TAV-ERNICOLI ALLA RISCOSSA
I Tavernicoli dell’antitav non si danno pace e non sentono ragioni, abituati a menar le mani e ad emettere suoni primordiali piuttosto che ad usare la testa. Il buco nella montagna non si deve fare perché non è bucolico e perché così ha stabilito il partito preso di una retroguardia sociale rumorosa, minoritaria, irrazionale ed ebbra d’ideologia la quale, tra barrique e barricate, ostacola lo sviluppo del Paese. Sviluppo che è sintesi delle molteplici attività umane le quali determinano inevitabili contraddizioni ma anche indubitabili avanzamenti, laddove precedenti risultati economici dati per acquisiti si rivelano, con la mutazione della situazione sociale, troppo limitati. Piaccia o meno si deve stare, mettendoci intelligenza, al passo dell’epoca pena lo sprofondamento nel declino senza nemmeno aver tentato un minimo di adattamento e di slancio creativo. Troppe volte siamo rimasti indietro pagando innumerevoli conseguenze a causa di ansie e paure collettive, spesso generate ad arte. Ma in Italia, a sentire i conservatori attaccati alle loro ristrette convinzioni da barboni virtuali si dovrebbe proprio rinunciare a “modernizzare”, investire, sveltire la realizzazione delle grandi opere poiché la nostra vocazione ancestrale, suggerita dal nostro patrimonio naturale e dalla tradizione turistica, deve essere necessariamente di lentezza o persino di immobilità generale: slow food, slow foot, slow life e, purtroppo, low profile industriale e tecnologico. Una nazione appiedata e letteralmente ferma al palo, nicchia europea e mondiale di mercati di nicchia sempre meno appetibili dove, tra albergatori, ristoratori e camerieri, prosperano e bivaccano coltivatori diretti di propaganda campestre e di vecchie maniere agresti, rigorosamente contemplate dal salotto di casa, possibilmente di fronte ad uno schermo al plasma. Più che patria del biologico, stiamo divenendo uno spazio geopolitico e geoeconomico biodegradabile ed in costante degrado. Questi sono i punti fermi, o piuttosto i punti rigidi (come le clave preistoriche agitate dai suddetti cavernicoli avverso presunti poliziotti trogloditi e rozzi capitalisti affamati di profitto), sui quali non si può trattare. Ammettiamo per un attimo che la Tav non sia così urgente, ammettiamo pure che i dati e i vantaggi prospettati da chi ha interesse a concretizzarla siano stati gonfiati, ammettiamo che i malintenzionati stiano già immaginando lauti guadagni rinvenienti da facili speculazioni e appalti pilotati, ammettiamo tutto questo perché è già successo e continuerà ad accadere (ma è l’eccesso che genera il necessario, care anime belle). Accettiamo parimenti che la ragione stia un po’ di qua ed un po’ di là, come in ogni umana vicenda, ma nondimeno è lecito porsi una domanda, ovvero perché mai in Italia non sia possibile fare alcun progetto o intervento senza che si riversino sulle tangenziali o lungo i binari orde di invasati anti-tutto e pro-niente, icariani ciarlatani che predicano la frugalità della comunità ma poi si lamentano della disoccupazione e dell’incipiente impoverimento dei suoi membri. No al nucleare, no ai rigassificatori, no alle estrazioni, no a qualsiasi attività soprattutto se in my back yard, proprio mentre la nazione, anche a causa di questo rifiuto ossessivo di ogni novità, iniziativa, o impresa giudicata troppo invasiva per l’ambiente o per l’equilibrio del territorio diviene il giardino di casa dei peggiori sfruttatori mondiali. Diciamo no a quest’ultimi ma diamo una possibilità a noi stessi. Ho persino letto un articolo di fantageopolitica nel quale la Tav viene descritta come strumento della Nato finalizzato ad allargare l’egemonia di quest’ultima nello spazio post sovietico. Siamo al delirio complottistico e dietrologico che cavalcando la protesta tenta di rinverdire il proprio gruppuscolo cespugliale e di prendersi gioco del buon senso, gomito a gomito col bieco moralismo social-straccione dei vari Di Pietro e Vendola, veri padri strumentalizzatori del disagio collettivo a sfondo caricaturale, cantori di narrazioni sociali gratuite ad uso pubblicitario, signorotti di partiti e di campagne politiche nelle quali si miete malcontento per ricavarne voti, consenso e rimborsi elettorali. Ha ragione Luca Telese che su Il Fatto Quotidiano ha definito i Notav Vietcong di un’altra epoca storica che urlano gli stessi slogan di quarant’anni fa, in assenza di contesto adeguato e senza aver imparato alcuna lezione dal passato. Costoro sono grotteschi, come dice il giornalista, ma nel senso più stretto del termine, ovvero vengono dalle grotte e dalle cripte immaginarie dove vorrebbero trascinare tutta la collettività con i loro smorti ideali. Tav-ernicoli alla riscossa, trionferà la fossa oppure, in caso di sconfitta, l’avvenire sarà del foro. In un buco o nell’altro questa misera diatriba da bucaioli dovrà pur finire.