SGUARDI SULLA CRISI GRECA di G.P. e di M. Tozzato
I genitali sono il punto focale della volontà (di G.P.)
Parafrasando Arthur Schopenhauer, e con ciò facendo arrabbiare le femministe, diremo che i genitali sono il punto focale della volontà. Ergo, ne deriveremo che tutta la classe politica della Vecchia Europa difetta in primo luogo di quelli, cosa che si traduce in una infingardaggine generalizzata che mette impotentemente a sedere l'eurozona dinanzi a qualsiasi situazione appena più complicata della normale amministrazione. Il male, dice l'adagio, non sempre vien per nuocere e dovrebbe essere mutato in opportunità alla prima occasione ma i nostri politicanti burocrati non tengono di gran conto questa sapiente massima popolare e nelle loro relazioni reciproche preferiscono portare in auge la regola più spiccia del “cash end carry” che nessuno deve violare pena l'esclusione dal club dei paesi che valgono. Altro che solidarietà comunitaria!
Eppure, considerati i dati storici, la possibilità di un cambio di marcia e di una inversione di rotta risulterebbe ora più favorevole, oltre che fatalmente improcrastinabile, per evitare la completa evaporazione dell'esprit communitaire (ammesso che ve ne sia uno), nonché per dare un senso politico a questa accozzaglia di culture così eterogenee, tenuta insieme dalla malta monetaria e dalle chiacchiere ideologiche sull'origine cristiana delle sue radici; ma la pavidità generale continua a coprire di ridicolo e di maleodoranza l'intero continente impedendo la formazione di una diversa sintesi politica che faccia dell'UE una protagonista della fase multipolare in dispiegamento.
Prova di questo irrecuperabile lassismo se ne è avuta con la vicenda Greca. Approfittando di quanto accaduto agli ellenici – raggirati dalle solite potenti banche americane, oltre che traditi dalla loro stessa credulità creditizia (mai mettersi nelle mani di usurai legalizzati!) – si poteva dare un giro di vite contro quella finanza speculativa d'oltreatlantico che tanti danni ha causato in Europa e ancora tanti potrà farne. Questa debolezza europea è la forza di speculatori senza scrupoli, come i vari Soros, Paulson, Cohen che si danno appuntamento nel centro di Manhattan per mettere a punto un piano d'assalto contro qualche paese politicamente attardato, oggi la Grecia domani forse la Spagna o l'Italia (do you remeber nineteen nintytwo?), che si è bevuto pedissequamente la legge della supremazia del mercato in epoca di globalizzazione. Allora meglio ricordare le parole di quello stesso volpone già citato a proposito della troika manhattiana, a nome Soros, al fine di riportare gli ignari sognatori europei con i piedi ben piantati nella realtà e prendere così le dovute precauzioni: “il fondamentalismo di mercato è chiaramente legato al dominio americano nel mondo”. Quindi, chi pensa ancora che i capitali speculativi non abbiano patria né volto quando aggrediscono uno Stato e le sue imprese?
In questo senso abbiamo forse perduto una grande occasione perché era il momento storico propizio per sbattere fuori le merchant banks americane e dare il ben servito alle agenzie di rating che, come dice Fitoussi, forse con troppa enfasi, “hanno rovinato il mondo” per sostenere un progetto distruttivo, apparentemente autoreferenziale ma con un' “intelligenza politica” alle spalle, l'ultima valutazione la aggiungiamo ovviamente noi. In realtà, non tutto il mondo è stato rovinato dai “pre-giudizi” delle Bond Rating Agencies perché anche nella tragedia complessiva occorre fare le dovute distinzioni e capire se c'è chi paga più degli altri le defaillances sistemiche. Alla fine sono i particolari a fare la differenza. L'America pare che se la sia cavata col fallimento di uno solo dei suoi giganti bancari, la Lehman, mentre nel resto del globo è la stessa solidità degli Stati ad essere messa in questione. Tanto che dinanzi al piano greco di rientro dalla situazione debitoria le imperturbabili Moody's e S&P hanno opposto una perizia “negativa” che sbarra pesantemente le iniziative di recupero del Premier Papandreu, in quanto gli investitori istituzionali (quelli che hanno ingenti possibilità liquide) acquistano solo in presenza di tripla A e vendono quando queste caratteristiche sono intaccate.
Ma ci vuole una buona dose di autolesionismo per affidare le sorti un paese membro alle sentenze di enti che poco prima del fallimento di multinazionali come Parmalat, o della medesima Lehman, emettevano giudizi ottimistici su bilanci palesemente truccati che pure ben conoscevano. Com'è poi andata a chiudersi questa vicenda non è una novità per nessuno, soprattutto per quei risparmiatori che spaesati e disinformati facevano il pieno di carta straccia pensando di concludere un buon affare mentre altri grandi investitori, in possesso di notizie riservate e confidenziali, si liberavano delle proprie quote. Questo sarebbe dovuto bastare per smerdare tali istituzioni ed invece la classe dirigente europea continua a pendere dalle labbra di siffatti farabutti senza vergogna. Eppure, come ricordato da Federico Rampini, i 45 mld di aiuti con i quali la Grecia può raddrizzare la schiena sono appena ¼ di quanto c'è voluto per tirare fuori dalla palude la American International Group, compagnia assicurativa tra le 6 più forti al mondo, caduta nella rete dei subprime e salvata da Obama per ottemperanza alla regola non scritta del too big to fail. Comunque, il capo del governo greco ha finito col piegarsi alla richiesta di sacrifici immani per rientrare nei parametri di Maastricht ed ottenere gli aiuti del FMI e dell'UE. Mai fare le cicale se le formiche sono tedesche e inflessibili. Per il suo paese si prospetta un periodo durissimo da lacrime e sangue, nonché tanta, tanta merda ricattatoria che i greci saranno costretti a digerire in nome di un rito apotropaico che vuol tenere insieme con l'economia ciò che non si lega con la politica.
A proposito di Obama dobbiamo infine ribadire il nostro giudizio negativo, si tratta di un vero rettile che utilizza la strategia dell'anaconda per cacciare le sue prede, un serpente che senza mordere o iniettare veleno, soffoca con una stretta mortale qualunque cosa ostacoli la sua strategia. Inutile ribadirvi il concetto, più volte precisato, che qui “Obama” vale non in quanto soggetto umano ma come “apparato” e maschera di relazioni di potere.
Il suo atteggiamento doppio nei confronti della finanza dimostra la sostanza con la quale è impastato questo presunto riformatore democratico, in pubblico acerrimo nemico della speculazione e nei fatti sostenitore indefesso delle lobbies bancarie di Wall Street. La riforma da lui proposta è un decalogo di buone intenzioni di cui sono sempre lastricate le vie infuocate dell'inferno ma che appunto non spengono in nessun momento l'incendio speculativo ancora in atto. Come ricordava Marcello Foa in un post di qualche tempo fa “i grandi istituti continuano a truccare i conti. E non di poco: abbelliscono i propri bilanci nascondendo il 42% dei propri debiti qualche ora prima della presentazione dei risultati trimestrali”. Infatti, nella riforma degli assetti della finanza prevista dal Presidente Usa non si parla di regole contabili, si parla di limitazione degli strumenti finanziari complessi ma non si definisce questo limite, si dice di voler dare più poteri di vigilanza alla Fed ma si dimentica che la stessa non ha saputo utilizzare nemmeno quelli che già aveva a disposizione. Insomma, è tutta propaganda che smuove le acque in superficie e n
on le disinquina volutamente mai a fondo. Il dragaggio è sempre evitato se nelle profondità del mare magnum finanziario si nascondono i propri tesori.
Ci vorrebbe pertanto uno scatto d'orgoglio e un rifiuto netto, da parte dei politici europei, della versione ufficiale che spiega la crisi come un fatto di degenerazione e di violazione delle regole, perché è nel problema mal posto che poi nascono le risposte sbagliate. Ci vorrebbe una volontà comune di rovesciamento dei luoghi comuni, focalizzata nel cervello e negli organi genitali appunto, per affrontare la grave situazione sistemica ma senza saltare il passaggio del suo incorniciamento nella giusta dimensione epocale. Come ho già detto però, intelletto e palle non fanno parte del patrimonio organico di questi burocrati continentali che si spacciano per i salvatori delle patrie mentre le affossano ogni giorno di più. Anzi, è molto probabile che in queste condizioni il canagliume faccia un salto di qualità e un balzo in avanti sulle scene nazionali. Ogni paese ha rampolli che scalpitano per servire di più e meglio gli statunitensi nel loro puntellamento egemonico, Gianfranco Fini docet. Ma questa è un'altra storia che racconteremo nelle prossime puntate.
La Grecia al palo di M. Tozzato
La Cancelliera tedesca Angela Merkel, in una conferenza stampa a Berlino, alla fine ha ammesso: «Non possiamo permettere che la Grecia diventi una nuova Lehman Brothers. Nel caso degli stati – ha spiegato – non si può permettere una situazione come quella della Lehman Brothers». In questi giorni anche gli economisti e i giornalisti specializzati tendono ad accostare il “crac” della grande banca americana al rischio di default dello stato greco. Sul Sole 24 ore (del 30.04.2010) Carlo Bastasin scrive:
<<Come avvenne con il fallimento di Lehman anche la crisi in Grecia pone uno scomodo interrogativo sull’adeguatezza della democrazia di fronte a fenomeni finanziari violenti, incontrollabili e indifferenti ai perimetri nazionali della politica.[…]Dall’Asia arrivano già le osservazioni di chi ritiene che l’impasse europea sia una prova della superiorità dei sistemi autoritari.>>
Continuando il discorso si arriva però anche a scambiare l’effetto con la causa – in riferimento alla crisi “esplosa” a partire dal settore finanziario globale nella seconda metà del 2008 – per cui lo stesso Bastasin prosegue affermando:
<<Nel 2008 l’allora ministro del Tesoro, Henry Paulson, fece fallire Lehman scatenando una crisi globale perché non voleva affrontare il Congresso che aveva già una volta bocciato un piano di salvataggio delle banche, l’estremo tentativo di Paulson fu un accordo extra-politico e non pubblico con l’inglese Barclays che fallì come era prevedibile.>>
La crisi dei mutui subprime, lo scoppio della bolla speculativa immobiliare, la crisi creditizia e ipotecaria generalizzata con l’emissioni di titoli derivati privi sin dall’inizio di qualsiasi copertura – per attenerci alle cause più immediatamente economico-finanziarie – sono state le forze determinanti che hanno portato al fallimento di Lehman Brothers ma anche alla nazionalizzazione del colosso assicurativo AIG e al salvataggio di numerose altre grandi banche e di grandi corporations come Crysler e General Motors (per limitarci ovviamente ai soli Stati Uniti). La deregolamentazione finanziaria, di cui si è tanto parlato, è stata determinata dalle difficoltà degli attori economici privati e pubblico-statuali nel mantenere margini di utile monetario che si voleva assolutamente salvaguardare, in un sistema globale che si era ormai modificato sul piano prima di tutto geopolitico, e poi geoeconomico, in conseguenza dell’aumento di uno sviluppo sempre più disuguale e differenziato (e maggiormente conflittuale) tra le varie aree del pianeta. Come conseguenza degli interventi di politica economica e finanziaria portati avanti negli ultimi due anni si è venuta ad evidenziare la situazione critica – rispetto alle problematiche pur gravi relative alle bilance dei pagamenti e ai debiti esteri – dei deficit e del debito pubblico complessivo degli stati, con la relativa difficoltà di finanziarlo senza strangolare la crescita con il ricorso alla leva fiscale (e senza alimentare una inflazione “galoppante”) . A tal proposito il giornalista-economista Massimo Gaggi sul Corriere del 30.04.2010 scrive:
<<L’Europa […]torna a boccheggiare schiacciata dal peso di una crisi partita dalla Grecia e a invidiare la ripresa che si sta consolidando negli Stati Uniti. Ma a Washington non c’è compiacimento: troppi i disoccupati mentre città e Stati con le casse vuote tagliano servizi essenziali, dalle scuole ai bus urbani. E l’indebitamento federale sta raggiungendo livelli insostenibili.>>
In questa congiuntura si è assistito pochi giorni fa all’insediamento della commissione antideficit, voluta da Obama, che dovrà consegnare le sue conclusioni a dicembre, dopo le elezioni di “mid term”. Al riguardo Gaggi così continua il suo articolo:
<<Forse non riusciranno a offrire al presidente una vera ricetta, ma certificare la gravità del problema, l’impatto che su esso ha avuto la crisi globale, consentirà a Obama di muoversi più liberamente, meno vincolato alle promesse politiche (come quella di non aumentare le tasse del 95% degli americani) fatte in campagna elettorale.>>
Seppure in un linguaggio criptico, insiste il nostro esperto di economia, il FMI ha cercato recentemente di far capire cosa sia necessario fare:
<<Qualcuno ha tradotto: ai Paesi ricchi, oberati di debiti, serve una “cura dimagrante” fatta di più tasse, meno welfare e servizi pubblici e di un allungamento della vita lavorativa. Cose spaventose da comunicare ai propri elettori. E se Obama avesse deciso di fare sul serio in un Paese che si sta già allenando a una dura “austerity”[…]?Magari tra un anno dovremo elogiare gli Usa, oltre che per la ripresa (se durerà), per il loro coraggio nell’affrontare il deficit. Mentre in Europa i governi continuano a passarsi cerini accesi da un vertice d’emergenza all’altro.>>
Un ultima domanda ce la facciamo noi, per concludere: cosa potrebbe accadere, qui in Europa, se risultasse necessario applicare integralmente “ricette” molto dure – tali da mettere “sotto pressione” radicalmente i ceti “nondecisori” a medio-basso reddito “costringendoli” ad una protesta disordinata – in questa fase di confusione e soprattutto con la totale mancanza attuale di una elité che possa magari guidare e orientare i gruppi sociali subordinati ?
Mauro Tozzato 02.05.2010