SOTTO IL SEGNO DEL DRAGO: LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE ITALIANE
di G. Duchini
La crisi attuale delle piccole e medie imprese, tornata alla cronaca per le truffe sui ‘derivati’, è la conseguenza di scelte ben precise nel regime delle autorizzazione dei Controllori della Consob e della Banca d’Italia. La responsabilità di tale crisi non è semplicemente lo specchio dell’inefficienza del sistema Italia, come si continua a ripetere nei mass media e da parte del Governatore Draghi di Bankitalia , è anzitutto il controllo pervasivo del Capitale Finanziario Usa, per il tramite dei suoi fiduciari italiani (in busta paga della banca d’affari Goldman Sachs)) ed inseriti ai massimi gradi degli Istituti del Controllo Istituzionale del Credito, che hanno permesso la diffusione dei ‘prodotti finanziari’, nati nei laboratori di ingegneria finanziaria d’oltre Atlantico, onde svuotare i Bilanci delle imprese attraverso un indebitamento spropositato, a seguito dei contratti dei ‘derivati,’ tutti a perdere per le imprese. Il sistema finanziario e bancario di riferimento (in Europa) che regola ed amministra le imprese è denominato con linguaggio criptico da addetto ai lavori, “bank oriented” che assume, nella intermediazione bancaria, il seguente significato: il finanziamento delle banche alle aziende “viene concesso in partecipazione del rischio, con la garanzia delle banche ai rischi di finanziamento delle imprese”. Di converso, nel sistema bancario italiano, si è creata una anomalia unica in Europa: le banche italiane hanno venduto la garanzia del rischio (sulle variazioni di interessi e cambi), come se rappresentassero la copertura del rischio; i piccoli imprenditori già fortemente esposti nei confronti del finanziamento bancario, si trovano a dover fronteggiare un vero e proprio pericolo proveniente dai derivati sottoscritti con gli istituti di credito, risultati veri e propri ‘bidoni,’ contratti fasulli, venduti da tutte le banche italiane con tacito assenso, praticamente autorizzate, dai controllori istituzionali, di Bankitalia ‘in primis.’
Quante sono le piccole medie imprese in difficoltà , a seguito dei contratti venduti dalle banche, non è dato di sapere, anche se si parla 50 mila imprese con valore pari a dieci miliardi di euro. Quello che è certo che si sono innalzati i livelli di rischio e di cessazione di attività delle aziende con la possibilità di veder sparire interi segmenti di produzione, sopravvissuti finora alla concorrenza dei mercati internazionali, con la conseguenza che le aziende sopravvissute alla ‘debacle’ finanziaria, ed alle turbolenze manovrate della finanza internazionale vengono messe sempre più a margini del mercato del profitto e della produttività. La finanza Usa erode sempre più i patrimoni delle imprese attraverso una strutturazione (nascondimento) sempre più complessa dei prodotti finanziari, le cui incidenze negative sull’economia vengono conosciute solo alla fonte: vere e proprie bombe a orologeria, rappresentate non solo da derivati, ma anche dai subprime, private equity; un gioco finanziario coperto, dagli istituti finanziari Usa (ed in particolare dalle banche d’affari) e dato in (com)missione alle banche italiane e, attraverso le quali, rifornirsi della massa di liquidità finanziaria da bruciare nella fucina della competizione, onde garantire un livello di produttività (quello Usa), nel controllo dei mercati internazionali. La sottrazione del potere d’acquisto alle imprese, realizzata in modo subdolo, con le garanzie delle Istituzioni (bancarie), svuota i patrimoni aziendali con particolare ‘accanimento terapeutico nei confronti delle piccole imprese. Del resto, i ‘derivati’ sono copertura di rischi (non coperti) e certi nel loro verificarsi; un indebitamento d’impresa contratto per garanzie di rischi di svalutazione del patrimonio, risultando a fine contratto, una svalorizzazione dello stesso patrimonio, dovuto ad un nuovo indebitamento nei confronti della banca.
Nell’esperienza italiana del ‘dopo mani pulite’, la classe politica sopravvissuta (in prevalenza piciista), dopo aver svenduto a prezzi stracciati un intero sistema industriale, a colpi di svalutazione della lira nel ’92, all’epoca dei governi Amato ed in accordo con l’allora presidente dell’Iri Prodi (con Draghi Direttore del Tesoro), ha proseguito e favorito le svendite dei patrimoni industriali, con l’aiuto trasversale delle destre, in maniera molto particolare; non potendo più procedere alla svalutazione della moneta, con l’ingresso della lira nella zona Euro, si sono creati nuovi metodi di svalutazione patrimoniale: i prodotti finanziari, immessi in modo massiccio in questi ultimi anni nelle imprese, hanno sostituito la svalutazione della moneta degli anni Novanta e continuato con ciò quella dismissione industriale. Di recente (2005) , l’introduzione in Europa dei “Principi Contabili Internazionali (Ias),” vera e propria architrave dei nuovi criteri di valutazione del Patrimonio delle imprese, hanno rappresentato, non un semplice adeguamento di contabilità del bilancio delle imprese europee a quelle Usa (si veda a questo proposito il mio articolo apparso sul blog del 31 marzo 2007), ma una sostanziale ‘legalizzazione’ di una prassi già da tempo consolidata con l’inserimento in Bilancio di prodotti finanziari con maggiore pervasività rispetto al passato. I nuovi principi di valutazione adottati nei criteri del “fair value e present value,” valutazioni secondo la logica delle aspettative di mercato (la fantomatica mano invisibile) a cui mirano le “potenziali controparti:” controparti non alla pari, ma nell’interesse primario di chi controlla e trasforma il prodotto finanziario e con maggiore capacità di intrusione nel patrimonio aziendale, scardinandolo dall’interno e disarticolandolo, nell’equilibrio tra finanziamento ed investimento (secondo i sacri principi ragionieristici) e svuotandolo di valore, nell’apparente logica della concorrenza del mercato (finanziario). Si pensi a questo proposito agli effetti che stanno producendo i ‘derivati e collaterali’ nei confronti dell’unica realtà italiana residua, quella delle piccole-medie imprese: una realtà invidiata, nel passato, grazie alle capacità di adattamento e di inserimento nei ‘segmenti’ di produzione, rimasti scoperti nella divisione internazionale del lavoro.
novembre ‘07