SPUNTI E RIFLESSIONI, di GLG

gianfranco

Per ragioni contingenti, legate a problemi di vita personale, ho assistito a questa campagna elettorale più che a ogni altra precedente. E ho avuto così modo di misurare quanto siamo caduti in basso. Se ricordo le “Tribune elettorali” di “tempi antiqui”, non posso che essere allibito. Mai visto simile squallore. Forse sarò un po’ riduttivo (anzi senz’altro lo sono, e volutamente): quello che non mi ha fatto accapponare la pelle è stato un comunista d’antico stampo (mettiamo, ad es., Marco Rizzo). Tuttavia, continuo a ritenere il movimento comunista un grande movimento storico del passato, ma non più proponibile oggi. Ripeto che stiamo entrando in una nuova epoca; e in una situazione simile è indubbiamente difficile trovare la “via giusta”. Come disse Marx, “l’analisi comincia post festum”; e grosso modo corrisponde alla frase hegeliana (cito a memoria) sulla nottola di Minerva che si alza in sul far della sera (a giornata trascorsa e compiuta, insomma).
Ripeto quanto già detto e scritto altre volte: la fase storica attuale, dal punto di vista delle analisi politico-sociali, può essere in qualche modo assimilata a quella tra la conclusione della fase radicale della “Rivoluzione francese” – ma ancor meglio mi rifarei al Congresso di Vienna del 1814-15 (“Restaurazione”) – e i moti del 1848-49, un po’ enfatizzati ma in fondo brevi e francamente abbastanza confusi. Per inciso, ricordo di aver sostenuto, per altri versi, che l’epoca attuale ricorda quella della seconda metà ‘800 (con la “grande stagnazione” 1873-95, il declino inglese per quanto non ancora robusto, l’affermarsi graduale del multipolarismo soprattutto con la crescita delle potenze Usa, Germania e, un po’ più tardi, Giappone). Tuttavia, nello stesso periodo del XIX secolo si andò verso l’organizzazione del cosiddetto “movimento operaio” (nel 1864 la Prima Internazionale, nel 1889 la Seconda, quella decisamente più rilevante, scioltasi nel 1914-15 con il primo grande scontro mondiale tra potenze in buona parte già capitalistiche e con la fase finale del capitalismo “borghese”, il cui prototipo fu appunto quello inglese della prima rivoluzione industriale, predominante per larga parte dell’ottocento, dopo il Congresso di Vienna).
Tornando alle analisi politico-sociali nella fase iniziata con la “Rivoluzione francese” e poi entrata in quella di transizione che condurrà, dopo un bel po’ di tempo, al policentrismo conflittuale acuto anticipatore degli eventi sconvolgenti del XX secolo, abbiamo le prime analisi certo ancora poco ben formate (e criticate poi da Marx) di Sismondi (1773-1842, personaggio quindi proprio coevo alla prima rivoluzione industriale) e il comunismo di Filippo Buonarroti (1761-1837, più o meno coetaneo di Sismondi). Fra i primi sussulti della nuova epoca metterei, anche se in anticipo, Babeuf (1760-97, morto assai presto perché accoppato in seguito alla “Congiura degli eguali” del 1796). Solo Marx, che nasce nel 1818 e ha quindi trent’anni nel 1848, può compiere l’“analisi post festum”, utilizzando come “laboratorio” (vedi la Prefazione al I libro de “Il Capitale”) l’Inghilterra, cioè il capitalismo “borghese”, traendone perciò conclusioni che si riveleranno superate (e non lo si comprese se non dopo più di un secolo) poiché la fase “imperialistica” (lo scontro policentrico acuto sfociato nella I guerra mondiale) fu effettivamente la leniniana “ultima fase” di quel tipo di capitalismo; l’errore di Lenin (come di tutti i marxisti) fu quello di non capire che non era l’ultima fase del capitalismo “tout court”, di pensare che dopo la fine di quel capitalismo (protrattosi in Europa, in fase decadente, ancora durante il periodo fra i due conflitti mondiali) si affermasse la “rivoluzione proletaria”, rimasta invece al palo; perché la classe operaia non era per nulla affatto rivoluzionaria (ma tradunionistica come si pensava fosse solo quella inglese) e la sperata rivoluzione degli “oppressi e sfruttati” fu alla fin fine una lotta di liberazione nazionale di paesi a stragrande maggioranza contadina contro il colonialismo di vecchio stampo (anglo-francese).
Adesso siamo nella fase di transizione ad una nuova epoca, di cui si intravvedono importanti elementi, non però consolidatisi in precisi orientamenti dinamici e in stabilizzate strutture dei rapporti sociali. Il nostro ultimo libro – già dal titolo: “In cammino (verso la nuova epoca”) – lo afferma esplicitamente. E’ soltanto possibile avanzare delle ipotesi e soprattutto fissare sempre meglio gli errori di prospettiva compiuti dalla scienza sociale (anche da quella corrente iniziata con Marx) nell’epoca ormai già trascorsa. E’ grave che molti studi teorici (quasi tutti direi) e gli scontri sociali che si vanno acuendo – in seguito però al prevalente conflitto tra potenze nel nuovo multipolarismo in avanzata – si attardino tuttora in superate ideologie, di grande rilievo un secolo fa, ancora parzialmente utilizzabili mezzo secolo fa, ma oggi al lumicino. Non capiremo alcunché e favoriremo un grosso degrado ed una cancrena inguaribile della nostra società – sia politicamente che culturalmente – se non ci svegliamo un bel po’. Non basta la crescita economica né la tumultuosa evoluzione delle tecnologie. Ci stiamo istupidendo, non vediamo al di là di qualche cm. dal nostro naso.
Per il momento, mi arresto qui.
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