SI TENTA DI CHIUDERE IL CERCHIO di G. La Grassa

(a seguire "Tutti a preoccuparsi dei salari" di F. D’Attanasio)

    

Il 5 dicembre si disse che forse Cossiga non sarebbe stato presente il giorno dopo al Senato per votare il decreto sulla sicurezza; ma se fosse riuscito ad andarci, avrebbe votato no perché, secondo quanto riportato con le sue parole, avrebbe “provato vergogna a presentare da ministro un simile pacchetto sicurezza”. Il giorno dopo, la situazione appare in bilico, fatti tutti i calcoli mancano voti. Cossiga arriva e vota a favore (160 a 158); avesse votato contro, come sostenuto il giorno prima, sarebbe stato un 159 a 159 con rigetto del decreto e della fiducia. Cossiga è “strambo”, si dice. Basta con le spiegazioni basate sugli “strani umori” degli individui; non servono nella Storia (non è la “pazzia” di Hitler, le “crisi depressive” di Lenin, la “criminalità” di Stalin, la “megalomania” di De Gaulle, ecc. a spiegarla!), e non servono nemmeno nella cronaca, neppure nella più miserabile come quella della nostra politica d’oggidì.

     Il giorno successivo alla votazione, l’ex presdelarep dà una motivazione del suo voltafaccia: si trattava di salvare D’Alema in un momento difficile, in cui si addensano nubi di crisi per la decisione del Kosovo di proclamarsi Stato indipendente (il 10 dicembre, ormai alle porte). La scusa di Cossiga è inquietante perché riporta alla mente il 1998, quando proprio lui favorì la caduta di Prodi e la nomina a Premier dell’attuale ministro degli esteri, che divenne così, l’anno successivo, il bombardatore della Jugoslavia al seguito di Clinton. Tuttavia, per quanto importante sia la politica estera per qualsiasi paese, mi sembra incredibile che si tenga in piedi un Governo così ridicolo e insieme pericoloso (per lo sfascio del paese) in base alle motivazioni addotte da Cossiga. Forse che il Governo non resta in carica fino a quando non ce n’è uno successivo? E, nel successivo (mettiamo pure si tratti di un esecutivo tecnico o istituzionale), non esiste forse un Ministro degli esteri? In una situazione, in cui lo scontro decisivo sul Kosovo è ancora una volta tra Usa e Russia, ci si viene a raccontare che il “vaso di coccio” italiano diventa importante se c’è D’Alema? Nonostante tutti i suoi tentativi di apparire tale, non considero Cossiga un “pirla”; quindi la sua scusa la racconti “in famiglia”, ci fa più bella figura.

     Negli ultimi anni tale personaggio ha rilasciato incredibili interviste, in cui ha rivelato come ha fatto tacere la stampa americana che, all’epoca di “mani pulite” e in base alle “confessioni” (mirate) del “pentito” Buscetta manovrato da “manine d’oltreoceano”, aveva cominciato a fare troppo spesso il suo nome; ha rivelato almeno 7-8 “fatterelli”, in cui lui e Moro avevano manovrato i servizi segreti, ricevendo talvolta ritorsioni (come l’abbattimento dell’Argo 16 da parte del Mossad); ha rivelato una serie di retroscena del “caso Moro”, ecc. Nessuno gli ha chiesto spiegazioni; non le avrebbe fornite, infischiandosene di questi meschinelli di politici italiani attuali, ma andavano chieste per pura decenza, come minimo dalla stampa e media in genere. Invece niente: tanto è pazzerello! E’ invece più lucido dei cretini meschinelli di cui sopra; ha un suo disegno (che ovviamente non sarà soltanto suo ma lo condividerà con “altri”) di sfascio e discredito completi della politica, tali da condurre il paese in un cul di sacco con la pressante esigenza di un mutamento radicale; nel frattempo, bisogna che questo governo adempia ad alcuni servizi considerati essenziali per preparare la chiusura del cerchio (un regime soffocante, in cui i dominanti non vengano più disturbati).

 

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     Dini ha rilasciato subito prima del voto in questione una intervista al TG4, in cui dichiarava in termini chiari che il Governo era ormai finito e se ne doveva andare, perché i guai per l’Italia erano ormai quasi irrimediabili, siamo arrivati ad essere il fanalino di coda dei paesi più sviluppati (in questi giorni è stato annunciato lo storico sorpasso: la Spagna ha un reddito pro-capite superiore al nostro), e via di questo passo, elencando non errori, ma autentici misfatti (nell’opinione di Dini) di un Governo antiliberistico e prigioniero della sinistra detta estrema (la tesi di Berlusconi). Anche Dini, con “grande coerenza”, ha votato la fiducia sul pacchetto sicurezza, così come Bordon (pure lui ogni secondo giorno intervistato direttamente da Fede, cui partecipa il suo crescente cruccio per i disastri che combina questo Governo, mettendo l’Italia in condizioni tali che non si sa come farà a risorgere). Evidentemente, Dini e Bordon hanno il loro disegno (pur sempre condiviso con “altri”), per realizzare il quale bisogna che si giunga ad un dissesto del tutto insopportabile; inoltre, anche per loro, è evidentemente indispensabile che il Governo realizzi alcune occupazioni di posti necessarie al regime da instaurare (non credo comunque che il progetto sia esattamente il medesimo di quello degli “altri”, di cui si fa punta di lancia Cossiga).

  

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 Il 5 dicembre, in una cena privata con i “suoi” (quelle cene di cui si sa perfino che cosa si sono detti i cani che stavano sotto il tavolo), Berlusconi afferma esplicitamente ciò che si sa da mesi (e non solo da mesi): che Casini (sostiene invece che Fini non ci starà, di lui si fida malgrado tutto) si appresta a fare un movimentino di centro – doveva essere in origine il “grande centro”, ma dovrà accontentarsi di un “centrino” – in grado di fare da pendolo tra destra e sinistra a seconda delle convenienze; ma l’idea è di stare principalmente con il Pd, consentendogli di liberarsi della famosa sinistra “estrema”. Si tratta di un autentico segreto di Pulcinella; perfino questo blog, qualche giorno fa, ha riportato in proposito documenti del tutto pubblici, fra cui una intervista (chiara oltre ogni dire) di Baccini (Udc), dichiarazioni di altri nello stesso senso, ecc. 

Invece, apriti Cielo! Si incazzano tutti, non solo Casini, ma Fini e perfino Bossi. I tre si telefonano e incaricano i loro portavoce di fare…..la voce grossa con il cavaliere, perché vuole sfasciare il centrodestra (ma se è sempre stato un bazar fin dall’inizio). Costui, che è stato paragonato a Mussolini mentre a me sembra spesso Don Abbondio, si affanna a smentire, anche lui tramite portavoce. Passano 24 ore – dico solo 24! – e, con rulli di tamburo e squilli di fanfara (tanti giornalisti avvertiti e presenti), si trovano a pranzo Casini, Fini e….Montezemolo (sempre in mezzo). Siccome, a furia di andare al mare (o fanno le lampade?), questi sono sempre abbronzati, la loro faccia….di quel tipo ha loro consentito di raccontare che non hanno parlato di progetti comuni, solo di politica “in generale”. Montezemolo ha negato di pensare all’entrata nell’agone; per si e per no, ha comunque affermato che questo Governo fa schifo, ma che anche il precedente lo aveva fatto e non aveva mai attuato le promesse di un sano liberismo (confindustriale). Peccato che, in quelle stesse ore a Napoli, Berlusconi rivelasse un altro segreto di Pulcinella: che nel precedente Governo ogni misura “liberale” (e liberista) era boicottata aspramente proprio dai suoi alleati (i commensali di Montezemolo), che hanno il loro elettorato soprattutto al sud (quasi metà Udc è in Sicilia) e nel settore dell’impiego pubblico.

Comunque, un minimo di fair play avrebbe imposto a Fini e Casini di chiedere scusa per la levata di scudi del giorno prima; e avrebbe richiesto a Berlusca, che racconta sempre barzellette, di fare dell’umorismo inviando alla sede dove i tre pranzavano una bella corbeille di crisantemi, rigorosamente bianchi.

 

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Il cerchio si chiude intanto sull’Alitalia, dopo una sfibrante gara di appalto in cui il Governo aveva il compito di far fuggire tutti affinché restasse AirOne. Così è stato. E siccome questa società non ha i soldi (si sapeva fin dall’inizio chi glieli avrebbe dati, è da mesi che lo scriviamo nel blog!), essa viene supportata da Intesa (“amica”, per non dire il termine appropriato, dell’attuale premier) attorniata dalla Nomura (giapponese), ma soprattutto dai due giganti americani Morgan Stanley e Goldman Sachs (ben nota ai nostri lettori per l’ingombrante presenza nei gangli di potere, finanziario e politico, in Italia). Nel mentre è stata fatta fuggire la Lufthansa, che si sarebbe accollato il compito di dare spazio a Malpensa, si accetta con evidente soddisfazione AirFrance, concorrente ma non troppo, forse quasi alleata, visto che è corteggiata da Prodi e TPS, che si sono assunti il compito di “guidare” la gara ormai in pratica vinta da AirOne; solo che la compagnia francese fa comunque attenzione al problema del passivo e del personale in carico alla società italiana, considerato in eccesso.

Comunque, senza fare tanti commenti, ricordiamo alcune cose. Intanto, si è strombazzata la difesa dell’italianità per far ritirare tutti gli altri concorrenti; ma pur lasciando da parte la presenza di AirFrance (vedremo che fine farà), non ci si venga a raccontare balle: Intesa non è certo la banca preminente in rapporto ai colossi finanziari che ha intorno. Ricordo poi che tale banca italiana – ben legata ai più grossi istituti finanziari americani – è stata forse la più decisa nel conflitto con Fazio (secondo la mia opinione, molto vicino invece alla finanza vaticana), conclusosi con le sue (obbligate) dimissioni e la nomina al suo posto di quello che era stato fino ad allora il vicepresidente (per la sezione europea) della Goldman. Secondo me, Intesa (al di là del presidente “cattolico”) gioca in combutta con settori del predominante capitale finanziario americano (ad es. appunto la Goldman); è quindi la punta avanzata della struttura finanziaria italiana (dipendente dalla grande potenza straniera) che ha tratti di rassomiglianza con quella esistente nella Repubblica di Weimar.

A riprova del predominio del capitale finanziario (ma solo in Italia perché, come già detto, esso è subordinato a quello USA), e a ulteriore riprova dei motivi per cui questo Governo è tenuto in piedi pur essendo morto e incapace di fare alcunché di utile, si ha notizia che Passera (ad della solita Intesa) è in pole position per la nomina (verso aprile) all’Eni al posto di Scaroni (in scadenza e cui non mancherà qualche altro “goloso” incarico). Naturalmente, si racconta che tale passaggio di carica è dovuto ad un attrito sempre più forte tra il presidente di Intesa (Bazoli) e il suddetto ad; mi si permetta di avere dubbi circa questa “recita a soggetto”. Comunque, pur se ciò fosse vero, si tratta di motivo secondario rispetto a quello fondamentale per cui una parte vuol prendersi il controllo economico-finanziario del tutto (l’intero sistema-Italia), ponendosi in una posizione di (sub)dominanza (dominanza all’interno, “servitù” verso la nazione predominante).  

 

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Ho già scritto alcuni giorni fa circa i motivi per cui non fanno cadere questo governo zombi, malgrado tutti ormai ne parlino male e annuncino sempre di lasciar affondare la barca pur di mettersi in salvo. Non dico che sia l’unico motivo, ma quello delle presidenze (ormai in scadenza a primavera) di imprese fondamentali, quali Eni, Finmeccanica, ecc., non è in ogni caso l’ultimo; e non ci si dimentichi che si deve pure nominare il nuovo comandante in capo delle Forze Armate. Si tenga inoltre presente che in un nodo (groviglio) delle rete dei poteri in Italia, la Telecom, è già stato posto al vertice il duo Bernabé-Galateri, cioè quello voluto dalla solita Intesa (con le alleanze già considerate), ricordando fra l’altro che: a) Bernabé era vicepresidente (direttore della sezione europea come al solito) della Rothschild (capito?); b) Geronzi, presidente di Mediobanca (che è voce importante nella Telecom) ha dovuto accettare un compromesso, dopo un incontro con Bazoli, cui – almeno così ho letto – sarebbe intervenuto anche il noto Angelo Rovati; e non credo a titolo personale.

Rammento che questo signore aveva l’anno scorso presentato un piano – preparato, si dice, da altri due personaggi, già dirigenti della solita Goldman, di cui uno è attuale viceministro dell’economia – per prendersi la Telecom tramite la “pubblica” Cassa Depositi e Prestiti (in cui sono fortemente presenti fondazioni bancarie legate, guarda un po’, all’Intesa). “Scoperto” il piano (perché Tronchetti non era d’accordo), Prodi fece lo finto gnorri, Rovati si prese tutte le colpe (un’idea sua, ma chi ci crede!) e si dimise da portavoce del premier; ebbene, allora a che titolo si sarebbe trovato a Milano all’incontro tra Bazoli e Geronzi per decidere quel “compromesso” che ha posto ai vertici di Telecom il duo voluto dal primo? Di fatto, si è trattato di una resa del secondo, che è sotto la spada di Damocle della magistratura. Anche le nuove regole di “onorabilità”, che il Governatore della Banca d’Italia – mi auguro ci si ricordi da dove proviene; e che la Goldman è “alleata”, diciamo così, di Intesa – vorrebbe far approvare, e che dovrebbero essere rispettate nella nomina ad importanti cariche bancarie, metterebbero in difficoltà l’attuale presidente di Mediobanca. Per il momento, alcune grandi banche si oppongono all’approvazione di simili regole, che potrebbero aprire la strada – previa eliminazione di un ostacolo in Mediobanca (se il suo presidente fosse obbligato a dimettersi), la quale è l’azionista detto “di riferimento” in Generali – alla conquista di questo nodo decisivo della finanza italiana, saldando così definitivamente il potere del complesso finanziario guidato da Intesa e subordinato a quello americano (a una parte importante di quest’ultimo).

A quel punto, avremmo un vero regime illiberale; magari non all’“olio di ricino”, ma a quello “di vaselina”. Bevete due litri di quest’ultimo e starete male più o meno come con quello di ricino. Questi sono comunque i giochetti dei nostri potentati (sub)dominanti; possiamo solo contare sulla loro inettitudine, sul grave arretramento che stanno facendo subire al paese, per cui non esisteranno molti margini (ampio reddito da ridistribuire) per corrompere e comprare adeguatamente tutto ciò che sarebbe necessario corrompere e comprare. Seguiamo comunque questi giochetti, perché sono quelli decisivi per capire cosa sta accadendo; altro che il teatrino di questi guitti della politica, dove si recita la pantomima avente come titolo: “Il Governo è prigioniero dell’estrema sinistra”. Quest’ultima ha una sola colpa (ma enorme): quella di accettare tale ruolo e di sostenere il Governo finché non abbia esaurito il compito di cui sopra detto, con il che verremmo consegnati alla “dittatura alla vaselina”. Sia chiaro che la colpa di queste frange di sinistra è gravissima, è legata alla più disgustosa corruzione; non ci si venga a raccontare che lo fanno gratis. Sono dei Giuda della peggior specie. Tuttavia, non prenderanno nemmeno “trenta denari”; forse quindici o ancor meno, perché la “torta” ormai si va facendo piccola.

Tuttavia, le loro colpe “criminali” sono della stessa specie di quelle del semplice “palo” di una banda che assalta banche e trucida persone nel furto. Sono complici di delitti, ma appartengono ai ranghi bassi, meschini e patetici figuri, pallide ombre dei traditori della Seconda Internazionale. Per loro cantiamo con Jannacci: “Faceva il palo nella banda dell’Ortica”. Banditucoli e miserelli insieme; compatiamoli, “cristianamente”, e nel contempo disprezziamoli. Più di questo, che sse pò fa’.

 

 

TUTTI A PREOCCUPARSI DEI SALARI!! di F. D’Attanasio

 

 

E’ da un po’ di tempo a questa parte che sempre più spesso si sente parlare della questione dei bassi salari italiani. La problematica sembra che oramai stia a cuore un po’ a tutti, si va dal mondo sindacale naturalmente, passando per quello politico e fin addirittura a quello imprenditoriale e finanziario. Difatti è stato proprio l’ineffabile governatore della Banca d’Italia, Draghi, che qualche settimana fa, se non erro, durante una sua audizione in una importante università italiana, di cui, mi scuserete non ricordo né il nome né la città, a lanciare l’allarme, cioè a denunciare il fatto che i lavoratori italiani siano tra i meno pagati d’Europa. E’ proprio da quel momento in poi che è iniziato a montare sempre più il livello della discussione, tanto che tutti si sono adoperati a non farsi sfuggire la palla lanciata dal nostro governatore. La grande scoperta (si fa per dire) non poteva certo rimanere inutilizzata o in silenzio, se ne doveva fare l’uso più appropriato. Ma la cosa strana è che, contrariamente a quando succede in genere quando ci sono interessi contrapposti in gioco, non si sono date corpo alle diverse strumentalizzazioni, a seconda appunto dei vari attori coinvolti nella querelle. La cosa purtroppo più sconvolgente (per i lavoratori intendo) che si è venuta a verificare è stata una sostanziale convergenza di vedute tra le varie rappresentanze imprenditoriali e i sindacati confederali in relazione ad un nodo centrale delle relazioni industriali, vale a dire il ruolo della contrattazione collettiva nazionale. In definitiva sembra proprio che quella denuncia di cui parlavo poc’anzi non fosse stata per niente casuale e disinteressata ma aveva degli obiettivi ben precisi e di parte, e fatta, cosa non meno importante, proprio alla vigilia di quello che dovrebbe essere l’inizio della riforma dei contratti.  Tra l’altro quando, diciamo così, il fatto nasce da una figura di un certo prestigio che il senso comune della gente pone erroneamente al di sopra delle parti, quale appunto il governatore della banca centrale, il tutto assume ben altri connotati, quanto meno di una rilevanza socio-economica non più trascurabile. Cosa pensano allora in definitiva mondo dell’imprenditoria e sindacati? Partiamo da un’intervista rilasciata a la Repubblica il 19 Novembre scorso dal vice presidente di Confindustria Bombassei, il quale di fronte alla domanda dell’autore dell’intervista, Roberto Mania, se auspicasse la fine del contratto nazionale, afferma − cito testualmente − quanto segue: “No, assolutamente no. Non l’abbiamo mai detto né scritto. Noi al contrario pensiamo che il contratto nazionale è importante soprattutto per le categorie e per le aree più deboli del paese. Deve garantire il potere d’acquisto delle retribuzioni, salvaguardandole dalle dinamiche dell’inflazione. E’ nelle aziende, poi, che si può integrare la retribuzione nazionale. Cosa che oggi non accade perché le richieste sindacali a livello nazionale vanno ben oltre il recupero dell’inflazione, [corsivo mio, ndr] riducendo gli spazi per la contrattazione di secondo livello e facendo pagare alle imprese meno redditizie più di quanto realmente possano” Evidentemente Bombassei non è di questo pianeta, una falsità colossale come quella secondo la quale i lavoratori dipendenti italiani, negli ultimi anni, stiano aumentando il proprio potere d’acquisto, merita solo una sonora pernacchia. Secondo il nostro quindi, il problema delle basse retribuzioni italiane, alla base delle pressanti richieste da parte della Confindustria di rivedere l’impianto contrattuale nazionale, non esisterebbe, anzi, in Italia esisterebbe il problema opposto, il che per molte aziende comporterebbe gravi difficoltà nel pagare le retribuzioni. Quindi allora la preoccupazione dei nostri imprenditori non sarebbe il fatto che sempre più un numero maggiore di famiglie hanno difficoltà ad arrivare a fine mese; c’è un evidente contraddizione di fondo tra ciò che sostengono in linea di principio per spingere i sindacati ad aprire il tavolo delle trattative per la riforma dei contratti e la soluzione che propongono, cioè un forte ridimensionamento dei minimi contrattuali assicurati a livello nazionale ed una maggiore integrazione di secondo livello. Ci mancherebbe pure che questi signori si preoccupino più di tanto della condizione dei propri dipendenti, la loro è solo una forte strumentalizzazione, tra l’altro facilmente svelabile, senza neppure ricorrere a chissà quali analisi e categorie concettuali. Difatti se proseguiamo nel leggere l’intervista incriminata è addirittura lo stesso intervistato a scoprire il trucco; alla domanda di che cosa chiedono ai lavoratori in cambio degli aumenti risponde: “Di lavorare di più. Sia chiaro, non chiediamo di aumentare l’orario di lavoro annuale. Chiediamo una maggiore flessibilità. Per esempio poter ricorrere agli straordinari senza doverci infilare ogni volta in una trattativa estenuante.” Quindi avete capito benissimo a cosa porterà la riforma dei contratti: a lavorare, se non di più come monte ore annuali, ma comunque peggio, con ripercussioni negative sulle generali condizioni di vita delle persone e, soprattutto, ad un ulteriore abbassamento delle retribuzioni dato che la contrattazione di secondo livello, oltre a non costituire un fattore di consolidamento delle retribuzioni essendo una variabile molto dipendente anno per anno, costituisce comunque un terreno la cui forza contrattuale dei lavoratori viene fortemente ridimensionata. Ma naturalmente non mancano certo le opinioni degli economisti a riguardo che dovrebbero saperne un po’ di più; per caso qualche giorno fa, precisamente Giovedì 6 Dicembre, mi sono imbattuto in una intervista rilasciata da Tito Boeri a Il Giornale il quale, neanche a dirlo, la pensa esattamente come Bombassei. Secondo l’economista una volta stabilito un minimo basso uguale per tutte le imprese, sarà poi a livello delle singole aziende che si potranno contrattare in maniera più adeguata, a seconda delle reali condizioni complessive delle stesse, gli aumenti. Chiaramente qui ci si scorda di un piccolo particolare, cioè che il potere ricattatorio del datore di lavoro nei confronti delle RSU è a dir poco dieci volte maggiore che in sede di contrattazione nazionale, il risultato più evidente sarà invece − considerando il generale indebolimento competitivo del tessuto industriale italiano, quale sempre più si sta consolidando oramai da diversi anni come risultato di un processo politico-economico dai risvolti nefasti per il nostro paese − un diffuso peggioramento delle condizioni delle persone, giacché anche quelle poche aziende forti, potranno tranquillamente, facendo leva sulla cattiva situazione socio-economica generale, tenere basse le retribuzioni. Non esiste nessuna evidenza né empirica né tanto meno teorica a sostegno di queste strampalate tesi propagandate dai vertici confindustriali e dai lori sodali esperti di economia; in realtà la forte contrazione del potere d’acquisto delle retribuzioni italiane è dipeso proprio dai vincoli imposti dall’accordo del 23 luglio del 1993 che oltre ad abolire ogni automatismo di rivalutazione dei salari, ha introdotto un tetto alle rivendicazioni stesse dato dall’inflazione programmata costantemente al di sotto di quella reale. A quei tempi, per fare ingoiare la pillola amara ai lavoratori, con la connivenza dei sindacali confederali, si sostenevano analoghe argomentazioni, la scala mobile era un freno allo sviluppo, così come ogni automatica rivalutazione di salari e pensioni, ma dopo tanti anni abbiamo solo assistito ad un continuo e crescente degrado del sistema industriale italiano senza l’ombra di un ben che minimo beneficio a favore dei lavoratori. Ma ritornando a bomba, come appunto dicevo all’inizio, la grande nota dolente è rappresentata dall’atteggiamento dei sindacali confederali, i quali, a parte le solite defezioni della componente più a sinistra della CGIL, condividono sostanzialmente la necessità della revisione del contratto nazionale ma sulla stessa falsariga delineata dalla controparte. E’ proprio vero quel che dice La Grassa, tali sindacati oramai non sono più altro che apparati di Stato, ma di uno Stato marcio, corrotto, formato da apparati parassiti ed inetti dediti solo alle manovre più oscure delle lotte di potere, senza la benché minima reale preoccupazione di dare una svolta a questo nostro paese; lorsignori se ne stanno lì a godere delle laute prebende che il potere economico e finanziario elargisce loro, ed obbediscono in maniera ossequiosa alle direttive che dall’alto di questo potere arriva. Un piccolo ed ulteriore esempio di ciò? Sempre da Il Giornale di Giovedì 6 Dicembre il leader della UIL Angeletti intervistato, si spertica letteralmente in grandi elogi in favore dell’a.d. della  Fiat Marchionne poiché questi, a suo dire, avrebbe fatto, in relazione alla situazione dello stabilimento di Pomigliano, una proposta − cito testualmente − “obiettivamente rivoluzionaria”; prosegue Angeletti: “non è mai successo che un’azienda decida di ristrutturare una fabbrica a sue spese, senza chiedere soldi allo Stato….”, difatti Marchionne avrebbe annunciato investimenti per questo stabilimento pari a 120 milioni. Secondo il leader sindacale ciò costituirebbe una vera e propria rivoluzione, “… Non sono abituato a vedere imprese che dicono di essere capaci di fare da sole e che a loro non interessa l’aiuto dello Stato”. Chiaramente un personaggio che ha una faccia tosta del genere, in grado di falsificare la realtà a tal punto, certo non in relazione al fatto che gli imprenditori italiani siano costantemente foraggiati dallo Stato, ma in relazione al fatto che la Fiat costituisca addirittura un eccezione in ciò, merita solo di essere brutalmente mandato a lavorare e di sperimentare le condizioni di vita di chi tutti i giorni deve fare i conti per arrivare a fine mese.

 

8 Dicembre