SIAMO TUTTI FILORUSSI, PER ORA.
SIAMO TUTTI FILORUSSI
Perché l’Occidente ha preso di mira la Russia? Domanda cruciale per capire dove sta andando il mondo in questo scorcio di XXI secolo. Prima della caduta dell’URSS le motivazioni potevano essere tante e legittimate da una irricomponibilità ideologica tra gli schieramenti. Il comunismo livellatore era il nemico dei principi e dei valori sui quali si fondano le nostre società strutturate in classi. E viceversa. Poco contava che la medesima Unione sovietica, sebbene su basi diverse, avesse riprodotto tali divisioni di classe e contestuali lotte tra strati superiori e inferiori della popolazione all’interno di una società apparentemente senza classi.
L’URSS era un cattivo esempio di concorrenza storica e sistemica, non di certo commerciale, un qualcosa d’altro, ancor oggi di difficile definizione, rispetto all’area a modo di produzione capitalistico; uno Stato di sedicente socialismo realizzato, figlio di una rivoluzione proletaria e contadina che aveva messo la strizza ai ceti alti della vecchia Europa, che operava (e per un certo tempo anche prosperava) al di fuori delle logiche di mercato e d’impresa, ritenute dall’Occidente le forme più adeguate allo sviluppo armonico dell’umanità e alla sua continua floridezza.
L’esistenza stessa dell’Unione Sovietica (e della Cina, ma in maniera differente) era pertanto una finestra sempre aperta sugli eventi che dimostrava la sussistenza di un’alternativa possibile tra i due fronti, di una opzione potenziale tra modelli di organizzazione sociale antitetici. Il pianeta non doveva necessariamente essere ad una sola dimensione e la potenza di Mosca sembrava confermarlo. I due ombrelli della Nato e del patto di Varsavia assicuravano al resto del parterre geografico una pace fredda con qualche “scaramuccia”. I quadranti contendibili erano pochi e, dunque, poche le battaglie.
Il modello Sovietico si poneva come eventualità altra rispetto al regno animale del capitale, soprattutto dal punto di vista idealistico, mentre dal lato economico, cioè dell’efficienza, dell’efficacia, del dinamismo produttivo e della creazione di ricchezza non costituiva un contraltare all’altezza degli standard di crescita e vitalità “al di qua del muro”. Insomma, dopo la luna e i viaggi nello spazio l’URSS era finita in un pozzo ma resisteva la sua attrattiva geopolitica che salvava dall’asfissia monopolare.
Sotto il profilo militare invece la Russia era un rischio costante per gli Usa, non nel senso in cui veniva narrato e criminalizzato dalle nostre parti, poiché l’URSS non avrebbe mai osato “sconfinare” in zone di pertinenza della Nato, ma poichè disponeva della deterrenza sufficiente a scongiurare azioni unilaterali della potenza rivale (e dei suoi alleati) e proteggere la propria sfera egemonica.
L’Urss occupava uno spazio vastissimo, inglobava milioni d’individui e decine di popolazioni (direttamente o indirettamente), costituiva un limite quasi insuperabile, almeno finché rimase in piedi, per l’espansionismo statunitense che poteva muovere oltre il “perimetro” concordato nei patti internazionali a costi elevatissimi e con azzardi non sempre calcolabili. In ogni caso, non come è accaduto in seguito, dopo lo smatellamento dell’Unione, così spudoratamente e con gravi spargimenti di sangue ai quali non c’era contrapposizione geopolitica, attraverso menzogne che nessuno si è mai sognato di contestare.
Inoltre, la continua necessità di fidelizzare l’area governata, per evitare che qualche Paese si dichiarasse neutrale o scivolasse nel campo opposto, imponeva agli Usa di diffondere e sostenere, con strumenti assistenzialistici delegati ai singoli Stati, livelli di benessere stabili e convincenti. Con la dissoluzione dell’URSS il panorama cambia profondamente. Gli Usa non incontrano più ostacoli alla loro volontà di potenza e di conquista, si lanciano lì dove avevano avuto il cammino sbarrato per decenni e annettono alla propria supremazia terre innanzi precluse e generazioni di uomini storditi prima dai miti e poi da immense fregature. Gli stessi rapporti tra Washington e gli alleati si metamorfosano. Gli americani giocano di meno con la carota e pretendono dagli associati al club dei vincenti un coinvolgimento più impegnativo a prezzi moltiplicati, non prendendo nemmeno in ipotesi che questi potessero mettere becco nella strategia e negli obiettivi del suo incipiente unilateralismo.
Il divertimento irrefrenabile dura un quindicennio o poco meno. Un lasso di tempo in cui ci siamo bevuti di tutto insieme al cervello. La fine della storia, la globalizzazione, il governo mondiale, la dissoluzione degli stati, ecc. ecc. Il pericolo è arrivato ancora da Est. La Russia dopo lunghe umiliazioni e ridimensionamenti territoriali, militari, sociali ed economici si ritrova finalmente intorno ad un gruppo di comando che non si accontenta di vodka in cambio dei beni dello Stato. Eltsin ha tracannato fin troppo e con lui quella perfida genia di oligarchi che, dopo tanto tempo, ancora ingolla il sangue degli slavi. Con Putin, che è espressione di un blocco di potere nazionalistico – altroché dittatore isolato “fuori dal mondo” come dice la Merkel – la musica cambia e gli stranieri invasori vengono respinti alle frontiere. Nel frattempo molta acqua è passata sotto i ponti della Storia. La Russia odierna è un paese capitalista, si è sviluppato secondo le direttrici della contemporaneità più evoluta, ha tutti i difetti e tutti i pregi delle democrazie, fonda la propria economia sulle regole del mercato, con quelle tutele statali necessarie a proteggere i propri interessi rinascenti che noi abbiamo accantonato sotto la minaccia degli yankees (per accontentarci delle briciole e dei settori di nicchia). Purtroppo, anche lì sono stati introdotti il diritto di voto e la libertà di espressione, elementi che permettono agli sleali oppositori di lamentarsi pubblicamente della mancanza di democrazia e di parola. I provocatori non si curano delle loro stesse contraddizioni. Ci pensa la stampa di Washington a coprire. Anzi, costoro interpretano queste acquisizioni così estensivamente che si permettono pure di complottare contro il loro paese pretendendo di non pagare alcuna conseguenza. In America finirebbero in galera per molto meno.
Dunque, se la Russia non fa più parte di un sistema comunista, se in Russia c’è il capitalismo, la democrazia, il voto, la critica quasi incensurabile, la stampa indipendente, la televisione privata, se in Russia si compra, si vende e si crepa allo stesso modo, poveri o ricchi, bassi o alti, furbi o scemi, qual è il vero problema? Il problema è che la Russia ha acquisito nuovamente la potenza necessaria per far pesare le sue istanze geopolitiche sulla scacchiera globale. Non vuole essere una nazione serva di una prepotenza in relativo declino e assoluto impazzimento che non accetta la multipolarità perché ancora convinta di poter allungare i propri tentacoli ai quattro angoli del pianeta. Questa è la colpa della Russia che non si piega ai diktat della finanza atlantica e alla guida politica dell’Occidente. Ha un’altra visione del suo destino, quella che le subpotenze legate all’America hanno smesso di avere perchè preferiscono cedere in appalto il proprio futuro . L’Ue è tra questi pianeti che non saranno mai stelle e brilleranno tristemente di luce riflessa finchè l’astro di riferimento non esploderà sulla loro faccia (giusto per rispondere a Kaplan che considera questo schifo di sudditanza un avvenire radioso, qui). Così mentre noi pensiamo di risolvere la crisi sistemica globale con l’austerità e i dettami degli organismi economici mondiali (controllati dagli Usa), loro seguono la via della fortificazione nazionale e della tutela della sovranità statale al fine allontanare gli assalti finanziari e le intimidazioni belliche. Questo è quello che non si perdona ai russi. La patria della libertà non tollera la libertà delle altre patrie. La terra della democrazia non riconosce altra democrazia al di fuori di sé stessa.