SI SVEGLIANO TARDI, di GLG, 1° luglio ‘13
Si stanno scoprendo alcune verità, sia pure sempre artefatte in diverse guise a seconda di quali sono i “muti” che cominciano a chiacchierare. In ogni caso, cominciano a saltar fuori determinate notizie; certo, lo ripeto, aggiustate ma comunque assai diverse da quelle raccontate per tanti anni e decenni. Così sta avvenendo per il “caso Moro”. La prima domanda che si pone è: per quale motivo proprio adesso certi personaggi, anche minori, si mettono a “cantare”? Avanzano molte scuse forse credibili per il grosso pubblico, ma che non convincono per nulla il sottoscritto. Non sono mai stati interrogati, dicono. Benissimo, ma non credo lo si sia fatto adesso; diciamo che qualcuno desidera che “cantino”. Comunque, non è cosa che noi possiamo sapere, assistiamo semplicemente a fatti per il momento non proprio comprensibili e dunque alla ripresa di vecchie storie in salsa odierna. Colgo l’occasione per ripetere alcune notazioni già scritte in passato, magari con qualche altra “curvatura” in più.
La prima verità, che ci si ostina a non rivelare con chiarezza (anzi si continua con la vecchia solfa menzognera), è che Moro non era per nulla favorevole al “compromesso storico”. Come tutti i politici, e tenendo conto degli equilibri di allora e del comportamento di certi ambienti statunitensi di primo piano e potenti, avrà agito con prudenza, avrà dimostrato un certo possibilismo, ma si rendeva conto dei pericoli insiti nelle manovre del Pci. Non poteva prevedere l’89 e anni seguenti, ma si rendeva conto dei disegni di dati ambienti piciisti, che divennero maggioranza e presero la segreteria del partito nel ’72 con Berlinguer (ma già con la sua vicesegreteria nel ’69 certi giochi erano “segnati”); e la presero con l’aiuto di ambigui “amendoliani”, di cui si tace il nome (tanto lo si capisce), poiché i “più revisionisti” del Pci (secondo gli standard in uso nella polemica ideologica dell’epoca, tutta presa dall’idea di un ripresentarsi in scena del conflitto tra neoleninisti e neokautskiani) erano anche sostanzialmente filosovietici. Criticavano, e senza mezzi termini, la mancanza di “democrazia” (quella per noi borghese) in Urss, ma stavano dalla sua parte, pur sempre presumendo si trattasse di un paese socialista. Non ci si scordi che invece, per i neoleninisti (maoisti), il “socialimperialismo” (Urss) era considerato più pericoloso dell’“imperialismo” (Usa).
Fin dal ’69, in definitiva, certi ambienti piciisti – quelli “meno revisionisti”, appoggiati di fatto dall’ala (altrettanto presunta) sinistra del partito, quella detta ingraiana, con al seguito i “manifestaioli” – erano in realtà in contatto con i suddetti ambienti statunitensi; in quel momento “di riserva”, poiché i più attivi direttamente in politica estera appoggiavano vari colpi di Stato militari, tipo in Grecia e subito dopo in Cile, ecc. Quelli “di riserva” preparavano le eventuali successioni con regimi “democratici”, ma che restassero filo-atlantici, che anzi servissero ancora meglio gli Usa proprio sotto la maschera della “democrazia” e di una certa libertà di movimento sociale e sindacale, ecc.
Quando parlo di Moro, voglio significare una buona parte della Dc, ma anche del Psi e di altri partiti governativi. Questi sapevano delle discrete manovre statunitensi per attirare il cosiddetto “eurocomunismo” nel “fronte democratico” che doveva all’occorrenza sostituire i regimi apertamente dittatoriali. Almeno dal ’69, il Pci (cioè date sue parti, divenute però rapidamente maggioritarie ai vertici) cominciò ad intrigare con i suddetti ambienti statunitensi. Favorevole a simili approcci, perché legata alle frazioni dirigenti statunitensi “di riserva”, era la sedicente sinistra Dc e porzioni di altri partiti (credo anche di quello socialista, pur se poi tale partito, dal ’76, fu dominato dai craxiani fortemente ostili alle manovre piciiste per ovvii motivi); probabilmente lo erano pure i “lamalfani” (repubblicani), ecc. Se Moro non poteva prevedere quanto avvenne dopo l’89, certamente gli ambienti diccì in questione sbagliarono grossolanamente i loro calcoli. Se ne accorsero troppo tardi quando con “mani pulite” si precisò il disegno di dati ambienti (americani con i loro scherani in Italia, compresi i settori confindustriali) di assegnare il nuovo governo in Italia a quelli che si erano conquistati la fiducia in quanto migliori servitori. L’intoppo Berlusconi, provocato dalla stupidità dei suddetti dirigenti confindustriali con i loro beceri segugi nella direzione dei post-piciisti (ora piddini), ha in fondo in parte conservato qualche funzione agli ex diccì, che oggi sperano di tornare in sella con i “nuovi virgulti”: con Letta e magari con Renzi (o similare) nel Pd.
Tornando a quel periodo, bisogna ricordare che si è finta a lungo l’ostilità degli Stati Uniti rispetto ai rapporti tra Dc e Pci. Il processo del voltafaccia di quest’ultimo era appena iniziato e doveva procedere con gradualità e circospezione poiché l’Urss e il campo “socialista” non erano ancora implosi; nel partito esistevano forti frazioni (maggioritarie nella base operaia, pur se minoritarie al vertice) di tipo nettamente filosovietico, per cui era comprensibile la motivazione secondo cui esso doveva restare fuori del governo per ragioni di segretezza di dati piani Nato, ecc. La direzione piciista, ormai favorevole al cambio di campo, accettava pienamente questo necessario ritardo, ma intanto continuava a porre le basi del suo spostamento. E il viaggio (fintamente culturale) del ’78 di un suo rilevante esponente fu una pietra miliare in tale processo. E’ indubbio che Moro era fra quelli che meglio conoscevano le intenzioni del Pci.
Non voglio avanzare illazioni sul fatto che il dirigente democristiano sia stato rapito poco prima di quel viaggio del piciista negli Usa. Sarà stata senz’altro una coincidenza. E’ comunque molto probabile che, durante la prigionia, egli conobbe (o comunque capì) ancora meglio quanto si stava svolgendo; se fosse uscito vivo dalla vicenda, avrebbe posto molti bastoni tra le ruote dei “voltagabbana”. Sono convinto che anche Andreotti sapesse molto a proposito di questi ultimi, ma è sempre stato troppo mediatore e con in piedi in più scarpe; e alla fine ciò lo ha perso. Era nero dopo l’89, capì che era finita, ma decise che ormai era meglio continuare ad “abbozzare”; curvò quindi viepiù la schiena e si preparò a passare tutto ciò che dovette passare. Quanto a Cossiga, è sensato pensare ad una sua convinzione di riuscire a guidare il processo di inserimento del Pci nel campo atlantico sotto l’egida della Dc. Non prevedeva lo sconquasso del campo “socialista”, così rapido e improvviso con Gorbaciov; e tanto meno prevedeva che la Dc sarebbe divenuta mero elemento di supporto (in date correnti, appunto quelle dette comicamente “di sinistra”) dell’ex Pci nell’eseguire con la massima docilità gli ordini degli Usa (e, in quanto meri “cotonieri”, dei nostri confindustriali agnelliani).
Diciamo due parole sulle Br. Secondo me erano sinceri nel loro schieramento avverso sia all’imperialismo sia al socialimperialismo. Pensare quindi che facessero il gioco di uno dei due è pura fantasia. C’erano infiltrazioni? Ne ho molti dubbi e comunque non è questo il “clou” della questione. Secondo me, quei militanti non avevano compreso la debolezza dell’Urss e del “socialismo” rispetto al capitalismo, erano convinti che alla fine si sarebbe arrivati allo scontro mondiale, e quindi immaginavano di poter giostrare “leninisticamente” tra le contraddizioni del nemico (per loro erano entrambi nemici: capitalismo occidentale e presunto socialismo sovietico). Non ho mai creduto alla loro “potenza geometrica” nel rapimento; non fatemi ridere. E’ ovvio a mio avviso che sono stati coadiuvati da personale del “nemico” (dell’est o dell’ovest? Non so, magari il gioco era tanto intricato che nemmeno i brigatisti afferrarono bene con chi avevano a che fare). Forse lo ha alla fine capito meglio Moro nei colloqui avuti con loro, poiché lui aveva probabilmente qualche possibilità di decriptare determinati comportamenti di questo o quel Servizio.
Ho sempre pensato che il nascondiglio ove era tenuto prigioniero il democristiano fosse conosciuto fin da subito. E nutro tanti dubbi circa la tesi che non sia scattato alcun blitz per non rischiare la sua vita. Non c’era alcun rischio, il detenuto era dove doveva essere e dove doveva restare per un tempo indeterminato. Sia chiaro: nemmeno sono convinto, come qualcuno pensa, che la sorte di Moro fosse già decisa (l’avrebbero allora ucciso ben prima, forse subito). Se avesse ceduto su “alcuni punti” – ma non sappiamo quali e non possiamo quindi sostenere che riguardassero proprio i rapporti tra Pci e Usa e dunque tra Pci e Dc per un graduale avvicinamento dei comunisti al governo, passando prima di tutto per un appoggio esterno come quello già verificatosi con il governo Andreotti del ’76 (sempre per i problemi interni al partito e quelli inerenti alla Nato, problemi già sopra accennati) – avrebbe avuto salva la vita. Ci sono stati numerosi scambi nella trattativa durata tutto il periodo della prigionia; e sicuramente hanno riguardato pure biglietti e lettere – recapitati dai brigatisti, che ho l’impressione abbiano svolto principalmente il compito di “postini” – tra Moro e date “autorità”. In questi scambi, è probabile ci fossero messaggi impliciti, un dialogo che le Br probabilmente nemmeno capirono (non ne sono certo, lo suppongo). Alla fine, qualcosa “ha perso” lo statista diccì; evidentemente non ha accettato ciò che si desiderava (pretendeva, data la situazione) da lui.
Quando ci fu la famosa (e ridicola) seduta spiritica, in essa non fu secondo me rivelato nulla che le “autorità” non sapessero; tuttavia, era un segnale lanciato dalla “sinistra” Dc perché infine le trattative cessassero e si arrivasse ad una più rapida conclusione, qualunque essa fosse: o Moro cedeva sugli “alcuni punti” o altrimenti che il suo destino si compisse. Può darsi che dopo la seduta i carcerieri abbiano mutato sede. Non ne sono però convinto, perché il covo era conosciuto fin dall’inizio, anzi credo fin da prima del rapimento stesso; insomma, era già deciso dove portare Moro (e non deciso dai brigatisti, anche se questi erano probabilmente certi del rispetto di un accordo reciproco in tal senso con i loro nemici, sulle cui contraddizioni pensavano di giocare). Insisto: i brigatisti erano in buona fede, erano sicuri di portare a segno un duro colpo al regime in Italia, ma in realtà ci si è con molta duttilità serviti di loro per mettere Moro in difficoltà e tentare di costringerlo a piegarsi a qualcosa cui non voleva accondiscendere, e di cui aveva cominciato a diffidare fin dall’epoca delle manovre nella Grecia dei colonnelli, nel Cile del povero Allende e delle trame per rovesciarlo, ecc. Quindi perché cambiare un “nascondiglio” già ben noto e sotto controllo? Comunque, tutto è possibile, non è il problema del (finto) covo che ci interessa.
Infine, l’ultima dissonanza contenuta nelle rivelazioni di questi giorni. Signorile racconta che mentre Moro veniva ucciso era in corso la seduta della direzione Dc, indetta da Fanfani, per lo scambio “uno contro uno”. In passato avevo sentito dire che si trattava di due brigatisti(e), ma ancora una volta questa discrepanza non ha interesse. Rilevante è invece il fatto che a quell’epoca si fosse parlato, in realtà confusamente e a mezza bocca, della riunione Dc in questione, tenuta però la sera prima dell’uccisione di Moro; quindi già bell’e terminata, quando si verificò tale evento, con la decisione di proporre lo scambio la mattina seguente, il che già fa capire che si sapeva bene come e dove far pervenire il messaggio ai carcerieri. E si è detto che invece “qualcuno” riuscì a precedere tutti e a comunicare ai brigatisti la falsa notizia che era stato deciso di rompere gli indugi e di compiere una irruzione poliziesca. Ed è logico che questo “qualcuno” abbia anche garantito ai brigatisti stessi la possibilità di fuga e il “non inseguimento”; non almeno in quell’occasione e in quel contesto.
Si capisce bene, credo, l’importanza del momento in cui fu tenuta la riunione della direzione Dc. Chi sostiene che fu contestuale all’uccisione vuol far dimenticare che ci fu una falsa comunicazione per far precipitare la situazione. Mi dispiace per costui, ma allora non si comprende il perché, dopo 55 giorni di prigionia, si fosse deciso di ammazzare lo statista diccì proprio quella mattina. No, questa storia non funziona! Molto più chiara la situazione con la riunione democristiana tenuta la sera avanti e con quel “qualcuno” che mentì in merito alla decisione presa: non scambio di prigionieri, ma blitz della polizia. E garanzia di fuga per i carcerieri. Alta era ormai la preoccupazione di quel “qualcuno” che Moro uscisse vivo e tornasse a manovrare nella politica italiana, sapendo quello che sapeva e che si era probabilmente rinsaldato nel periodo di prigionia. Dopo le testimonianze apparse in questi giorni – e con Cossiga presente di primo mattino e che dava la netta impressione di sapere già chi giaceva cadavere nel bagagliaio della vettura – pensare che i brigatisti potessero accoppare Moro, accartocciarlo in quel bagagliaio e andarsene via tranquilli, senza la minima ombra della polizia (agli ordini dell’allora Ministro degli Interni), è una colossale presa per i fondelli.
E’ ovvio che io ho una precisa convinzione su chi voleva mettere fuori gioco Moro e dunque trasmise la falsa comunicazione, garantendo inoltre la via di fuga ai carcerieri (in quell’occasione, perché poi furono tutti presi); ma non posso affermare nulla di certo poiché non ne ho alcuna prova se non il mio cervello funzionante secondo le modalità razionali del “metodo indiziario”. Moro non voleva il “compromesso storico”; ed è completamente falso che questo fosse perseguito in contrasto con gli Usa. Andate a raccontarla a qualche imbecille. L’accordo tra Dc e Pci (visto con netto ostracismo da Craxi, che comprendeva bene dove si volesse arrivare) era sostenuto e promosso dai famosi ambienti statunitensi “di riserva” (che agiscono in coordinamento con quelli più “cattivi”, più “duri”, ne rappresentano la sostituzione qualora si verifichino le contingenze necessarie). Il Pci non poteva entrare subito al governo per i motivi già visti; dal ’69 erano però in piedi i contatti tra la corrente maggioritaria ai suoi vertici e detti ambienti Usa. Il viaggio (“culturale”) del ’78, preparato a lungo e con visite preliminari oltreatlantico di altri “ambasciatori” del Pci, è stato un evento importante per perfezionare l’accordo.
Questo il punto di partenza se si vuol capire il “caso Moro”. Chi continua a mentire con la storiella degli Usa contrari al compromesso storico, e incazzati con Moro perché ne sarebbe stato uno dei fautori, ha il solo obiettivo di insabbiare una verità scomoda. Alcuni, lo credo, sono perfino in buona fede. Tuttavia errano gravemente; la smettano dunque di tenere bordone a coloro che sanno bene che cosa si svolse allora (ne sono morti molti in 35 anni, ma non tutti). La verità sta dalla parte opposta. Ed è fondamentale conoscerla perché quanto accaduto dopo l’89 e dopo “mani pulite” – con tutto il mefitico andamento (im)politico degli ultimi vent’anni, che ha condotto questo paese allo sfacelo – è strettamente legato alle vicende di quegli anni. Occorre ripristinare la verità per combattere i nostri acerrimi nemici di adesso. Non si rimette in sesto il paese finché non si distruggono le conseguenze micidiali di quegli eventi e, soprattutto, dell’infausto cambio di campo dei sedicenti “comunisti”, una delle maggiori vergogne del nostro paese; gli eredi di costoro continuano ad intrallazzare e a determinare le nostre sorti. Fra di loro cercano di riprendere vigore determinate frazioni che si richiamano, anche nel modo di condurre la politica, alla “democristianeria” d’un tempo. Continuiamo a non voler far luce sugli anni ’70, e su uno dei nodi essenziali di quel periodo, e vedrete dove ci ritroveremo.
E sia chiaro che la “destra” berlusconiana è sempre stata connivente con tali nascondimenti della verità. La grande menzogna del pericolo di andata al potere dei “comunisti”, in realtà dei semplici voltagabbana, è servita a rendere più fitte le nebbie per non disturbare l’“alleato” (il padrone) statunitense. Bisogna liberarsi della “sinistra”, che tale non è mai stata, ma pure della finzione di questa “destra” meschina, che ha semplicemente giocato in questi anni al fine di mantenersi a galla e di dimostrarsi “migliore servitrice” degli interessi statunitensi. E’ indispensabile andare contro questo quadro (im)politico totalmente deteriorato; la verità sul passato è del tutto funzionale alla lotta presente contro questi loschi figuri. Il futuro non sarà mai nostro senza luce su quei fatti, quei vergognosi fatti.
PS Bisognerà ancora tornare sull’argomento, perché sono sempre possibili equivoci. Questo è un “vaso di Pandora”; quando lo si scoperchia, ne esce di tutto e non è facile organizzare e controllare tutto il contenuto.