SULLA “DEMOCRAZIA” E IL “DEMOCRATICISMO” (a cura di GLG) 24/12
…..il fatto è che non è vero, in nessun modo [corsivo mio], che il numero sia “legge suprema”, né che il peso dell’opinione di ogni elettore sia “esattamente” uguale. I numeri, anche in questo caso [corsivo mio, perché i numeri sono sempre ingannevoli e servono solo ai “tecnici” per istupidire il “popolo”], sono un semplice valore strumentale [corsivo mio, è proprio ciò che penso], che danno una misura e un rapporto e niente più [corsivo mio]. E che cosa poi si misura? Si misura proprio l’efficacia e la capacità di espansione e di persuasione delle opinioni di pochi, delle minoranze attive, delle élites, delle avanguardie, ecc. [corsivo mio], cioè la loro razionalità o storicità o funzionalità concreta. Ciò vuol dire che non è vero [corsivo mio] che il peso delle opinioni dei singoli sia “esattamente” uguale. Le idee e le opinioni non “nascono” spontaneamente nel cervello di ogni singolo; hanno avuto un centro di formazione [corsivo mio], di irradiazione, di diffusione, di persuasione, un gruppo di uomini o anche una singola individualità che le ha elaborate e presentate nella forma politica di attualità. La numerazione dei “voti” è la manifestazione terminale [corsivo mio] di un lungo processo in cui l’influsso massimo appartiene proprio a quelli che “dedicano allo Stato e alla nazione le loro migliori forze”. Quando sono tali [corsivo mio]. Se questo presunto gruppo di ottimati, nonostante le forze materiali [non solo economiche; nota mia] sterminate che possiede, non ha il consenso della maggioranza, sarà da giudicare inetto o non rappresentante gli interessi “nazionali” che non possono non essere prevalenti nell’indurre la volontà nazionale in un senso piuttosto che in un altro. “Disgraziatamente” ognuno è portato a confondere il proprio “particulare” con l’interesse nazionale e quindi a trovare “orribile”, ecc., che sia la “legge del numero” a decidere; è certo miglior cosa diventare élite per decreto. […..] Dalla critica – di origine oligarchica e non di élite [si noti la differenza posta tra la critica di una vera élite e quella di una oligarchia; nota mia] – al regime parlamentaristico (è strano che esso non sia criticato perché la razionalità storicistica del consenso numerico è sistematicamente falsificata dall’influsso della ricchezza [cioè appunto di una oligarchia, nota mia]), queste affermazioni banali sono state estese a ogni sistema rappresentativo, anche se non parlamentaristico e non foggiato secondo i canoni della democrazia formale” [ci si riferisce, in modo non esplicito per ovvii motivi, a quello dei Soviet]. (dalle Note sul Machiavelli, ecc. nell’edizione curata da Togliatti e pubblicata da Einaudi nel 1949).
Si tratta di una pagina su migliaia e migliaia scritte dal Nostro. E meriterebbe qualche decina di pagine di commento. Tuttavia, il tempo manca e mi limito a poche osservazioni. Intanto credo evidente che non c’è in Gramsci alcun elitarismo di tipo aristocratico. Si riscontra semplicemente del buon senso e il rifiuto della banalità tipica degli idioti che recitano sempre “una testa, un voto” quale regola fondamentale di presunta democrazia. Quasi che recarsi in una cabina e vergare una croce sia espressione di scelta meditata e consapevole. Ma quand’anche lo sia, e spesso lo è, non ha pressoché alcun significato in merito alla scelta di chi veramente condurrà il governo della cosiddetta “cosa pubblica”.
L’eguaglianza è inesistente. Non lo è per questione di “ricchezza” e di “forze materiali sterminate”. E soprattutto non lo è perché le opinioni dette collettive non si formano per somma di tante singole scelte individuali, bensì per irradiazione, diffusione, ecc. a partire da dati centri di formazione delle stesse, centri che sono appannaggio di determinate élites o avanguardie. Che lo siano però veramente, per capacità di elaborazione e di direzione e non semplicemente per decreto di qualche “forza” che imponga dall’esterno una presunta élite; allora semplice emanazione di quella forza, che comunque ha elaborato delle idee da diffondere, magari anche semplicemente attraverso l’uso di un potere di imposizione non opponibile. E’ comunque ovvio che, alla fine, si ha sempre un consenso quando si tratti di un governo che dura a lungo. E tuttavia questo consenso, pur quando espresso dalla suddetta croce su un simboletto da nulla, non implica alcuna formazione di un governo per “libera scelta” della maggioranza degli individui di una data società, completamente conformati e appiattiti sulle idee inculcate da dati gruppi di potere, che non sempre hanno carattere “nazionale” (cioè di appartenenza a quella società), ma sono spesso dipendenti per interesse da autentiche élites esterne (“straniere”).
Particolarmente rilevante mi sembra la critica alla “legge del numero”. Nessun disprezzo per i numeri e il calcolo matematico; solo riconduzione alla loro funzione di esprimere delle misure, dei rapporti e niente più. Pensare che esprimano reali pensieri, formazione di idee collettive “dal basso” (dal “popolo”), è un’idiozia e, anzi, una mascalzonata; tipica di ideologi imbroglioni al servizio di coloro che, mediante l’uso di “sterminate forze materiali”, diffondono convinzioni consone ai loro interessi, facendole passare per consapevoli opinioni collettive tese ad interessi comuni e generali. Non si può fare a meno del calcolo numerico come è vano pretendere di fermare il progresso tecnico in nome dell’adesione ad una maggiore naturalità del vivere sociale. La sedicente “natura” è lontana nel tempo, è la nebulosa iniziale, coartata da milioni di fenomeni e processi che l’hanno modificata. In modo “naturale”, si afferma; poi sono venute – sulla Terra, questa ultraminuscola “molecola” del Cosmo – le specie viventi che, dalle forme dette inferiori a quelle superiori, hanno introdotto mutamenti e coartazioni via via sempre più spinte. Ma sempre “naturali”, gridano i coglioni “naturalisti”.
Povero uomo; ha avuto “in dotazione” (e non chiedetemi il perché) il pensiero, ha quindi interagito con l’ambiente in modo assai più incisivo rispetto agli altri animali, provocando mutamenti maggiori. E per questo, ahimè, non è più “naturale”, ha creato l’artificialità. Tutta colpa di essere protagonista di una “storia evolutiva” (mamma mia, attenti a non caricare di “valore” il termine evoluzione!), che implica continua energia trasformativa immessa nell’ambiente con cui si interagisce (e come faremmo a vivere senza provocare molteplici interazioni, a volte un po’ brusche?). Certamente il progresso tecnico, figlio e mezzo di questa energica interazione con l’ambiente, si nutre di scienza e quindi delle “leggi del numero” e del calcolo. Nessuno vuol svalutarli. Tuttavia….
Tuttavia, non è in questo modo che si formano le decisioni e volontà susseguenti ad idee dette “collettive”; idee formatesi, in realtà, mediante processi in cui tante “ideuzze” corrono per lunghi periodi di tempo entro canali invisibili che attraversano un “corpo sociale”, di fatto soltanto un ammasso di tanti individui fra loro interagenti secondo modalità complicate e di difficile indagine. Poi, per una sorta di “magia”, molte di queste “ideuzze” si concentrano e vengono sistematizzate in dati punti del “corpo sociale”, ad opera di “un gruppo di uomini o anche una singola individualità che le ha elaborate e presentate nella forma politica di attualità”; e da lì riprendono a percorrere questo “corpo collettivo” per “irradiazione, diffusione, persuasione”, diventando forza trasformatrice – così poco “naturale”, cioè così contraria al conformismo imperante da tempo immemorabile in quella società – e contribuendo ai salti d’epoca storica.
No, non va bene secondo i “soliti”, è “innaturale”, non si è rispettata la “legge del numero”, il “una testa, un voto”. Eppure in “natura”, sia tra le specie vegetali che animali, si affermano determinate “volontà” (termine improprio, lo so, ma si cerchi di capire cosa voglio dire) individuali; quelle dette del “più forte”. Che si tratti di una foresta, di un branco, ecc. non c’è nulla di più “naturale” della “persuasione e diffusione” a partire da dati punti (gruppi o singoli individui) della “collettività”. Ci mancherebbe solo questa, si obietta subito. Il meraviglioso Uomo, dotato di ragione e soprattutto di Moralità, senso della Giustizia – e chi conciona di più è sempre il più cretino – dovrebbe sottostare alla “volgarità” della “legge di natura” che vede prevalere il più forte? Che cosa accadrebbe della sua spiritualità, di quel “qualcosa” di sfuggente che comunque, dopo la morte, si stacca dal (troppo) “naturale” corpo e va….chissà dove, ecc. ecc.? Insomma, si è sempre scontenti. Il progresso tecnico non va bene, distrugge la “natura” cui l’uomo deve tornare. Tuttavia deve tornarci sapendo che il suo corpo, pretto prodotto di questa “natura”, è rozzo, volgare, grossolano; bisogna nutrire la sua spiritualità. Però, per nutrirla meglio, si annulla ogni individualità seguendo la “legge del numero” – che non vige completamente nemmeno nella più grezza delle “nature” – per quando riguarda la formazione di “volontà dette collettive” attraverso la “meravigliosa democrazia”.
No, non c’è alcuna democrazia che possa esulare dal confronto e scontro tra “gruppi di individui” (e “capi”). E non si venga a raccontare che questo scontro è puramente spirituale, semplice confronto (“dialettico”) tra idee di cui una si dimostrerà migliore delle altre, ma dopo che tutte sono state sottoposte alla più attenta valutazione e meditazione da parte dei vari individui componenti una popolazione. La convinzione di masse di individui è indubbia; tuttavia, mi dispiace per i cultori dell’”una testa, un voto”, essa si forma spesso attraverso altre vie e senza reali e “democratiche” (democraticistiche) consultazioni elettorali. Anzi, quasi sempre, le più celebri “dittature” (altra denominazione impropria dei formalisti) hanno goduto di consensi popolari, entusiasti e duraturi, assai maggiori delle più “lucenti democrazie”. Il discorso sulla “democrazia” (lasciando perdere la sua etimologia o la sua origine storica, cui si dedicano tanti intellettuali “dotti”, piuttosto noiosi e poco utili nel loro mero sfoggio di “cultura”) non va ridotto alla semplice “legge del numero”; che comunque nessuno vuol svalutare, se ricondotta però a indicazione di misure e rapporti non collocati nell’empireo della presunta migliore manifestazione della volontà popolare.
Quest’ultima si esprime, nel suo senso più alto, in determinati e “puntuali” momenti storici, quando si scatena – affermando concretamente, praticamente, l’insopportabilità di certi potentati – nella violenza contro coloro che hanno abusato troppo a lungo della pazienza dei “mansueti” e che vengono finalmente scalzati. Tuttavia, anche in simili momenti, è senz’altro utile la “legge del numero”; quanti più si scatenano nella pratica della violenza, tanto maggiori risultati si conseguono. A parità di condizioni, però, poiché vi è un elemento aggiuntivo e decisivo: la presenza di autentiche avanguardie o élites, in grado di dirigere tale violenza verso obiettivi possibili e mantenibili, in modo da non disperdere in poco tempo i risultati conseguiti e da produrre invece un autentico “salto storico” di “strutture sociali”. D’accordo: non si raggiunge mai l’obiettivo posto dalle élites, alla fine se ne realizza un altro. Comunque, si è provocato uno “strappo” decisivo, una soluzione di continuità tra “formazioni sociali” differenti. Tra la rivoluzione del 1905, schiacciata dallo zarismo, e la “Rivoluzione d’ottobre” del ’17, che spazzò via zaristi e borghesi imbelli e indecisi, si capirà, spero, la differenza.
E qual è stata la più “democratica”? Per me quella che ha cambiato il mondo, facendolo entrare in una nuova spirale di diversa evoluzione. E ha tanto impressionato i potenti che ancora adesso questi sbavano e sputano veleno come se ancora esistessero i bolscevichi. Ne hanno preso di spavento! Ebbene, questa è la “democrazia”: terrorizzare i potenti, quelli che stanno in alto, tener loro sempre presente che, prima o poi, la Storia ripresenterà loro i conti. E finiranno di nuovo come altri dello stesso genere sono finiti in passato. Ci sono oppressori (o comunque decisori “opprimenti”) che si presentano per quello che sono; altri, persino peggiori, che si travestono invece da “democratici” del “numero”. Sono entrambi da combattere; ma i secondi sono più ipocriti e infami.
Non ho altro da dire; non per il momento.
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