SITUAZIONE PERICOLOSA E INSTABILE, di GLG, 7 giugno ‘13
Gli eventi si susseguono come in un film a fotogrammi accelerati. E tutto lascia indicare pericoli gravi in tutta l’area mediterranea e nei dintorni. Il colpo di Stato in Egitto segnala come minimo una seria difficoltà per la neostrategia degli Usa (quella in parte iniziata nel 2006, ma consolidatasi con Obama) da me indicata come strategia del caos. Questa ha usato in buona parte anche la tattica del divide et impera. E’ una strategia non facile da condurre e orientare; e le divisioni tra coloro che si vogliono sottomettere possono sfuggire di mano perché non si punta sulla fazione giusta o perché tutto l’insieme delle relazioni internazionali e di quelle interne ai vari paesi interessati si va complessificando (e frammentando per destrutturazione dell’insieme stesso), consentendo l’intervento di soggetti non facilmente classificabili e con posizioni assai labili e sfuggenti alla logica di chi li vorrebbe usare quali docili strumenti.
Vent’anni di rimbambimento della nostra popolazione, con il berlusconismo e l’antiberlusconismo quale asse di una politica scervellata e meschina, impediscono di vedere quanto gli avvenimenti egiziani ci riguardino e ci predicano possibili sbocchi gravi anche in Italia. E’ ovvio che non saranno eguali a quelli egiziani – anche perché il popolo italiano è relativamente benestante (sempre in paragone ai paesi dell’altra sponda del Mediterraneo) – ma avranno andamenti di altrettale pericolosità per il nostro futuro; un futuro di progressivo impoverimento di gran parte degli strati sociali di questo paese. In ogni caso, ci si avvierà ad una subordinazione crescente e all’uso del nostro territorio per ogni evenienza strategico-militare possa essere escogitata dai predominanti statunitensi.
Piaccia o non piaccia a certi idioti della sedicente “sinistra” italiana, per alcuni anni, a causa di un diverso orientamento strategico degli Usa, Berlusconi riuscì ad essere autore di una politica estera con alcuni riflessi positivi per i nostri interessi economici (non quelli di autentica autonomia, va da sé). I vecchi rapporti con la Russia di Putin e la Libia di Gheddafi ne sono testimonianza. Finita però la pretesa apertamente imperiale (monocentrica) degli Usa e arrivato Obama (sempre un nome per un dato gruppo dominante), tale paese si è appunto orientato diversamente e ha posto l’aut aut al “nanetto” italiano. Si è pretesa da lui una complicità progressiva, ben mascherata nel corso del suo svolgimento, anche perché i tempi di maturazione della nuova situazione internazionale, in particolare nell’area mediterranea e viciniore, non erano del tutto prevedibili nella loro scansione e nella direzione presa dagli eventi.
In ogni modo, prima si è deciso di liquidare i vecchi regimi arabi pensando di poter giocare tra le contraddizioni, reali, interne all’islamismo, dove i vari gruppi si massacrano volentieri fra loro. Tuttavia, è evidente un qualche fallimento di tali intendimenti poiché in nemmeno due anni la “primavera araba”, propagandata come radiosa alba di libertà e democrazia, ha fatto una fine miseranda. Si è cercato di completare l’opera iniziata in Libia con le manovre antisiriane. Non dico che queste siano fallite definitivamente, ma sicuramente si sono ingrippate e stanno mostrando come i campioni della libertà (dalla “dittatura” di Assad) siano feroci gruppi fortemente finanziati e armati dagli Usa e dai loro sicari europei. In Egitto, complice una difficile situazione economica, si è preso atto di ulteriori fallimenti. Credo poco al malcontento di una maggioranza per la svolta presunta iperislamica di Morsi. Credo assai di più alla solita collaudata “tecnica” delle manifestazioni di decine di migliaia di persone (che è sempre possibile raccogliere in qualsiasi luogo, dandosi le condizioni opportune), le cui notizie (e le foto) sono ben diffuse nel mondo per dare l’impressione di una volontà popolare – già espressasi appena un anno fa con elezioni “democratiche” vinte alla grande dagli islamici; e con trauma e mortificazione degli aperti filo-occidentali, che tutti ben ricordiamo in gramaglie perché non si aspettavano una simile scoppola! – contraria a quelli che hanno deluso il premio Nobel per la pace.
Simile folla, raccogliticcia e rumorosa, non poteva combinare alcunché, ma è servita a dare il destro ai militari filo-americani per portare a termine l’operazione già pensata da tempo. Questo è un avvertimento anche per Erdogan, poiché pure in Turchia l’esercito non è con lui, ma con la Nato, cioè con gli Stati Uniti. Ed anche lui – dopo un periodo di apparente simpatia e favori, ripagati (come del resto hanno fatto i Fratelli musulmani egiziani, gli islamici iraniani, Hamas e altri) con l’appoggio al massacro di Gheddafi e alla distruzione della Libia, con la minaccia di intervenire in Siria, ecc. – viene accusato di iperislamismo, di voler mantenere la Turchia in uno stato di arretratezza, mentre i “laici” filo-Usa sono il non plus ultra della modernizzazione; così come pure quelli iraniani, ecc. Si tratterà di vedere, fra l’altro, che ruolo sarà adesso riservato al Qatar (e alla sua rilevante emittente TV), che si è affrettato ad allinearsi e a capovolgere le proprie posizioni. Ed egualmente si potrebbe assistere a modificazioni nell’atteggiamento verso Hamas, che sembrava essere considerato “rinsavito”.
Insomma, siamo ad una vera svolta, ma confusa e piena di incognite. La “primavera araba” è finita, la commedia della “democrazia” non funziona più davanti ai carri armati egiziani, all’imprigionamento dei “legalmente eletti” solo un anno fa, al programmare nuove elezioni farsa in simile situazione di aperta repressione militare e di guerra civile strisciante. I cialtroni – al seguito del più pericoloso nemico oggi esistente, gli Stati Uniti di Obama – ci racconteranno prossimamente del progredire della “democrazia”, che per loro significa oppressione, sangue, carcere, violenze a non finire per chi non accetta le loro infamie, i loro crimini. Per simile gentaglia non c’è onore alcuno, né parola data; sono gli stessi che hanno eliminato integralmente gli indiani, sono sempre stati per l’inganno, la prepotenza, l’assassinio. Sono il peggio che abbia espresso l’umanità dai tempi dei tempi.
2. E per noi? Che cosa ci riservano questi infami? Adesso intanto raccontano della “ripresina”, tanto per gettare fumo negli occhi del “poppolo” (di rincoglioniti) nel mentre si verificano fatti enormi, gravissimi, che mettono in discussione tutti i nostri interessi, estremamente rilevanti nei paesi devastati dagli Usa e dai loro sicari (fra cui i nostri poiché, malgrado le menzogne raccontate, siamo complici del nostro stesso harakiri); quasi esclusivi in Libia, estesi in Egitto, ecc. Ma saremmo in uscita dal tunnel della crisi (smentita ogni giorno dai dati e dai fatti) grazie alle piccole e medie imprese e all’export, in particolare del made in Italy, della nostra moda, del design così “raffinato”. Buffoni! Ma di questo diremo in altro pezzo, se ne varrà la pena.
Dopo vent’anni di scontro polarizzato intorno ad un uomo, senza alcuna incursione nella vera politica da parte di un personale che desta solo orrore per la stupidità, insipienza, incapacità di governo, si è cercato di programmare nel giro di qualche anno un cambiamento di registro. Questo è avvenuto a partire dal 2009-10, con la piena adesione del “Mostro” creato ad arte da una “sinistra” di rinnegati ex piciisti, dopo la ben nota svolta dei primi anni ’90, ecc. E’ evidente che quello da me denominato “ceto medio semicolto” – ormai sostitutivo della mitica Classe (operaia) nell’elettorato della “sinistra” – non riesce a digerire che il “Mostro” non sia più tale. Tuttavia, si è proceduto egualmente, mascherando però il tutto con la piena connivenza dell’“incriminato”, al quale è stato chiesto di mugugnare, di fare il ritroso, di alternare il “non c’è altro governo possibile” alle inconcludenti minacce di togliere ogni appoggio ai designati da Obama (con l’adesione del presdelarep) se non si fa una politica economica più “liberista”; e via dicendo.
Quel che avviene in Italia, però, non è comprensibile senza l’insieme della politica internazionale, caratterizzata dall’incipiente (anzi ormai qualcosa di più che incipiente) multipolarismo. Non è un caso che io insista fin dal 2008 nel ricordare l’ultimo quarto del secolo XIX. In un certo senso, pur se è inutile stare sempre a ripetere che la storia non si ripete in forme perfettamente eguali – esistono in effetti le ricorsività, ma sempre con elementi di distacco e differenza rispetto al passato – si può ben dire che sta iniziando una nuova “epoca dell’imperialismo”. Come aveva ben capito Lenin, quella a cavallo tra otto e novecento non c’entrava con il semplice colonialismo poiché era caratterizzata dalla creazione di filiere di pre e subdominanti nei vari paesi capitalistici (allora prevalentemente capitalistico-borghesi). Per questo, da tempo ho proposto di sostituire imperialismo con policentrismo (l’imperialismo fu dunque una delle ricorsività avente la forma specifica dell’epoca) la cui prima fase – con il paese centrale dell’epoca passata ancora più forte delle potenze nascenti e in crescita – è appunto il multipolarismo.
Oggi, gli Usa, come già l’Inghilterra di allora, vanno ponendo, con alternanza di successi e fallimenti, seri ostacoli alla crescita delle possibili potenze alternative. Diciamo pure che, al momento, la supremazia americana è ancora più netta di quella inglese di fine ‘800. Tuttavia, la lotta è in corso di svolgimento e con soluzioni che, come allora, sono estremamente cangianti e difficili da seguire nel loro caotico avvicendarsi. Si parla molto del BRIC (magari con l’aggiunta della S), ma non vi è dubbio che le due potenze più pericolose per gli Stati Uniti siano Russia e Cina. Quel che accade in oriente (nell’area del Pacifico) sembra al momento meno caotico; la situazione si presenta invece particolarmente complicata a ovest della Russia.
In quest’area non vi è dubbio che l’Europa è pur sempre decisiva, anche perché “contiene” la gran parte dei paesi a capitalismo avanzato; in essi è finito da tempo il capitalismo borghese (nato in Inghilterra soprattutto con la “rivoluzione industriale” del 1760-1840), senza che si sia formato, in senso definitivo e pienamente conforme alle sue caratteristiche, quello dei funzionari del capitale, affermatosi definitivamente negli Usa alla fine ‘800-primi ‘900 e vittorioso sul piano mondiale dopo il lungo confronto del secolo XX (con quello borghese e con quello definito impropriamente “socialismo reale”). Per conservare il più a lungo possibile i frutti della sua vittoria, questo capitalismo ha bisogno a mio avviso di dominare in modo sempre più incontrastato sull’Europa, che però, lo ripeto, non si è uniformata in modo esaustivo come formazione sociale a quella americana, a quella dei funzionari del capitale. Da ciò deriva una debolezza cui si fa fronte ancor oggi con il mantenimento della Nato (pur essendo finito il mondo bipolare), con l’impedimento frapposto alla crescita di classi dirigenti autonome e concorrenti. Si cerca sempre di favorire il prevalere delle classi da me definite dei “cotonieri”, che trovano il loro interesse nella creazione di sistemi socio-economici integrati, ma perché dipendenti e complementari, rispetto a quello statunitense, la cui preminenza si avvale dell’avanzamento tecnologico nei più moderni e innovativi settori che assicurino forza e capacità bellica sovrastante.
Nessun paese europeo deve sfuggire al controllo degli Usa, nessuno deve cominciare ad orientarsi maggiormente verso est (il che significa di fatto verso la Russia). Il controllo d’Europa è decisivo anche per migliorare la situazione (di accerchiamento/contenimento del grande paese eurasiatico) nella zona sud, sud-est, a partire già dal nordafrica e andando al medioriente e oltre. Tuttavia, sembra chiaro che il controllo del nordafrica, piuttosto lontano dalla Russia, intende avvalersi dell’“ammodernamento” dei regimi subordinati agli Usa per meglio stabilire posizioni di preminenza nella stessa Europa. D’altra parte, “di ritorno” (e per l’interazione dei diversi fenomeni che da causa diventano effetti e viceversa), le azioni di consolidamento della presa statunitense in Europa vengono utilizzate pure per migliorare le opportune strategie da impiegare in tutta l’area sud e sud-orientale.
Infine, si tenga presenta che, per lunga tradizione storica, differente è la forza dei subdominanti nei diversi paesi europei; decisamente maggiore nell’area settentrionale rispetto ai paesi, appunto, mediterranei. Quindi anche l’azione di preminenza esercitata dagli Usa in Europa deve differenziarsi a seconda delle varie zone. E’ necessario prendere le mosse dalla configurazione che sono andati assumendo i rapporti internazionali nella nostra area, e in quella vicina africana e mediorientale, per meglio valutare che cosa stia accadendo in Italia. Sembra di poter constatare che il mutamento strategico statunitense, precisatosi soprattutto negli ultimi anni, ha ormai bisogno di accelerare date trasformazioni nella subordinazione italiana. Abbiamo rilevato più volte come la rielezione a presidente del migliore “fiduciario” (chiamiamolo così) degli Stati Uniti fosse stata decisa ben prima che si svolgesse tutta la recita con l’apparente “sacrificio” di alcuni pretendenti. E così pure l’attuale governo è la continuazione, post-elezioni, di quello Monti, con gli opportuni cambiamenti tattici e più che altro verbali; è ovvio che non può, né deve, durare oltre certi limiti temporali. Non sembra che tutto vada secondo i piani. Non nel nordafrica, dove la “primavera araba” è nella sostanza fallita, non in medioriente dove in Siria non sono stati conseguiti risultati apprezzabili. Non va bene in Turchia, non migliora gran che per il momento in Iran; e via dicendo.
L’Italia è un’ottima base operativa, non si può perdere troppo tempo nemmeno qui. Il buon “alleato” e fiduciario è vecchiotto, il governo Letta è in situazione di costante transitorietà, la complicità di Berlusconi rischia di logorarlo e “sputtanarlo” in questa sua rilevante funzione, finora svolta con discreto successo. E’ ovvio che non si può andare avanti così per anni. Dobbiamo quindi aspettarci l’accelerazione dei processi di imputridimento economico, politico e sociale atti a preparare magari cambi improvvisi di regime; cercando di farli accettare ad una popolazione al limite della sopportazione, ma incapace di capire questi complessi giochi con al centro gli Usa e con varie complicità in zona europea e, in specie, italiana.
Questo sia il quadro orientativo della nostra futura analisi. E avvertiamo sempre chi ci legge del pericolo di precipitazioni assai negative favorite da un ceto politico estremamente degenerato. E mettiamo pure sull’avviso, con puntualità, della presenza di molti ribaldi che, esattamente come negli anni del “sessantottismo ultrarivoluzionario”, fanno il gioco dei “cotonieri” e dei loro “politicanti”, sbandierando un linguaggio critico, in realtà sviante rispetto alle determinanti reali della crisi che il paese sta attraversando; per null’affatto soltanto economica e tanto meno legata alla “cattiva finanza”. Ci sono imbroglioni e fetenti di tutti i tipi; e chi ha vissuto gli anni ’70 sa bene come agiscono e da chi sono “pagati”. Attenti a questi fottuti e figli di…..!