Si chiariscono i ruoli, di GLG

I “porti chiusi” sono un successo e i migranti vanno in Libia per lavorare

un articolo molto preciso e con dati rivelatori. Tutte cose che non si sentiranno mai in questa verminosa TV e stampa italiana in mano agli “infetti”. Invito comunque l’unico giornale al momento accettabile, “La Verità” (che oggi ha pubblicato un bell’articolo di Piero Laporta, su altro argomento), a fare di più per diffondere notizie come quelle qui scritte. L’unico commento che per il momento faccio è il seguente: dal primo giorno dell’attacco di Aftar a Tripoli ho sostenuto che non c’era alcuna intenzione “definitiva”. E non c’è “guerra civile” in Libia, solo un conflitto a bassa intensità, con manovre e contromanovre di potenze e subpotenze (mentre in Siria questi giochi sono già da alcuni anni non risolti totalmente, ma certamente largamente “stoppati”). E basta con la fuga dalla Libia di poveri affamati, che pagano invece migliaia di dollari ai vari criminali (non solo gli scafisti, ma tutta la filiera che arriva fino ai vergognosi centri d’accoglienza, fra cui primeggiava quello di Riace), come ha dimostrato un bel servizio ieri sera a “Quarta Repubblica” di Porro.
E adesso alla “meravigliosa” elezione (con 9 voti di maggioranza) della successora di Juncker (vi piace il mio “femminile”, è abbastanza “antisessista”?). La maggioranza è stata garantita dai 14 voti dei pentastellati, i governativi italiani, di cui il gioco è ormai chiarissimo: tentativo di logorare la Lega, prenderne un po’ di voti per riuscire a portare avanti il “primo forno”, quello dell’alleanza tra “sinistri” e “5 stelle”, con il supporto del “partito” Conte-Tria-Moavero, ben legati a chi dovreste sapere. Dall’altra parte, troppi ritardi di FdI nelle sue manovre con Toti, i cui risultati la Lega sta attendendo. Intanto, a livello europeo, quelli del gruppo di cui fa parte FdI (i polacchi) hanno votato per la tedesca Van….ecc. ecc. Una situazione veramente “chiara e definita”. Vedremo, credo, in pochi mesi come andrà a finire. Intanto, in Italia l’“infezione” continua ad occupare tutta l’informazione e una parte importante dei “Servizi”. Non si muove nessuno in altri importanti apparati di Stato?

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Gli attacchi economici al Governo sono politici

 

Degli allarmi di Draghi, sulla tenuta del sistema economico italiano, occorre disinteressarsi. Costui è stato tra i primi svenditori dell’Italia, dopo la famosa crociera sul Britannia, allorché la finanza angloamericana decise di uccidere il nostro Paese, in seguito al cambiamento del quadro di rapporti di forza, che da bipolare divenne unipolare, col crollo dell’Urss. Le parole di Cossiga, al proposito, furono inequivocabili (qui) ( https://m.youtube.com/watch?v=pb0lM-mAW6g). Il Presidente Bce, all’epoca al vertice della Banca d’Italia, non ha mai denunciato l’ex Capo di Stato sardo, il quale, da buon filo-americano, con agganci ad un certo livello internazionale, poté permettersi un simile affondo contro l’ex Goldman Sachs (peraltro da lui indicato a Berlusconi per la candidatura a governatore della massima istituzione bancaria nazionale), essendo custode di segreti che avrebbero interrotto all’istante la carriera dell’euroburocrate romano.
Mario Draghi, ricopre un ruolo tecnico ma, da sempre, è una pedina politica di quell’establishment mondiale, influenzato da Washington, il quale si trova adesso in grande difficoltà, dopo la vittoria di Trump (terminale di un diverso concetto di dominanza a stellestrisce). Tutti gli attacchi provenienti da Bruxelles verso l’Esecutivo nostrano sono pertanto politici, anche se ammantati di tecnicalità economico-finanziaria. Essi scaturiscono da una visione dell’Ue elaborata dagli apparati statunitensi in una precedente fase storica. Sin dagli albori, il progetto unitario europeo è stato sponsorizzato e condizionato da Oltreatlantico, come de-scritto in molti documenti dell’intelligence Usa, venuti alla luce solo recentemente. Oggi però, in virtù di mutamenti strategici nella nazione predominante, il disegno europeo, e chi l’ha gestito in questi lustri, vengono considerati inadatti agli sviluppi globali in atto. I “parvenus” alla Casa Bianca hanno idee differenti sugli assetti generali da adottare. Per Trump e i suoi uomini il formato attuale non garantisce le mutate esigenze statunitensi, in un clima irrimediabilmente multipolare. L’intento di sottomissione continentale non è cambiato, tuttavia, non si può fingere che il mondo sia sempre lo stesso. I predecessori, restii ad accettare il vento sfavorevole, si erano infilati in un cul de sac, procurando arretramenti sullo schacchiere globale, con la loro geopolitica del caos. Ciò richiede una calibratura oggettiva degli obiettivi strategici da sposare, anche “zigzagando”, tra una posizione e l’altra, per chiarirsi le idee. Lo spauracchio per Washington, comune a chi c’era e a chi c’è, resta immancabilmente quello di una superiorità regionale di Berlino (che non è quella solo economica di cui si blatera presentemente). Quest’ultima, in ipotetico avvicinamento a Mosca, produrrebbe una supremazia ultracontinentale di portata incontrollabile da parte di soggetti esterni. Sarebbe la fine dell’impero americano che avrebbe come unica possibilità di ristabilimento della propria preminenza l’invasione militare dell’Europa. Impensabile senza scatenare un conflitto mondiale. Di fronte a detti rischi, coltivare pretese unilaterali irrealistiche è, dunque, controproducente. Ecco allora che Trump e soci si trovano a dover rimescolare le carte, in attesa di scoprire geometrie storiche e geostrategiche più fattibili, adatte a rallentare il processo di erosione del potere americano sulla scena globale.
In quest’ottica va vista la benevolenza trumpiana verso il populismo italiano. Le cose devono cambiare perché il predominio statunitense si mantenga intatto ma sotto forme coercitive innovative, diverse da quelle abituali, a questo punto esauste e consumate dagli eventi. Come ha dichiarato Bannon, l’Italia è il laboratorio di questa svolta “neoamericana”, spacciata per originalità nostrana da estendere a tutta l’Ue, in sinergia con la riconfigurazione del potere Usa. Occorre accelerare questo trapasso, non per favorire i piani americani, ma per sbarazzarsi di una sudditanza atavica ancor più limitante che ci marginalizza come paese inserito nell’area atlantica e come membro Ue. Nelle contraddizioni tra gli yankee forse troveremo la nostra strada (triangolando, in un prossimo futuro, con Berlino e Mosca) e le energie per riappropriarci del nostro destino. Da laboratorio per gli esperimenti altrui a fucina di sovranità per noi stessi e per tutta l’Europa. Non possiamo sicuramente aspettarci che siano Lega e 5S a determinare una simile svolta ma ogni passo che ci allontana dall’orizzonte dei “democratici”, in tutte le salse euroamericane, è una speranza che si accende per il domani.

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