STRONZATE E MENZOGNE (di M. Tozzato)

Ho ritrovato casualmente un articolo di Diego Marconi sul Sole 24 ore del 07.06.2009; una recensione a un libro di Gianni Vattimo intitolato Addio alla verità. Marconi inizia così il suo intervento:
<<Nel suo piccolo ma interessante libro On Bullshit (tradotto in italiano nel 2005 col titolo  Stronzate), il filosofo Harry Frankfurt distingue il bullshit dalla semplice menzogna. Chi mente nasconde o altera quella che crede essere la verità, e quindi ha un’ opinione riguardo a qual è la verità. Invece al bullshitter – a chi parla a vanvera – non importa affatto se quello che dice sia vero o falso: gli importa soltanto di “impressionare e persuadere il suo uditorio”. Secondo Frankfurt (che scrive a metà degli anni 80), la crescita esponenziale del bullshit è legata alla diffusa convinzione che, in una società democratica, ciascuno sia chiamato ad esprimere la sua opinione, per quanto incompetente, approssimativa, casuale; e all’espansione del circuito mediatico, che sollecita l’espressione di molte opinioni.>>
A questo punto Marconi inizia a parlare del libro di Vattimo e delle tesi che vengono portate avanti dal filosofo torinese sulla scia delle sue consuete argomentazioni che riprendono l’ermeneutica di tradizione nietzsche-heideggeriana. Secondo il recensore Vattimo ci propone proprio il bullshit come modello per la filosofia e il discorso pubblico contemporanei:
<<Dice infatti Vattimo che la norma del discorso non è la verità, ma il consenso: ciò che si deve perseguire è una “ condivisione comunitaria che non dipende dal vero e dal falso degli enunciati”.[…]Secondo Vattimo, il profeta isolato potrà solo aspirare a creare, a sua volta, una comunità consensuale: diceva Ernst Bloch che la sola differenza tra il pazzo e il profeta sta nella capacità del secondo di creare una comunità.>>
Effettivamente nella congiuntura di lungo periodo in cui siamo situati assistiamo solamente allo scontro tra diversi punti di vista sostenuti da determinati gruppi sociali (preferisco questa espressione rispetto all’uso del termine “comunità” che mi pare implichi una eccedenza di significato rispetto al tema in questione). Anche di fronte a crimini, efferatezze e menzogne perpetrate da regimi politici, democratici e non, non si pone il problema di dare visibilità pubblica alla “verità”: si tratta solamente della volontà collettiva di un aggregato sociale che sente un bisogno di giustizia – ma ancora una volta si tratta della “propria giustizia” – ritenuto un bene inalienabile soltanto per coloro che lo considerano tale. Vattimo critica sia le ontologie oggettivistiche che legittimano “ un ordine storico e sociale in cui la libertà e l’originalità dell’esistenza umana vengono cancellate” come anche le verità delle scienze naturali e logico-matematiche. I paradigmi di Kuhn, per lui, sono solamente metodi, criteri e modelli che costituiscono una interpretazione con cui affrontiamo il mondo e difendiamo i nostri interessi. Marconi aggiunge, poi,  un elemento chiave della costruzione teorica di Vattimo:
<<Ma la ragione principale per rifiutare verità e oggettività, dice Vattimo, è etico-politica: se ci fosse la verità, la nostra esistenza di soggetti liberi non avrebbe alcun senso e saremmo sempre esposti al rischio del totalitarismo.>>
Ma nel mondo della vita (Lebenswelt), in quel mondo che io “debbo” considerare reale – altrimenti dovrei concordare col Buddhismo Mahayana che considera “verità assoluta” solo la Sunyata (la vacuità) – sono necessarie delle credenze che teniamo per vere, di ordine “pratico” ma non solo. Quando salgo su un autobus debbo presumere che mi stia portando realmente da qualche parte e devo considerare le conoscenze scientifiche che  ne permettono il funzionamento (di scienza pura e applicata cioè tecnologiche) come nozioni dotate di efficacia indipendentemente da altre interpretazioni totalmente differenti da quella che io stesso e molti altri sperimentiamo. La teoria dei programmi scientifici di ricerca di Lakatos e il falsificazionismo di Popper sono fondati sul postulato di un campo oggettuale potenziale che si attualizza -in due maniere profondamente diverse – oltre che nell’esperienza vissuta della vita quotidiana anche nell’interazione con lapratica scientifica teorica e tecnologica. Ad esempio, i termini di confronto di cui  la teoria della società di La Grassa ha bisogno, per poter avanzare verificando le proprie ipotesi, sono enunciati fattuali a cui diamo la funzione di elementi di riscontro. E’ stato il crollo del comunismo storico novecentesco che gli ha permesso negli anni successivi al 1996, dopo un periodo di riflessione e decantazione, di sviluppare la sua”svolta” teorica, per gradi, a partire dalla comprensione profonda della compiuta falsificazione del postulato di Marx.
P.S. Scrive La Grassa ne Il comunismo fallibile (C.R.T.- 1998):
<<Non è per nulla in marcia un processo di più generale assimilazione di condizioni di lavoro, di vita, di status sociale, ecc., così come il marxismo ha sempre supposto con una tenacia, contraria all’evidenza, degna di miglior causa. Non è a tutt’oggi minimamente in atto una tendenza alla formazione di un corpo lavorativo, collettivo e cooperativo (“dal direttore all’ultimo giornaliero”), in cui si ricongiungano potenze mentali della produzione e lavoro manuale, attività direttiva ed esecutiva, in cui sia di rilevanza vieppiù minore che qualcuno presti la mente e qualcun altro il braccio ad un ormai comune progetto e sforzo lavorativo. Tanto meno sussiste la pretesa tendenza alla formazione del general intellect, dato lo specialismo sempre più esasperato che si afferma al livello delle tecniche produttive come della stessa scienza.>>
Mauro Tozzato            09.05.2010