SULLA TEORIA DEL VALORE LAVORO di M. Tozzato

           

 

Ho avuto occasione di leggere, recentemente, un intervento su Marxiana di Duccio Cavalieri con la breve risposta di Guglielmo Carchedi – entrambi riconosciuti e stimati economisti marxisti – riguardante l’annosa questione della teoria del valore-lavoro e della trasformazione dei valori in prezzi in Marx. La prima spontanea considerazione che mi sovviene riguarda il motivo per il quale degli economisti preparati che si definiscono marxisti si dedichino ancora, con accanimento, a problematiche teoriche che obiettivamente possono definirsi, relativamente al rapporto con l’attuale dimensione politica e sociale, del tutto secondarie. Anche rimanendo all’interno di un approccio economicista, che nell’impostazione adottata dal nostro blog consideriamo decisamente insufficiente, vi sono numerose problematiche riguardanti l’economia internazionale globale, lo studio dei mercati finanziari, le forme della dislocazione produttiva, delle esternalizzazioni, delle fusioni e centralizzazioni tra imprese, del rapporto delle politiche economiche con le tipologie di sviluppo dei vari capitalismi, a partire da quello centrale, che appaiono visibilmente più importanti sia dal punto di vista  politico che da quello sociale. La questione della teoria del valore dovrebbe e potrebbe rientrare in un lavoro di riesposizione complessiva della critica dell’economia politica , che operi nella direzione  dell’inglobamento ( in analogia con Newton e Einstein in fisica) del pensiero marx-leniniano in un nuovo paradigma, che ponga al centro concetti e nozioni diversi e che implichi un  relativo riorientamento di tutta la costruzione teorica di analisi e interpretazione della formazione sociale capitalistica (quella globale e quelle dei diversi Stati-nazione e “aggregati regionali”). Questo è quello che sta tentando di fare La Grassa con la consapevolezza che il suo lavoro potrà essere completato solo da studiosi più giovani e liberi da vecchie sedimentazioni teoriche; siamo sempre in attesa che ci vengano proposti altri autori che si muovano con una simile autentica volontà di rinnovamento “a partire da” un approccio come quello tramandatoci per serietà scientifica e volontà (e onestà) politica dai nostri grandi classici (in primis Marx e Lenin). Non siamo così ingenui comunque da non comprendere che un simile teoreticismo, così lontano dalle problematiche del mondo reale, risulta determinato dalla collocazione politica e dalla visione del mondo che questi intellettuali hanno effettivamente adottato; la maggior parte di loro si muove all’interno o nelle strette vicinanze della cosiddetta “sinistra radicale” (governativa) di cui si può dire, nel migliore dei casi, che dalla socialdemocrazia keynesiana critica è passata a una  combinazione di statalismo lassalliano-keynesiano   condito con un liberalismo di sinistra di matrice rawlsiana (ma se andiamo oltre questa ideologia nella pratica siamo al peggio del peggio).   Non sappiamo comunque più che farcene di un approccio “scientifico” al marxismo del tutto similare a quello sull’ “anatomia delle lumache” o sulle “proprietà terapeutiche delle castagne matte” e dissertazioni varie buone solo per ammazzare il tempo. Cavalieri afferma che , in questo momento, è <<decisivo […] riuscire a fondare saldamente sul terreno teorico l’asserita equivalenza tra neovalore marxiano e lavoro vivo, invece di assumerla come un postulato. Questo, finora, non mi pare sia stato fatto. Se c’è qualcuno che pensa di essere in grado di farlo, si faccia avanti.>>

La risposta di Carchedi, sostanzialmente, è un invito a Cavalieri ad informarsi maggiormente perché è proprio lui, il professore che insegna ad Amsterdam, che ha finalmente risolto, in collaborazione con altri  eminenti studiosi di area anglosassone, l’annoso e terribile rompicapo su valore e prezzi. In pratica sembra che Carchedi abbia compreso che inserendo il problema trasformativo in una dimensione temporale vengano meno e si dissolvano le incongruenze analitiche che “apparentemente” (per lui) caratterizzano il passaggio dai valori ai prezzi dei produzione. Per quanto mi riguarda ho l’impressione che il professore trascuri il livello, o meglio i vari livelli, di astrazione  che Marx utilizza riguardo alla problematica della  trasformazione. Carchedi, mi pare, equipari i valori marxiani a quello che gli economisti ortodossi potrebbero chiamare prezzi di costo , con un saggio del profitto determinato, in prima istanza, a partire dalla singola impresa, mentre i prezzi di produzione diventano nella sua impostazione i prezzi di vendita, che sarebbero i sopracitati prezzi di costo trasformati applicando il saggio medio di profitto vigente in un determinato sistema economico. In verità ci appaiono decisamente più convincenti, ancora una volta, le osservazioni che nel suo libro Gli strateghi del capitale (Manifestolibri – 2005) Gianfranco La Grassa propone e che rovesciano completamente le argomentazioni del prof. Carchedi. Afferma La Grassa:<<Il problema della trasformazione non è senza senso né tanto meno è un “falso problema”>> ma le difficoltà << nascono da una confusione tra i vari livelli dell’analisi. In pratica, i prezzi di produzione, come i valori di scambio, vengono fatti dipendere dallo scambio effettivo che si svolge nel mercato; è allora ovvio che il presupposto, il valore o il prezzo di produzione, diventa invece conseguenza del processo di scambio. In definitiva, il valore di scambio – e il prezzo di produzione viene collocato sullo stesso piano – detta le sue “leggi” al valore. […] Marx ripete continuamente che il valore  – in quanto lavoro incorporato nel prodotto-merce – è il fondamento della sua forma di manifestazione fenomenica, il valore di scambio; il quale a sua volta, dopo l’intervento del denaro (e della moneta), è il prezzo (di mercato).>> Per Marx, quindi, <<già prima di essere avviata al luogo della compravendita, ogni merce ha impressa in sé, sostanzialmente un’impronta: la spesa di lavoro per produrla, che dà ragione, in media, del suo rapporto di scambio con ogni altra merce>>. Ma l’errore in cui i marxisti sono caduti più frequentemente riguarda l’interpretazione della nozione marxiana di “prezzo di produzione”:<<Ora, il prezzo di produzione non è un prezzo (rapporto di scambio con il denaro) ma è proprio un valore trasformato, è il “ coagulo” di lavoro speso nella produzione della merce, già in essa contenuto prima del suo avvio al mercato. Quest’ultimo, però, deve necessariamente avvenire, è messo in conto già prima della sua realizzazione effettiva, poiché è insito nel concetto stesso di merce; viene di conseguenza messa subito in conto anche la necessità che ogni capitalista debba godere, nella reciproca concorrenza, di un saggio di profitto tendenzialmente eguale a quello di ogni altro.>> Il valore trasformato è quindi, in Marx, <<il precedente (logico) dei prezzi di mercato>> intesi, questi ultimi, come <<centri attrattori, attorno a cui oscilleranno i prezzi concreti (empirici)>>.

Concludo con una mia considerazione, sicuramente da verificare e sviluppare,  riguardo alla “forma di esposizione” usata da  Marx del concetto di sostanza di valore nel primo capitolo de Il Capitale. Penso che – e non mi riferisco in questo caso in modo particolare a Carchedi e Cavalieri – per alcuni pensatori marxisti la discussione sulla sostanza di valore quale fondamento sovrastorico di un valore inteso come “essenza” del valore di scambio abbia risposto a un bisogno di mantenere “un contatto con dio”, con la metafisica, tramite il riferimento ad una sostanza (spinoziana) “di valore” quale essere supremo impersonale presente dietro i modi (spinoziani) del mondo empirico. Ma mentre il pluslavoro è effettivamente all’origine del plusprodotto ( e il lavoro necessario del prodotto necessario) la "sostanza" (e relativa grandezza) di valore è una categoria a cui non corrisponde nessuna oggettività reale, empirica, materiale. Le forme sociali che possiedono una loro precisa oggettività ( ad esempio il denaro) sono solo il risultato dei rapporti sociali tra gli uomini e la forma di valore o si risolve semplicemente nel valore di scambio, come nel capitalismo, oppure in riferimento alle fasi precedenti della formazione economica della società si possono trovare altre relazioni e quindi forme sociali, storicamente determinate, che ne rappresentano le “anticipazioni” (precapitalistiche). Anche per queste ultime tematiche, senz’altro interessanti, vale comunque la consapevolezza che l’analisi della situazione attuale della società (italiana e mondiale) deve essere indirizzata ad altre questioni prioritarie dal punto di vista politico,  pure in una condizione in cui la possibilità di agire, nell’attuale campo di forze e nel senso del cambiamento, ci pare rimandata a data da destinarsi.

Mauro Tozzato                        24.11.2007