SI DIMENTICA TROPPO FACILMENTE, di GLG
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Si leggano attentamente le dichiarazioni di Cossiga all’epoca dei vergognosi fatti relativi all’aggressione alla Serbia; e quanto riferisce il gen. Fabio Mini in merito alla stessa vicenda. Tutti dimenticano la vergogna e il servilismo di quella “sinistra”, originatasi dalla putrefazione del Pci, che cambiò sia nome sia campo d’appartenenza. Non ne ebbe il coraggio fin quando resistette l’Urss, perfino quella gorbacioviana ormai allo sbando. Dopo il “crollo del muro” nel 1989 i piciisti svelarono fino in fondo d’essere dei voltagabbana della peggiore specie e 10 anni dopo raggiunsero il loro vertice d’abiezione servendo a tutto campo i nuovi “padroni” americani, allora sotto la presidenza Clinton, che aggredirono appunto la Serbia con scuse da veri briganti, anzi gangster perché questo sono simili falsi “democratici” e “difensori della libertà”. E fu sottaciuto quanto invece fu palesato, ma sempre appunto in modo da farlo dimenticare assai presto, da chi voleva “fare la ruota” come i pavoni; e cioè che l’aviazione italiana fu seconda solo agli Usa in fatto di bombardamenti (e quindi di eccidi di civili serbi). Già allora la “sinistra” palesò le caratteristiche servili che oggi sono all’origine dell’irresponsabile massiccio accoglimento di migranti. Adesso una sua parte, un po’ più furba, corre ai ripari, ma possiamo essere sicuri che riprenderà appena possibile a operare distruttivamente sulle nostre strutture sociali, ormai ridotte a colabrodo.
Bisogna ricordare meglio la storia di anni passati. Il Pci, alfiere dell’eurocomunismo, iniziò il suo voltafaccia alla fine degli anni ‘60 e lo sviluppò via via, seppure in segreto, negli anni ’70. E verso la fine di quel decennio, in “strana” concomitanza con il caso Moro (su cui si nasconde ancor oggi, anzi si inverte addirittura, la verità), ci fu il viaggio “culturale” negli Usa del “comunista preferito” da Kissinger. Tutto era ormai deciso fin da allora, fin dal “compromesso storico” e dal governo Andreotti del ’76, non a caso considerato di “unità nazionale”. Certamente il Pci non poteva smascherarsi ancora; e nemmeno poteva essere ammesso ufficialmente al governo poiché avrebbe avuto accesso ad una parte della vita interna della Nato (quella parte che gli Usa permettono ai loro servi di conoscere). Soluzione perciò non accettata da alcuni ambienti statunitensi e del resto nemmeno voluta da quelli che invece trattavano con questo partito “badogliano”, che aveva ancora al suo interno settori filosovietici.
La scelta dell’“unità nazionale” fu contrabbandata alla “base” (soprattutto operaia) come necessità di fronte al pericolo del “terrorismo” (in quelli che furono enfaticamente denominati “anni di piombo”), nascondendo che, se in un primo tempo ci fu probabilmente un aiuto a determinati gruppi che lo praticavano da parte di paesi dell’est europeo (quelli detti “socialisti”), successivamente tali gruppi furono infiltrati da più parti e svolsero un ruolo ormai pasticciato e che non aveva più nulla a che vedere con gli intendimenti di chi aveva sbagliato gravemente nella scelta fatta, ma sicuramente in buona fede. Una buona fede, tuttavia, poi malamente guastata dal continuo appoggio ad azioni che ormai favorivano i poteri dominanti; e per di più quelli che appunto spingevano, come anche il Pci dell’“eurocomunismo”, verso il pieno servaggio nei confronti degli Stati Uniti. E la vicenda Moro è stato un evento molto importante nel far capire – per chi voleva capire – dove il “compromesso storico” stava spingendo. E quella parte della Dc (in primo luogo Andreotti) che lo accettò, pur magari perché sperava di controllare la situazione, fece il gioco dei piciisti “del tradimento” e della “sinistra diccì”.
Crollati il “socialismo” e l’Urss, tutto esplose nella sua verità, tuttora incredibilmente misconosciuta da una popolazione ormai dimentica della più recente nostra storia. I piciisti voltagabbana divennero il fulcro di quella “sinistra”, che si tentò, tramite “mani pulite” (operazione ben nascostamente guidata da oltreoceano), di rendere fulcro di un nuovo regime permanente e mille volte più servile verso gli Usa, che ormai sembravano poter puntare ad un nuovo monocentrismo mondiale. L’ Urss era distrutta e sotto la presa, pur essa servile verso il paese ormai predominante, di quella parte politica espressasi in Gorbaciov, poi liquidato e sostituito con Eltsin. Sembrava avere qualche velleità (ma blanda) la Germania, che approfittava del crollo socialistico per espandersi verso est, in specie in Polonia e ancor più verso i paesi dell’ex Jugoslavia, in particolare Croazia e credo anche Serbia. Non dico che la mossa Usa del ’99 fosse motivata principalmente da tale fatto. Comunque, il paese preminente decise che era bene porre saldamente nelle sue mani quell’area (la base militare poi creata proprio in Kosovo credo sia fra le principali statunitensi). Fu ben istruito Thaci e il suo gruppo di criminali fatti passare per forza di liberazione del proprio paese. Un individuo che una commissione europea ha indicato quale trafficante in organi umani (di serbi uccisi) e oggi presidente del Kosovo: qui
L’aggressione alla Serbia portò tuttavia una sorpresa spiacevole per gli Usa. Iniziò la rinascita russa. Primakov, allora primo ministro, si schierò nettamente contro l’azione statunitense (venne a sua conoscenza durante il volo che lo stava portando a Washington e diede ordine di tornare indietro, annullando l’incontro). Eltsin lo fece allora dimettere, ma il suo posto venne preso da Putin e alla fine del ’99 il vile presidente russo si dimise a sua volta. Da lì prende avvio l’“era” putiniana che, a partire dall’inizio del secolo, vede la continua crescita di potenza della Russia, certo territorialmente “amputata” rispetto all’Urss e non ancora così potente come quel paese. Tuttavia, certe speranze americane di far cadere Putin (e il gruppo che detiene il potere) sembrano in fase di delusione e, malgrado l’economia lasci ancora a desiderare, la situazione interna russa appare migliore di quella sovietica sia per una più elastica struttura sociale sia per una politica estera finora abbastanza avveduta.
La vittoria presidenziale di Trump – forse perfino in anticipo rispetto ai calcoli della parte che lo supporta – ha creato problemi agli Usa nel corso del tentativo di apportare decisi mutamenti rispetto alle strategie seguite dalle precedenti presidenze. Per il momento, tuttavia, il neopresidente è obbligato a numerosi retromarcia; e ancora non si comprende se ciò sia un vero cedimento al vecchio establishment o soltanto un necessario adattamento tattico alle difficoltà create dall’acuto conflitto per il cambiamento strategico. In ogni caso, sia chiaro che Trump – anche se alla fine riuscisse a stabilizzarsi, realizzando il rivolgimento richiesto dal multipolarismo in avanzata, pur non linearmente ma attraverso continui “cambiamenti di fronte”, che rendono sempre più complicata l’interpretazione e previsione delle mosse dei vari “attori” – perseguirà pur sempre il fine del predominio Usa. Non può certo fare diversamente; ridicolo è solo pensarlo. Cambiano i metodi – e modificarli significa dover sostituire certi gruppi dominanti ad altri; ecco il motivo del conflitto veemente tra Trump e gli “altri” – ma non gli obiettivi cui si mira. Un paese che domina deve continuare a farlo, pena un crescere impetuoso dei suoi conflitti sociali, interni, che possono farlo regredire in modo assai pericoloso.
Questa situazione americana ha riflessi importanti su una serie di contraddizioni che sembrano in via di sviluppo anche in sede europea; e che interessano attualmente con nettezza il nostro paese. La questione dell’immigrazione (in Italia praticamente selvaggia anche se oggi, furbescamente, alcuni settori p-idioti fingono un indurimento delle posizioni) è solo uno dei problemi, che non tarderanno a creare necessità di riadattamento delle politiche sedicenti comunitarie. Molto dipenderà comunque da quanto si verificherà in casa del “paese padrone” dei nostri destini. Sintomatico è l’appannarsi della politica di coloro che sono stati denominati populisti (solo un ammorbidimento dell’accusa di fascismo). Essi hanno troppo creduto nella svolta trumpiana; adesso sono delusi, ma se per caso questi vincesse la partita con il vecchio establishment, riprendendo almeno in parte il cammino che sembrava aver intrapreso, questi settori politici mostreranno, temo, la corda. Infatti, sono ancora troppo intossicati dalla dannosa “democrazia” elettoralistica che imperversa da ormai settant’anni. Non riescono a liberarsene; e se non sorgeranno forze sane in tal senso, non credo che raggiungeremo alcun serio risultato.
In particolare, in Italia non si riesce, da tanto tempo (per certi versi si deve risalire all’assassinio di Mattei o quasi), a mettere in piedi una politica, nazionale ed estera, che ci preservi dall’annientamento di ogni settore strategico. Sarebbero indispensabili nuovi decisi spostamenti di alleanze che ci liberino del predominio statunitense, vera causa del nostro regresso, mascherato da ridicole “ripresine” che non cambiano in nulla la nostra situazione politica, la disgregazione sociale in atto e il pauroso degrado culturale cui ci condanna un ceto intellettuale mancante di intelligenza a causa dell’incapacità di ripensare veramente vecchie e ormai incartapecorite ideologie; del resto seguite ormai in completa malafede quando tutte le convinzioni di cervellotiche “rivoluzioni” si sono trasformate in falso buonismo, involuzione dei costumi, degenerazione morale e, insomma, in tutto il peggio che ci sta precipitando addosso.
O si riesce a spazzare via questi infami che distruggono la nostra vita o altrimenti la nostra sorte è segnata. Almeno fino a quando il multipolarismo condurrà al policentrismo aperto, che provocherà più distruttivi conflitti; distruttivi in termini materiali, ma magari rigenerativi perché ci libereranno di questa infezione diffusa mediante le sempre più abominevoli turpitudini, fra l’altro connesse alla “democrazia” e “libertà” di stampo statunitense. Proprio il cinema e la letteratura di quel paese, ma in tempi che sembrano tramontati, le hanno denunciate con maggiore coraggio; senza però cambiare in nulla l’infamia del suo vertice politico. Qui da noi, però, si è rinunciato assai presto alla denuncia. Già negli anni ’70 essa era fortemente indebolita; dagli anni ’90 siamo in balia di ceti politici e intellettuali (per non parlare di quelli economico-finanziari) di una infamia senza precedenti. O a questi si fa subire una sorte terribile, annientandoli e azzerandoli in ogni loro manifestazione; o altrimenti dovremo appunto attendere la “grande tragedia” purificatrice. Ne riparleremo molte e molte volte. Per il momento mi fermo qui.
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