Socialismo alla zuppa di Porro
Che cos’è il prezzo di una merce? Il prezzo di una merce è l’unità di moneta che la contrassegna. I prezzi sono rapporti relativi di scambio tra le merci e una moneta usata in un determinato contesto sociale. Per comprare una certa merce occorre una data quantità di moneta che costituisce, per l’appunto, il suo prezzo. Come si arrivi a stabilire quale sia il prezzo “giusto” di una merce dipende da una serie fattori (i costi di produzione di quel bene). Altro non ci dicono i prezzi benché dietro di essi si stagli un mondo di rapporti sociali (e produttivi) completamente oscurato dal brillio del denaro a cui i prezzi si riferiscono.
Marx spiega molto bene questo aspetto e poco importa che oggi il denaro sia divenuto puro segno e si sia distaccato dall’oro o dall’argento (ciò che interessa veramente Marx è il “valore”): “Preso in se stesso il prezzo non è altro che la espressione monetaria del valore… Se esaminate più a fondo l’espressione monetaria del valore, o, che è la stessa cosa, la trasformazione del valore in prezzo, troverete che questo è un procedimento con il quale voi date ai valori di tutte le merci una forma indipendente e omogenea, o per mezzo del quale voi li indicate come quantità di uguale lavoro sociale. Nella misura in cui il prezzo è soltanto l’espressione monetaria del valore, esso venne chiamato da Adam Smith prezzo naturale e dai fisiocrati francesi prix nécessaire (prezzo necessario). Quale è dunque il rapporto fra valore e prezzi di mercato, o tra prezzi naturali e prezzi di mercato? Voi tutti sapete che il prezzo di mercato è lo stesso per tutte le merci della stessa specie, per quanto diverse possano essere le condizioni di produzione dei singoli produttori. Il prezzo di mercato esprime soltanto la quantità media di lavoro sociale necessario, in condizioni medie di produzione, per fornire al mercato una certa quantità di un determinato articolo. Esso viene calcolato secondo la quantità totale di una merce di una determinata specie. In questo senso il prezzo di mercato di una merce coincide con il suo valore. Invece le oscillazioni dei prezzi di mercato, che talvolta superano il valore, o il prezzo naturale, tal altra volta gli sono inferiori, dipendono dalle oscillazioni della domanda e dell’offerta. Le deviazioni dei prezzi di mercato dal valore sono continue, ma, come dice Adam Smith: “Il prezzo naturale è, in un certo senso, il centro attorno al quale gravitano continuamente i prezzi di tutte le merci. Diverse circostanze possono talvolta tenerli molto più alti, talvolta spingerli alquanto più in basso. Ma quali che possano essere gli ostacoli che impediscono loro di fissarsi su questo punto medio di calma e di stabilità, essi tendono costantemente ad esso”.Non posso ora addentrarmi maggiormente in questo argomento. Basterà dire che se la domanda e l’offerta si equilibrano i prezzi di mercato delle merci corrispondono ai loro prezzi naturali, cioè ai loro valori, i quali sono determinati dalle corrispondenti quantità di lavoro necessarie per la loro produzione. Ma domanda ed offerta devono costantemente tendere a equilibrarsi, quantunque ciò avvenga soltanto perchè una oscillazione viene compensata da un’altra, un aumento da una caduta e viceversa. Se invece di seguire soltanto le oscillazioni giornaliere, esaminate il movimento dei prezzi di mercato per un periodo di tempo più lungo, come ha fatto per esempio il signor Tooke nella sua “Storia dei prezzi”, troverete che le oscillazioni dei prezzi di mercato, le loro deviazioni dai valori, i loro alti e bassi, si elidono e si compensano reciprocamente; cosicchè se si fa astrazione dagli effetti dei monopoli e da alcune altre modificazioni che ora devo trascurare, ogni sorta di merce è venduta in media al suo valore, cioè al suo prezzo naturale. I periodi medi di tempo durante i quali le oscillazioni dei prezzi di mercato si compensano reciprocamente, sono diversi per le specie di merci, perchè per una merce è più facile che per un’altra adattare l’offerta alla domanda.Se dunque nel complesso e tenendo conto di lunghi periodi di tempo ogni specie di merce è venduta al suo valore, è assurdo supporre che il profitto, – non il profitto realizzato nei singoli casi, ma il profitto costante e abituale delle diverse industrie, – derivi dal sopraccaricare i prezzi delle merci, o dal fatto che esse sono vendute a un prezzo notevolmente superiore al loro valore. L’inconsistenza di questa opinione diventa evidente se la si generalizza. Ciò che uno guadagna costantemente come venditore, dovrebbe perderlo costantemente come compratore. Non serve a nulla dire che vi sono persone che sono compratori senza essere venditori, oppure sono consumatori senza essere produttori. Ciò che costoro pagano al produttore, dovrebbero prima averlo ricevuto da lui per niente. Se una persona incomincia a prendervi il vostro denaro e ve lo restituisce, poi, comperando le vostre merci, voi non vi arricchirete mai, anche se venderete a questa persona le vostre merci troppo care. Questo genere di affari può limitare una perdita, ma non può mai contribuire a realizzare un profitto. Quindi, per spiegare la natura generale dei profitti, dovete partire dal principio che le merci in media sono vendute ai loro valori reali, e che i profitti provengono dal fatto che le merci si vendono ai loro valori, cioè proporzionalmente alla quantità di lavoro che in esse è incorporata. Se non potete spiegarvi il progetto su questa base, non potete spiegarlo affatto. Ciò sembra un paradosso e in contraddizione con l’esperienza quotidiana. E’ anche un paradosso che la terra gira attorno al sole e che l’acqua è costituita da due gas molto infiammabili. Le verità scientifiche sono sempre paradossi quando vengono misurate alla stregua dell’esperienza quotidiana, la quale afferra solo l’apparenza ingannevole delle cose.
Inoltre, Marx spiega come domanda e offerta non regolino di per sé i prezzi ma le loro oscillazioni:
“La domanda e l’offerta non regolano altro che le oscillazioni temporanee dei prezzi sul mercato. Esse vi spiegheranno perchè il prezzo di mercato di una merce sale al di sopra o cade al di sotto del suo valore, ma non vi possono mai spiegare questo valore. Supponiamo che la domanda e l’offerta si facciano equilibrio o, come dicono gli economisti, si coprano reciprocamente. Nel momento stesso in cui queste forze contrapposte sono ugualmente forti, esse si elidono reciprocamente e cessano di agire in una direzione o nell’altra. Nel momento in cui domanda e offerta si fanno equilibrio e perciò cessano di agire, il prezzo di mercato di una merce coincide con il suo valore reale, con il prezzo normale, attorno al quale oscillano i suoi prezzi di mercato. Se indaghiamo la natura di questo valore, non abbiamo niente a che fare con gli effetti temporanei della domanda e dell’offerta sui prezzi di mercato. Lo stesso vale per i salari e per i prezzi di tutte le altre merci”.
Ovviamente, un economista del sistema non ha alcun interesse a fare certi discorsi approfonditi sul “valore”, a lui fa comodo immaginare l’esistenza una mano invisibile che benedice gli sforzi produttivi, facilita gli scambi, la realizzazione dei profitti privati ed egli vuole assicurarsi che per nulla al mondo questa sia intralciata, pena lo scombussolamento del mercato. L’economista felice del suo ambiente non spiega ma giustifica.
Recentemente, mi sono imbattuto in un articolo di Porro incazzatissimo per l’intromissione del governo nel fissare il prezzo delle mascherine. Così scrive il giornalista, allievo dell’economista friedmaniano Antonio Martino: “ Vedete, le mascherine di Arcuri, rappresentano proprio il caso di scuola per distinguere un liberale (tutti oggi si definiscono tali) da un socialista (nessuno oggi, tranne pochi onesti intellettualmente, si vogliono sentire chiamare così). Non vogliamo renderla complicata, ma la teoria dei prezzi è proprio ciò che discrimina le due grandi scuole di pensiero economico. I liberali sono convinti che il prezzo sia banalmente un’informazione: e cioè di quanto un bene o un servizio sia richiesto in rapporto alla sua offerta. Se un bene è scarso e vi è una grande richiesta, il prezzo sale e in questa maniera indica una corsa al suo acquisto. D’altra parte più sale un prezzo e più c’è convenienza per terzi operatori di entrare in quel mercato per fare soldi: cosa legittima, ovviamente. Insomma, quando i prezzi si alzano arrivano nuovi fornitori che cercano di prendere una quota di mercato e aumentando così l’offerta riducono il prezzo. Per un pianificatore, un socialista, il prezzo ha un obbligo morale, che il mercato non considera. Deve essere giusto, anzi equo. E dunque in una società che non può più essere quella pianificata e sovietica, il prezzo deve essere controllato, stabilito, vigilato. Il caso Arcuri.I cosiddetti liberali che condividono il prezzo di 50 centesimi, sono ovviamente dei socialisti mascherati. Nulla di male, basta intendersi. E giustificano la propria accondiscendenza al prezzo di Arcuri con due punti di vista ritenuti forti. Il primo è l’ingiusto profitto che farebbero gli speculatori. Il secondo è il rispetto del portafoglio dei più deboli. La forza dei principi liberali in economia è che non solo rispettano la fondamentale libertà economica, ma che alla prova dei fatti i meccanismi di mercato aiutano soprattutto i più deboli, oltre che i più meritevoli”.
Lungi da me difendere la scelta dell’esecutivo ma si può essere così scemi da considerare un intervento diretto sui prezzi una misura socialista? Bisognerebbe chiedere a Porro, a questo punto, cosa intenda lui per socialismo. Forse tutto quello che non gli va a genio? Un modo socialista della produzione, secondo quanto pensava Marx, avrebbe dato “a ciascuno secondo il suo lavoro”. Parlare di prezzi, a questo punto, sarebbe stato già irrilevante perché il lavoro avrebbe smesso di essere merce, quella fondamentale in quanto creatrice di plusvalore (del quale si appropriano i capitalisti), e di avere pertanto un prezzo. Se poi Porro usa il termine socialismo come sinonimo di comunismo allora è peggio che andar di notte, in quanto sotto quest’ultimo si ha “da ognuno secondo le sue capacità, [e si dà] a ciascuno secondo i suoi bisogni”. Niente prezzi, né merci e nemmeno quella scarsità ancora non totalmente superata nel socialismo, primo gradino della trasformazione, in cui occorre limitarsi a dare agli individui quello che hanno effettivamente contribuito a produrre.
Per Porro però ogni intervento sui prezzi è socialismo, cosicché potremmo ben affermare che, una multinazionale, in posizione di monopolio, la quale impone i suoi prezzi al mercato, utilizzando vari mezzi, anche “forti” e non sempre leciti, per impedire ai concorrenti di insidiarla, aggirando le leggi della domanda e dall’offerta, è socialista, anche se al contrario.
Socialismo e comunismo sono più semplicemente degli insulti per questi bambini che ragionano con i piedi. Il solito minestrone di Porro.