Gli attacchi economici al Governo sono politici

 

Degli allarmi di Draghi, sulla tenuta del sistema economico italiano, occorre disinteressarsi. Costui è stato tra i primi svenditori dell’Italia, dopo la famosa crociera sul Britannia, allorché la finanza angloamericana decise di uccidere il nostro Paese, in seguito al cambiamento del quadro di rapporti di forza, che da bipolare divenne unipolare, col crollo dell’Urss. Le parole di Cossiga, al proposito, furono inequivocabili (qui) ( https://m.youtube.com/watch?v=pb0lM-mAW6g). Il Presidente Bce, all’epoca al vertice della Banca d’Italia, non ha mai denunciato l’ex Capo di Stato sardo, il quale, da buon filo-americano, con agganci ad un certo livello internazionale, poté permettersi un simile affondo contro l’ex Goldman Sachs (peraltro da lui indicato a Berlusconi per la candidatura a governatore della massima istituzione bancaria nazionale), essendo custode di segreti che avrebbero interrotto all’istante la carriera dell’euroburocrate romano.
Mario Draghi, ricopre un ruolo tecnico ma, da sempre, è una pedina politica di quell’establishment mondiale, influenzato da Washington, il quale si trova adesso in grande difficoltà, dopo la vittoria di Trump (terminale di un diverso concetto di dominanza a stellestrisce). Tutti gli attacchi provenienti da Bruxelles verso l’Esecutivo nostrano sono pertanto politici, anche se ammantati di tecnicalità economico-finanziaria. Essi scaturiscono da una visione dell’Ue elaborata dagli apparati statunitensi in una precedente fase storica. Sin dagli albori, il progetto unitario europeo è stato sponsorizzato e condizionato da Oltreatlantico, come de-scritto in molti documenti dell’intelligence Usa, venuti alla luce solo recentemente. Oggi però, in virtù di mutamenti strategici nella nazione predominante, il disegno europeo, e chi l’ha gestito in questi lustri, vengono considerati inadatti agli sviluppi globali in atto. I “parvenus” alla Casa Bianca hanno idee differenti sugli assetti generali da adottare. Per Trump e i suoi uomini il formato attuale non garantisce le mutate esigenze statunitensi, in un clima irrimediabilmente multipolare. L’intento di sottomissione continentale non è cambiato, tuttavia, non si può fingere che il mondo sia sempre lo stesso. I predecessori, restii ad accettare il vento sfavorevole, si erano infilati in un cul de sac, procurando arretramenti sullo schacchiere globale, con la loro geopolitica del caos. Ciò richiede una calibratura oggettiva degli obiettivi strategici da sposare, anche “zigzagando”, tra una posizione e l’altra, per chiarirsi le idee. Lo spauracchio per Washington, comune a chi c’era e a chi c’è, resta immancabilmente quello di una superiorità regionale di Berlino (che non è quella solo economica di cui si blatera presentemente). Quest’ultima, in ipotetico avvicinamento a Mosca, produrrebbe una supremazia ultracontinentale di portata incontrollabile da parte di soggetti esterni. Sarebbe la fine dell’impero americano che avrebbe come unica possibilità di ristabilimento della propria preminenza l’invasione militare dell’Europa. Impensabile senza scatenare un conflitto mondiale. Di fronte a detti rischi, coltivare pretese unilaterali irrealistiche è, dunque, controproducente. Ecco allora che Trump e soci si trovano a dover rimescolare le carte, in attesa di scoprire geometrie storiche e geostrategiche più fattibili, adatte a rallentare il processo di erosione del potere americano sulla scena globale.
In quest’ottica va vista la benevolenza trumpiana verso il populismo italiano. Le cose devono cambiare perché il predominio statunitense si mantenga intatto ma sotto forme coercitive innovative, diverse da quelle abituali, a questo punto esauste e consumate dagli eventi. Come ha dichiarato Bannon, l’Italia è il laboratorio di questa svolta “neoamericana”, spacciata per originalità nostrana da estendere a tutta l’Ue, in sinergia con la riconfigurazione del potere Usa. Occorre accelerare questo trapasso, non per favorire i piani americani, ma per sbarazzarsi di una sudditanza atavica ancor più limitante che ci marginalizza come paese inserito nell’area atlantica e come membro Ue. Nelle contraddizioni tra gli yankee forse troveremo la nostra strada (triangolando, in un prossimo futuro, con Berlino e Mosca) e le energie per riappropriarci del nostro destino. Da laboratorio per gli esperimenti altrui a fucina di sovranità per noi stessi e per tutta l’Europa. Non possiamo sicuramente aspettarci che siano Lega e 5S a determinare una simile svolta ma ogni passo che ci allontana dall’orizzonte dei “democratici”, in tutte le salse euroamericane, è una speranza che si accende per il domani.

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Se il dito indica la luna, lo stolto guarda lo spread

 

Mario Draghi, Presidente Bce, si reca al Quirinale, dal Capo di Stato Sergio Mattarella, per raccomandare di non sottovalutare lo spread. Inoltre, avverte su un probabile declassamento dell’Italia, da parte delle agenzie di rating, a causa dei suoi conti traballanti. L’ex Goldman Sachs, utilizzando argomenti pretestuosi, cerca di spaventare il Governo giallo-verde, reo di essere uscito dai binari dell’Ue, ingerendosi in scelte politiche nelle quali non dovrebbe mettere naso. Innanzitutto, il differenziale tra titoli di Stato italiani e tedeschi, non ha nulla a che vedere con lo stato effettivo di un’economia. E’ mero aspetto finanziario sui cui giocano speculatori che hanno in mano i titoli di Stato. Lasciate agire questa volatilità ed essa si dissolverà come una montagna di fumo, in un tempo non lungo, perché non deriva da fattori “reali” ma da manovre fittizie su cedole di carta (anzi, ormai su desktop dove agiscono algoritmi). Fu lo stesso Berlusconi a dire che lo spread era un imbroglio: https://m.youtube.com/watch?v=By-hSH-UWYs.
Ora il suo cortigiano Sallusti, direttore de Il Giornale, va annunciando la catastrofe imminente a causa dello Spread e delle mani bucate dei grillini, dopo aver gridato al complotto nel 2011, quando il suo datore di lavoro fu costretto a sloggiare da Palazzo Chigi, per una similare azione dei mercati (dietro i quali c’erano Draghi, Napolitano e i loro padrini internazionali). Quanto ai timori per i giudizi negativi da parte delle agenzie di rating ci sarebbe da rispondere con sonore pernacchie. Si tratta di centrali della truffa che, in passato, hanno nascosto i bilanci in rosso di grandi società (e probabilmente continuano a farlo, basta pagare e avere le conoscenze giuste) prossime al fallimento, per dare il tempo a chi di dovere di sbarazzarsi dei titoli tossici. Il compito dei loro impiegati è quello di far finta di prendere sul serio i bilanci, rendere credibile ciò che non è solvibile e fornire valutazioni truccate in base a convenienze relazionali.
Tuttavia, sono convinto che in questa circostanza l’assalto “dei mercati” all’Italia non sortirà gli effetti della volta precedente. Il clima è cambiato, gli sponsor americani della burocrazia Ue sono in grande difficoltà, dopo la vittoria di Trump, e non possono esercitare la medesima opera di dissuasione del passato. Piuttosto, i veri rischi vengono dall’alleanza incerta Lega-5S. Già si parla di una rottura dopo le prossime elezioni europee, a causa delle diatribe insolute tra essi e dei sondaggi che sembrano avvantaggiare Salvini, ora socio di minoranza del connubio ma con velleità solitarie. Inoltre, c’è l’incognita delle consultazioni di mid-term negli USA. Queste sono ancora più importanti, perché un ridimensionamento di Trump ringalluzzirebbe il vecchio establishment democratico e con questo i suoi scherani nel nostro Continente. Altro dunque che lo spread, siamo in piena battaglia campale per nuovi equilibri di potere, internazionali e nazionali.

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