SIAMO UOMINI O POST-COMUNISTI? a cura di G.P.
Quest’oggi vi proponiamo un’intervista rilasciata a Il Giornale dall’ex capo delle Coopcostruttori, Giovanni Donigaglia. Lo facciamo perché costui ribadisce l’ormai comprovata tesi per cui il PCI prima e poi tutta la sua prole storpia e senza moralità (mostruosamente metamorfosatasi [PDS-DS-PD] grazie al divoramento pantagruelico di ogni principio ideale e della sua stessa storia comunista precedente) sono stati attori attivi di quella stagione consociativa, a partire dagli anni ’80, nella quale la spartizione del potere politico-economico era stata scientificamente organizzata attraverso un ampio sistema di corruzione e di tangenti, completamente trasversale a tutti i partiti dell’arco costituzionale.
Non siamo delle verginelle e pertanto non ci scandalizziamo per quanto accaduto e accadrà ancora, tuttavia, ci fa ribrezzo che quegli stessi omuncoli che nel 92-93 parlavano con sdegno dei misfatti altrui, tenevano ben nascosti nell’armadio il proprio esercito di scheletri e di corpi in putrefazione.
La magistratura, ispirata da poteri ‘occulti’, probabilmente stranieri, in quel periodo, mise al riparo questi falsi moralizzatori dalla scure giudiziaria che si abbatté su democristiani e socialisti, allo scopo di evitare che si creasse un pericoloso vuoto di potere e che non restasse più nessuno da manovrare. Così, mentre i diccì e i piesseì venivano messi all’indice, andando ad affollare le patrie galere, gli uomini nuovi della nascente classe dirigente post-comunista davano lezioni di purezza morale ed invocavano una stagione di risurrezione nazionale con i loro slanci di onestà (postuma e fasulla). Fortunatamente,
Come sta finendo questa fase è sotto gli occhi di tutti. Si badi bene però che, ora, la faccenda è un po’ diversa; non ci sarà un’altra tangentopoli in quanto siamo in presenza di una mera resa dei conti tra capibastone che vogliono assumere le redini dell’ ‘onorata società’, prima di tornare a fare danni all’intero paese. In tali vicende ‘familiari’ la politica è sparita per lasciare il posto ad una guerra banditesca tra clan rivali senza alcuna remora morale. La stagione etica dei post-piccisti si chiude qui: era questa la favola del paese ‘normale’ (normalmente servile e corrotto) con il quale D’Alema e soci avrebbero voluto novocainizzare l’intera nazione?
Con questo vi salutiamo e vi auguriamo buone feste.
La redazione di ripensaremarx
«Il Pd è come
di Stefano Lorenzetto
Parla l’ex capo della Coopcostruttori, travolto da Mani pulite nel 1993: «Allora il Pci si salvò grazie ai kamikaze come me»
di Stefano Lorenzetto
«I l Pci non era diverso dalla Dc, dal Psi, da tutti i partiti rimasti sotto le macerie di Tangentopoli, e lo stesso vale per Pds, Ds e Pd che ne hanno raccolto l’eredità. Se 15 anni fa il Bottegone non fu costretto a chiudere per via giudiziaria, è solo perché poté contare su una ventina di kamikaze come me. I quali, senza essersi arricchiti, finirono nel tritacarne per fedeltà, per difendere l’idea in cui credevano. Oggi come ieri, i Veltroni, i D’Alema, i Fassino non hanno titoli per dare lezioni a nessuno sulla questione morale».
Giovanni Donigaglia, ex padre padrone della fallita Coopcostruttori di Argenta che era diventata il quarto gruppo di costruzioni italiano dopo Impregilo, Astaldi e Condotte e dunque uno dei grandi puntelli economici di Botteghe Oscure, non è per nulla stupito da ciò che sta succedendo in Campania, in Abruzzo, in Basilicata. «Li aspettavo al varco, era solo questione di tempo. La superiorità morale del Pd non esiste». La sua teoria è lineare: accade oggi soltanto perché le finanze rosse non sono più nelle mani di uomini tutti d’un pezzo cresciuti alla scuola di partito, pronti nell’obbedire, astuti nell’agire, abili nel riscuotere, risoluti nel negare. Gente, tanto per non far nomi, del calibro di Renato Pollini, Marcello Stefanini, Primo Greganti, Marco Fredda. «Con Greganti e Fredda fui ospite del pm Antonio Di Pietro nel carcere di San Vittore. Raggio 2/B riservato. Eravamo confinanti di cella, io in mezzo, loro due ai lati».
Donigaglia è incensurato, a parte qualche decreto penale per il pagamento di contributi previdenziali della Coopcostruttori. Arrestato cinque volte, ha subìto 37 processi. Mai una condanna. Bel record per il depositario dei segreti della cooperativa edile ferrarese, «44 anni, dal 1959 al 2003, ultimo stipendio da presidente 1.500 euro al mese, l’equivalente di un capomastro». Contro di lui restano ancora in piedi due procedimenti giudiziari. Da sei anni non ha più la tessera del partito. «Mi sono riciclato mentalmente», solleva il bavero della giacca: all’occhiello, dove per una vita ha tenuto la spilletta delle Coop, ora è appuntata l’aquila con la ruota dentata di Confindustria.
È diventato imprenditore?
«Mi sono dovuto ingegnare come amministratore di una ditta di ascensori in Sicilia,
Dev’essere dura, a 68 anni.
«Mi tocca. Sono stato pochi giorni fa dall’avvocato. Per fortuna è un amico e mi difende gratis. Non potrei certo pagargli la parcella. Tutti i miei risparmi li avevo messi nella Coopcostruttori: 54.118 euro. Ma non posso lamentarmi. Sono rimasti sul lastrico, non per colpa mia, oltre 2.500 lavoratori e questa è la spina che ho nel cuore e che non mi fa dormire la notte».
Con le Apc, le azioni di partecipazione cooperativa da lei inventate, sono andati in fumo i risparmi di 3.000 famiglie, oltre 80 milioni di euro del cosiddetto prestito sociale.
«
Dal verbale d’intercettazione di una telefonata intercorsa fra un avvocato e un ex consigliere della Coopcostruttori, risulterebbe che lei esternò a costoro «ipotesi indiziarie a carico del partito politico Ds (Democratici di sinistra)» per il pacco-bomba ricevuto.
«Vale la mia dichiarazione resa ai carabinieri in quei giorni, che lo esclude. Due giorni prima, da libero cittadino, avevo incontrato Di Pietro. La coincidenza mi parve sospetta. Una persona perseguitata, e che sa di essere innocente, finisce per pensarle tutte. Chi mi mandò il pacco-bomba voleva farmi tenere la bocca chiusa. Di sicuro io non sono mai stato in affari con i malavitosi. Quando lavoravamo in Campania, in Calabria, in Sicilia, ho sopportato minacce di morte e aggressioni dalla camorra, dalla ’ndrangheta e dalla mafia pur di non versare il pizzo. Ci sono le denunce ai carabinieri, alla polizia e allo Sco che parlano per me. A Bosco Reale il capoclan mi puntò la pistola alla schiena sulla piazza del municipio. A Capua mi feci applicare le microspie per assicurare alla giustizia alcuni amministratori comunali legati a Francesco Schiavone detto Sandokan, il capo dei casalesi. Sono sempre andato a testimoniare contro di loro nelle aule di giustizia. Non so se gli appaltatori di oggi possano dire altrettanto».
Che effetto le fa leggere degli scandali in cui è coinvolto il Partito democratico?
«Mi stupisce che gli inquisiti siano stati incastrati con le intercettazioni telefoniche. Io parlavo a quattr’occhi. Per il resto, dal mio punto di vista, niente di nuovo. Solo conferme».
In che senso?
«Il Pci, oggi Pd, è sempre stato il nostro socio occulto, socio di fatto, socio di riferimento, lo chiami come vuole. Con
Il partito le ordinò anche di acquistare
squadra di calcio.
«Per dare una mano a Ferrara e alla sua amministrazione rossa. Mi costava 4-5 miliardi di lire l’anno. Se non altro posso dire d’averla portata dalla C2 alla serie B. Mi costringevano a scucire quattrini a tutti. Ho persino finanziato un film del regista Florestano Vancini, La neve nel bicchiere, interpretato da Massimo Ghini».
Che altro?
«Sottoscrizioni elettorali, sponsorizzazioni, pagine di pubblicità sull’Unità, contributi ai festival. Si celebrava il congresso a Torino?
Lo fece?
«Ne consegnai solo 250, peraltro iscritti regolarmente a bilancio. Portai il malloppo a Roma, nella sede di piazza del Gesù. Ci vollero un paio di viaggi. Eh, lei non ha idea di quanto pesavano 250 milioni di lire in contanti… Da allora divenni il partner di fiducia dei bisagliani, che mi coinvolsero in tutte le grandi opere pubbliche in Veneto, a cominciare dalla terza corsia della Serenissima».
In accordo col Pci?
«Sempre, è ovvio. All’inizio degli Anni 80 il partito aveva deciso di dar vita alla politica consociativa. Per la nostra cooperativa significava acquisire una bella fetta di opere pubbliche. E infatti vincemmo l’appalto per i lavori di Malpensa 2000, degli aeroporti di Fiumicino e di Bologna, dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, della Tav Roma-Napoli, del porto di Gioia Tauro. Per costruire c’è bisogno che la pratica segua un iter regolare, che gli espropri siano tempestivi, che le concessioni edilizie arrivino in fretta. Serve la politica per tutto questo. E l’amicizia».
Poi scoppiò Tangentopoli.
«E anche lì fu il partito a decidere quale atteggiamento tenere nelle varie indagini giudiziarie».
Resistere, resistere, resistere. Ai magistrati.
«Guido Papalia, procuratore capo di Verona, mi tenne dentro 78 giorni. All’uscita dal carcere, ad aspettarmi al casello di Ferrara sud trovai Piero Fassino, ansioso di sapere com’era andata. Non le dico quanti compagni sono venuti a farmi visita in prigione per raccomandarmi di stare zitto. Poi sono passato per le mani di Antonio Di Pietro, di Piercamillo Davigo, di Carlo Nordio. In tutto mi sono fatto un anno di galera».
Sempre a bocca chiusa.
«A me premeva che il partito aiutasse
Perché
«Il presidente nazionale della Legacoop aveva deciso che gli aiuti alle cooperative danneggiate da Tangentopoli fossero gestiti da Finec holding, società controllata dall’Unipol. Arrivarono soldi a tutte, tranne che alla nostra. Le altre le hanno salvate,