SOTTO LE BANCHE L’ITALIA CREPA di G.P.

Come annunciato ieri da G. La Grassa riporto alcuni estratti da un interessante articolo di Ludovico Festa, pubblicato su Il Foglio del 16 novembre. Festa, al di là delle manovre politiche per l’approvazione della Finanziaria, con il suk di senatori che ha fatto aumentare l’ammontare della manovra di un buon 20-25% , cerca di mettere in risalto il contesto economico all’interno del quale la politica si trova ad agire in questa fase. In primo luogo si segnalano gli attriti tra i due maggiori gruppi finanziari per il controllo delle aziende strategiche dello stivale.

Apprendiamo che Cossiga avrebbe presentato un’interrogazione a Tommaso Padoa-Schioppa per conoscere la natura del nuovo regolamento sull’ "onorabilità" dei banchieri, al quale sta lavorando Bankitalia (che, ricordiamolo, è guidata da Mario Draghi, già vice presidente della sez. europea di Goldman Sachs, alla quale anche Giovanni Bazoli è vicino)  e se questo potrà portare all’esclusione di Geronzi dal consiglio di sorveglianza di Mediobanca.

Detto in soldoni, si tenta di tirare un colpo basso all’ex presidente di Capitalia, con lo scopo di far fuori un concorrente scomodo nell’assedio alle Assicurazioni Generali (il cui pacchetto di controllo è nelle mani di Mediobanca) lanciato da Intesa. Alla luce di queste acquisizioni diventano meno paradossali le dichiarazioni con le quali Geronzi ha salutato il “felice” ingresso nel capitale di Piazzetta Cuccia del socio in affari di Bazoli, quel Roman Zalesky mandato costantemente in avanscoperta ogni qual volta il presidente d’Intesa San Paolo ha piani da realizzare.

Dice Festa: “Si parla di una partita complessa che innanzitutto ha come posta il ruolo della più grande istituzione finanziaria italiana, le Generali: se dovrà essere un soggetto attivo, capace di guidare lo sviluppo nazionale e competere sui mercati internazionali. O se finirà per essere quella sorta di cassa di compensazione del potere finanziario che vuole Giovanni Bazoli, scontando rischi d’impantanamento dell’economia italiana (di questo tipo di esito si vedono già ora tracce in Telecom Italia)”. Apro una piccola parentesi su Telecom prima di riprendere la citazione da Il Foglio, perchè voglio rincarare la dose rispetto a quanto appena accennato da Festa. L’azienda telefonica citata si trova, da 14 mesi, senza top management per i veti incrociati opposti dai principali gruppi finanziari che, come detto, si stanno disputando il controllo delle risorse nazionali. Nel frattempo però l’azienda che fu di Tronchetti continua a perdere quote di mercato e va letteralmente a ritrecine dal punto di vista industriale; si vocifera che a causa di questo bailamme sulle nomine dei vertici aziendali, più o meno gradite ai "grandi capi", si sia incrinato persino il rapporto tra Passera e Bazoli. Il primo si sarebbe imbarcato (proprio come l’ex ad di Capitalia Matteo Arpe, poi defenestrato) in “sconfinamenti” di campo derivanti da valutazioni strettamente economiche. Ma Bazoli ha già fatto capire che qui non è in gioco l’economicità e la profittabilità degli investimenti, quanto la giustezza politica dell’operazione. Secondo questa visione l’uomo migliore per la Telecom sarebbe Bernabè (anche lui sponsorizzato dalla finanza americana) e la questione non va più messa in discussione, per cui Colao, sostenuto da Passera, è meglio che si tenga alla larga.

Questi accentratori sono gli stessi ai quali il governo sta tentando di svendere la compagnia di bandiera Alitalia, sempre appellandosi alla necessità di salvaguardare l’italianità dei settori industriali strategici. Ma riprendiamo dall’articolo di Festa: “Una tattica, quella bazoliana, perfettamente simmetrica a quella paludizzazione della politica che sta mettendo in atto Romano Prodi in difesa del proprio potere". Il giornalista si dice poi favorevole a fare della Compagnia triestina “un soggetto attivo” e non una camera di arbitrato degli interessi (parassitari, aggiungerei io) dei gruppi finanziari che si divorano il paese. E senza Geronzi, questa è la posizione di Festa, non è possibile, almeno nel breve periodo, garantire al Leone la necessaria tranquillità e “indipendenza” per le sue attività di penetrazione dei mercati. Viene persino auspicato che la presidenza delle Generali possa andare ad un “volpone” come Paolo Scaroni, il quale ha già dimostrato, nell’Eni, di saper seguire politiche industriali di grande lungimiranza. Insomma, si sta pensando di trasformare le Generali in un consesso dove portare a ricomposizione le diatribe tra forze di comando del nostro capitalismo, la cui parte finanziaria ha ormai surclassato quella produttivo-industriale in piena decadenza. Bazoli è l’attaccante, giacché si ritrova in posizione di debolezza rispetto al duo Geronzi-Profumo, ma, al contempo, è forte del controllo sulla politica italiana attraverso il suo maggiordomo di palazzo Chigi. Il presidente d’Intesa sta sfoderando tutti i mezzi possibili per sedere a capotavola nella compagnia triestina. Quest’ultima è un boccone prelibato che capitalizza in borsa 46 mld di euro, con utili per 2,3 mld nei soli primi nove mesi dell’anno e con un 21% di incremento rispetto all’anno precedente. Le manovre sul colosso assicurativo seguono strategie diverse e non disdegnano i “mezzucci” pur di raggiungere gli obiettivi prefissati: dalla via "regolamentare" che ha spinto l’ex presidente Cossiga ha chiedere lumi al Ministro dell’Economia, agli stratagemmi politici, fino alle "joint-venture" che non escludono l’intervento di partner stranieri.

Ad esempio, come mai qualche giorno fa un piccolo fondo come Algebris (con una partecipazione dello 0,3% nel Leone) si è scomodato così tanto da inviare una lettera ai vertici delle Generali rampognandoli per gli alti stipendi del management e, soprattutto, per le diversificazioni in portafoglio, putacaso quelle in Telecom ed RCS? Alla Guida di Algebris c’è un certo Davide Serra che se non vive nel “paese delle meraviglie” ha almeno firmato una “letterina d’intenti” con qualcuno più in alto di lui, e non ci vuole molto a capire di chi si tratta.

Ma un paese che si regge sulla speculazione finanziaria – per di più succube dei piani della potenza centrale sempre presente e pronta a reclamare la sua “giusta” parte di bottino – è destinato a divenire terra di conquista, a tutto danno della crescita reale del paese. Altro che italianità degli asset strategici della nazione!

Infine, ancora due parole sull’operazione che ha dato vita al terzo polo bancario con l’acquisizione di Antonveneta da parte di MPS. Siccome senza soldi non si va da nessuna parte il Pd si è fatto la propria banca. Un’operazione accolta malissimo dal mercato per la sua dispendiosità, ma questo non fa che rafforzare la teoria di Gianfranco La Grassa per cui le mosse finanziarie sono sempre veicolate da obiettivi politici precisi. La superbanca della sinistra è forte e inattaccabile. Cioè non è una banca contendibile in quanto l’azionista di maggioranza, la Fondazione Montepaschi, ne ha il controllo assoluto. Questi ex-comunisti interpretano il mondo a modo loro, eppure il barbuto di Treviri aveva invitato i proletari ad unirsi non le banche!*

Non credo che vedremo altre operazioni sconvolgenti per il prossimo futuro (salvo le grandi manovre di assestamento appena descritte), l’oligopolio finanziario italiano è ormai giunto a definizione e le partite si giocheranno, più che altro, sulla capacità di ciascuno di questi colossi di rosicchiare terreno agli altri.

*Notizia dell’ultima ora: "C’è anche Siena nel capitale di Mediobanca. La Fondazione Montepaschi è entrata con l’1,9% in Piazzetta Cuccia. E in questo modo si è chiuso il cerchio dei rapporti sempre più stretti nati in questi ultimi mesi tra Siena e Milano". (da Il Giornale)