“Su Gaza” e “Immagina” due poesie di Marga
SU GAZA
“Scrivere ancora su Gaza” titola Ennio (*),
e il dolore per l’ancora sfugge ad ogni concetto temporale.
Non c’è un prima, né un dopo ma un eternamente
eterno ripetersi di drammi già visti, già sofferti e ‘ancora’ inutili.
‘Scrivere’. ‘Ancora’. ‘Su Gaza’?
O, forse, dovremmo ‘fare’, ‘qualcosa’, ‘ “in” Gaza’?
Oh, no. Andarci no. Come fu andare in Spagna contro il regime di Francisco.
Franco, il dittatore!
Eppure dovremmo andarci. Per vedere atrocità di bambini morti, corpi spappolati
allo stesso infame modo, sia da una parte che dall’altra?
Lasceremo la scena al monologo di Shylock ‘se ci pungete non facciamo sangue’?
che nasconde la tribale Legge della vendetta ‘occhio per occhio e dente per dente’?
Invece che rabbrividire, ci compiaceremo all’astuzia di Porzia, “chi attenta
alla vita di un veneziano pagherà con la sua stessa vita”, così la Legge del Doge?
Ci commuoveremo al fatto che “sotto vi è sempre un uomo, o un insieme di uomini?”
Così il poeta. Ma poi Shakespeare ci avverte, sempre ne Il Mercante di Venezia:
“ci sono maschere che aderiscono alla perfezione al nostro volto: le costruiamo
per dare un’immagine di noi il più limpida e pulita possibile”. E, anche:
“se il mondo è un palcoscenico, ciascuno ha una parte da recitare”, è Antonio a dirlo.
Per noi, oggi, quale sarà la nostra parte?
Bisogna andarci per capire che dobbiamo uscire ‘da Gaza’, dalla sua stretta mortifera.
Uscire perché le appetitose polpette ideologiche ci hanno già avvelenato il pensiero
così che ogni giorno ne abbiamo bisogno di una nuova – Ucraina già dimenticata -.
Polpette composte dalla stessa macelleria: carni di uomini contro altri uomini.
(*) Ennio Abate in Poliscritture.it del 10.07.2014
Marga
12.07.2014
Immagina …
Immagina pure un campo di raccolta.
No, non di uve o di messi,
fratello citoyen che ancora ciucci di libertè
égalitè. E di fraternitè non ne parliamo.
Là dove vivono uomini tenuti da altri uomini.
Sopra non c’è cielo ma un tendone grigio
perché riflette il grigio che c’è giù
grigie formiche che portano all’ammasso
grigi cervelli dove le idee si sono disseccate
nel monotono andirivieni, dove tira il vento.
Ogni tanto ecco un assembramento e qualcuno
parla, la voce gracchia d’altoparlante, parole
che perdono senso appena vengono raccolte
e messe in cesti comuni cui la gente attinge
paniere sacro perché venuto da Lassù.
Ogni tanto si addensano fantasmi e qualcuno
grida attenti al lupo, sagome umane si guardano attorno
non ce ne è di lupi che ormai stanno già dentro
non per causa di homo homini lupus ma loro pronti
a sbranarsi per l’eroica soddisfazione di chi sta sopra
che conta i morti e intanto meno bocche da sfamare
a vantaggio dei lupissimi che spartiranno più risorse.
Ogni tanto qualche lugubre sirena avvisa che accadrà
qualcosa ma cosa non si sa perché il terrore senza
oggetto e senza luogo annienta ancor più delle bombe.
“Mamma! mormora la bambina mentre
gioca coi suoi balocchi, lo scivolo in piscina, il selfie
sotto gli occhi! Quante bugie racconti per me!”
Pallida ma non per cipria la madre vede già il futuro
dei rinchiusi dentro il muro di progresso e civiltà.
Marga
16.07.2014