Ciò che sta accadendo in Kosovo è una vergogna di proporzioni immani. Se i principali Stati Europei dovessero riconoscere l’indipendenza di questo Stato criminale, con a capo riconosciuti banditi, servi della potenza predominante (e da quest’ultima addestrati, armati e sostenuti finanziariamente), verrà accesa una miccia cortissima che porterà all’esplosione di molte contraddizioni in tutto il vecchio Continente (le quali, come tizzoni incandescenti mai completamente esauritisi sotto la cenere della storia europea, finiranno per incendiare ben altri scenari insieme a quello balcanico).
Francia, Italia e Germania si stanno accordando per riconoscere il Kosovo contemporaneamente e rendere così un altro utile servigio agli Usa. Lo faranno insieme per condividere le responsabilità o, per meglio dire, al fine di nascondersi dietro una forma di collegialità codina che liquefà le colpe agli occhi di un popolo europeo ormai novocainizzato.
Per l’Italia parla come al solito il fido D’Alema, il quale ammette che gli organismi internazionali avevano scippato alla Serbia la provincia kosovara ben prima di questa fasulla dichiarazione d’indipendenza: “Il Kosovo non era più sotto sovranità serba, se non sulla carta geografica. Da anni è un protettorato internazionale, sono state le Nazioni Unite ad affermare che la situazione non era più accettabile.” Le Nazioni Unite, ovvero i ratificatori ex-post delle decisioni statunitensi. Che bella faccia tosta! Ma D’Alema ha continuato con il suo vaticinio: “L’indipendenza del Kosovo non provocherà alcun ‘effetto domino’ in altre regioni in Europa e nel mondo che aspirano all’indipendenza…il Kosovo ‘è un caso sui generis". Per chi non avesse capito, “caso sui generis” significa semplicemente che sono gli americani a stabilire quali popoli possono autodeterminarsi e quali no, sulla base di specifici interessi geopolitici, congiunturali o più strategici, di competenza degli Usa stessi.
”Non credo sinceramente che vi sia il rischio di un effetto domino, al di là di qualche dichiarazione di propaganda” prosegue D’Alema.
Mi chiedo, a nome di chi parla questo bombardatore di popolazioni inermi? A nome degli Italiani? A nome del suo partito? A nome del collegio di Gallipoli? A nome della sua signora?
Non mi sembra che possa essere lui a stabilire se l’Italia debba o meno riconoscere il Kosovo. Il Ministro degli esteri dimentica che il governo è caduto e che deve limitarsi alla normale amministrazione.
Ci consenta D’Alema una difesa integrata del popolo italiano di fronte alle sue sciocchezze, un’integrazione di tanti calci nel sedere per chi, come lui e con lui, vuole svendere la nazione e l’intero continente per meglio incarnare il ruolo di stuoino a stelle e strisce che si è dato per sè stesso.
Solidarietà alla Serbia.
G.P.
Si apre un altro vaso di Pandora nei Balcani FELIPE SAHAGÚN – El Mundo MADRID – (Trad. di G.P.)
Con la dichiarazione d’indipendenza, i kosovaro-albanesi raggiungono, con l’aiuto degli USA, della Francia, della Germania e dell’Italia, il sogno della loro vita, ma aprono un altro vaso di Pandora con gravi rischi di destabilizzazione dentro e fuori dai Balcani. L’indipendenza del Kosovo chiude il cerchio delle guerre balcaniche iniziate da Slobodan Milosevic quando proclamò, alla fine degli ottanta, in territorio kosovaro, il suo progetto della grande Serbia che includeva due terzi della Bosnia, un terzo della Croazia, tutto il Montenegro e il Kosovo. Benché il diritto internazionale sia chiaramente dalla parte della Serbia, che considera "nulla ed illegale" l’indipendenza kosovara sono numerosi anni che, con la sua repressione e violenza, il regime serbo ha perso la sua autorità morale sulla maggioranza albanese. Parte della Serbia dal secolo XIII, le emigrazioni e le guerre hanno dato la maggioranza demografica ai musulmani all’inizio del secolo XX, ma il territorio ha continuato a fare parte della Jugoslavia e dal 1974 si è trasformato in provincia autonoma dell’ex Jugoslavia. Il ritiro dell’autonomia da parte di Milosevic ha dato inizio al processo che è giunto 1997-98 nell’organizzazione della guerriglia dell’UCK e nei bombardamenti della NATO per dieci settimane, nel 1999. Da allora, il territorio è stato in un limbo giuridico, diretto dall’ONU e protetto dalla NATO, che si è impegnata a mantenere 16.000 soldati dispiegati in Kosovo. I dirigenti serbo-bosniaci hanno minacciato di seguire i passi dei kosovaro-albanesi. Con il controllo del 50% della Bosnia, se lo facessero romperebbero gli accordi di Dayton che hanno messo fine alle ultime guerre balcaniche nel 1995 e si entrerebbe in un’altro periodo di forti convulsioni nella zona. Vitaly Churkin ambasciatore russo all’ONU, ha segnalato giovedì nel Consiglio di Sicurezza il pericolo di "gravi minacce alla sicurezza della popolazione locale, della violenza interetnica e delle attività estremiste in Kosovo e nel resto dei Balcani". Altri popoli est-europei come quelli di Nagorno-Karabaj, dell’ Ossetia del Sud, Abjazia e Trandsnistria possono vedere nell’indipendenza kosovara un modello da seguire ed intensificare le loro richieste d’indipendenza. Se la Serbia ritira ambasciatori, impone sanzioni o rompe relazioni con gli stati che riconoscono il nuovo paese, sarà pericolosamente isolata dal resto dell’Europa e sarà gettata nelle braccia, per sopravvivere, della Russia [la qual cosa non ci dispiace affatto vista la supinità dell’Europa, G.P.], che ha appena acquisito il controllo dell’industria petrolifera statale serba e che è deliziata dall’idea di aprire basi militari permanenti nei Balcani, da cui è stata espulsa da Tito dopo la seconda guerra mondiale. "La Serbia farà ciò che deve fare un qualsiasi paese con un minimo di dignità", ha segnalato giovedì alla televisione il primo ministro serbo, Vojislav Kostunica. Il presidente russo, Vladimir Putin, ha insistito fino alla saturazione sul fatto che l’indipendenza kosovara è illegale e pericolosa, ed ha annunciato che la Russia ha messo a punto un piano, per quello che si vedeva sarebbe successo da mesi o anni, benché non abbia concretizzato il contenuto di questo piano.
La Grecia è uno dei sei paesi dell’Unione europea che fino al primo febbraio continuavano ad opporsi all’indipendenza del Kosovo. La Spagna, con gravi problemi separatisti nei Paesi Baschi e in Catalogna, condivide i suoi timori, benché abbia preferito mantenere un debole profilo in questa crisi per la sua incapacità di modificare il risultato finale. Il ministro degli esteri greco, Dora Bakoyannis, si è recata a Washington il 14 febbraio per ribadire un’ennesima volta il suo timore che il nord di Cipro decida di imitare il Kosovo, e che gli albanesi di Macédonia e di Albania, con gruppi radicali fortemente armati, si sentano legittimati a lanciarsi nella realizzazione del loro sogno di costruzione della grande Albania. La forza di 2.000 poliziotti, giudici e funzionari che l’Ue andrà a dispiegare da questo fine settimana, che si sostituirà all’ONU durante una fase di transizione di quattro mesi, non è sufficiente per garantire l’ordine se la minoranza serbo-kosovara, formata da circa centomila persone, decide di proclamare l’ indipendenza nel nord del paese, con Mitrovica come capitale, mettendosi apertamente in contrasto con le autorità di Pristina. Ovviamente, ciò che faranno dipenderà dagli ordini, dall’organizzazione, dal finanziamento, dall’equipaggiamento e dalla direzione di Belgrado, e dalla strategia che la Russia è pronta a seguire nella regione. Le misure che Serbia e Russia possono utilizzare per soffocare la recente indipendenza del Kosovo vanno dalla chiusura delle frontiere, all’ embargo commerciale, al rifiuto dei passaporti ai kosovari ed ai tagli alle forniture petrolio, gas, elettricità, telefono, acqua, servizi Internet. È probabile che la coalizione che governa da Belgrado, incapace di mettersi d’accordo sulla migliore risposta all’indipendenza del Kosovo, si rompa nelle prossime settimane. In tale caso, il presidente Boris Tadic sarebbe obbligato ad anticipare le elezioni legislative del 2011 al maggio di quest’anno. Il voto si trasformerebbe in un altro referendum sul futuro del paese, che dovrebbe optare nuovamente per l’Ue o per la Russia. Tornando alle urne, la vittoria della parte radicale è più che probabile, cosa che allontanerebbe e complicherebbe la futura integrazione della Serbia nell’Ue.