere che il Pci al potere—al governo—in Italia tranquillizzerebbe gli Stati Uniti più dell’attuale compagine governativa. Anche ammettendo che il governo americano sappia bene ‘quale fragile sostegno siano per la sua politica europea i governi della Dc, deboli e corrotti’, è molto strano pensare che gli Stati Uniti, assetati come sono di stabilità in Europa, gettino via il bicchiere perché la Dc glielo offre riempito a metà con acqua non molto pulita.” (3) Notasi, en passant, che per uno strano caso (o forse no?), l’operazione che con un colpo di Stato giudiziario spazzò via la Dc e il Psi, fu denominata ‘Mani pulite’…
Gli elementi deducibili dai brani sono a mio avviso i seguenti:
i. Vi era un rapporto stabile tra il vertice del Pci e gli Usa.
ii.Questo avveniva attraverso diversi canali: viaggi in Usa, incontri con l’ambasciata Usa in Italia, contatti con i servizi segreti americani.
iii.Il rapporto era stato attivato dagli Usa: avevano addetti che frequentavano i vertici del Pci e riferivano.
iv.Lo scopo del Pci era rassicurare e legittimarsi come referente politico affidabile per gli Usa.
I rilevi dubitativi del testo di Severino si riferiscono al fatto che il risultato della cooptazione del Pci fosse ormai avvenuto e quindi l’approvazione da parte degli Usa fosse ormai acquisita, e basa questi rilievi sul fatto che:
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In primo luogo, le dichiarazioni ufficiali dei membri degli apparati statali americani e dei vertici del Pci non fossero sempre congruenti tra loro;
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in secondo luogo, che vi fossero dichiarazioni, ufficiali e non ufficiali, da parte di esponenti di diversi apparati statali Usa, che erano differenti e contrastanti tra loro.
Colpisce che Severino, in contrasto con i fatti da lui stesso riportati, mostri una rappresentazione ‘piatta’ della sfera politica, come se non esistesse almeno un davanti e un dietro della scena, per cui, esclusa l’esistenza di questo spessore, non si riesce a ipotizzare che vi sia uno scarto—che può giungere sino al completo rovesciamento—tra il davanti e il retro della scena. Ad esempio, per motivi diversi ma in parte convergenti, né il Pci né gli Usa potevano procedere ad un riconoscimento diretto ed esplicito. Il Pci rispetto alla sua base sociale (che ne reggeva la sua forza contrattuale, il sartoriano ‘potenziale di ricatto’), perché neanche la più ardita delle contorsioni (ad esempio che sotto l’ombrello di quell’organismo di subordinazione agli Usa qual è la Nato si sarebbe potuto affermare una qualche trasformazione sociale in contrasto con l’assetto geopolitico bipolare, addirittura nel campo occidentale coordinato dagli Usa) sarebbe riuscita a giustificare una qualche concordanza o compatibilità tra il cambiamento di campo geopolitico e gli scopi ufficiali ancora dichiarati per quanto sbiaditi. Scopi, si badi bene, non riferiti ad una qualche trasformazione sociale che pur moderatamente ne mettesse in discussione la riproduzione dei rapporti sociali capitalistici nella formazione sociale italiana—obiettivo già scomparso con rifondazione togliattiana del Pcd’I della metà degli anni Quaranta—ma anche solo di mantenimento di un margine d’azione politica autonomo significativo e di una qualche difesa della sovranità nazionale. Per quanto riguarda la posizione degli Usa rispetto al Pci, è vero che al di sotto della linea politica ufficiale tesa al contenimento ed all’esclusione, dalla fine degli anni Sessanta ve ne era una intessuta di attenzione e contatti, tesa sia alla conoscenza che all’influenzamento, ma la sua esplicitazione avrebbe messo a rischio l’esito dell’intero processo.
Per il secondo punto, è di ostacolo alla comprensione dei rapporti dei rapporti tra i vertici del Pci e gli Usa, non riuscire ad immaginare che gli Usa, lo Stato americano (come ogni Stato in generale) è un complesso di apparati attraversato da conflitti entro e tra essi, causati—promossi dai diversi gruppi di agenti strategici (nelle diverse sfere sociali) in conflitto tra loro. Lo Stato è un campo di conflitti immerso a sua volta in campo di conflitti. Il limite conoscitivo è dato dall’assenza dell’ipotesi del conflitto strategico tra gruppi di agenti per la supremazia. L’orientamento di Severino impediva di vedere quanto è possibile invece assumendo l’angolazione lagrassiana del conflitto strategico con le sue conseguenze e ricadute sulla teoria sociale. Rimane però il merito di aver formulato considerazioni ‘discutibili’, nel senso che possono contribuire a produrre conoscenze effettive, evitando circonvoluzioni … queste sì ‘indiscutibili’.
Coloro che trattano (e hanno trattato) Marx affossandone lo spirito scientifico avrebbero dovuto—e sarebbe stato assai meglio—seguire il consiglio contenuto nell’esilarante battuta del film ‘Gli eroi del doppio gioco’(4). Durante una visita del federale di Bologna presso la casa del podestà di un paese appenninico, costui nella libreria scorge ‘Il capitale’ e ne stigmatizza la presenza tra i volumi consentiti. Alla risposta imbarazzata del podestà, il figlio terzogenito in odore di antifascismo dopo la tragica esperienza sul fronte russo, abbozza: “Però penso che certe letture siano utili per conoscere il nemico prima di combatterlo.” Risponde impettito il federale: “Noi lo abbiamo combattuto nelle piazze il nemico…Mi vanto di non aver mai letto una riga di Marx e vivo bene ugualmente!”.
NOTE
(1) Emanuele Severino ‘Téchne.’ Rizzoli editore 1979 pag. 158-159
(2) idem pag. 160
(3) idem pag. 191
(4) Il film di Mastroncinque del 1962 sul trasformismo alla fine del ventennio fascista, è nel suo insieme però di assai scarsa levatura.