TEMPISMO PERFETTO

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Tempismo perfetto: con la crisi di governo, dopo l’aumento dell’IVA dal 21 al 22% che scatterà martedì prossimo, si profila per gli italiani anche il pagamento, a metà dicembre, della seconda rata dell’Imu sulla prima casa. I giochi si riaprono, a questo punto, anche per la prima rata, dato che il decreto che la abrogava resta in vigore fino al 30 ottobre 2013, dopo di che decadrebbe. Oltre ai proprietari della prima casa ne farebbero le spese i possessori di terreni o fabbricati agricoli e le categorie assimilate ai possessori di abitazione principale: gli inquilini delle case popolari, gli assegnatari di cooperative indivise e altre. A questo punto saltano anche le misure previste per compensare i tagli effettuati alle imposte sugli immobili che, nonostante l’aumento dell’IVA, erano considerate dal ministro Saccomanni necessarie per correggere il deficit, il quale, adesso ridiventa superiore al 3,1% del Pil come calcolato prima della crisi. Una bella corsa ad ostacoli diventa , naturalmente, anche partorire una legge di stabilità efficace in queste condizioni, magari approvata con un governo dimissionario, e quindi con poche possibilità di risolvere il problema di approntare gli strumenti per il taglio del cuneo fiscale, per la riforma dell’Imu e della Tares, per la revisione delle aliquote IVA e per il finanziamento degli incentivi alle assunzioni dei giovani. Si fermano o rallentano, per fortuna, anche provvedimenti riguardanti l’inizio di una nuova fase di privatizzazioni e di svendita all’estero dei nostri asset strategici; ma gli ostacoli che sorgeranno per i pagamenti dei debiti della Pubblica Amministrazione, per il rifinanziamento della Cassa Integrazione in deroga e il rischio di un nuovo blocco dei rimborsi destinati a Comuni e Regioni incideranno non solo sulla crescita ma soprattutto sulla possibilità di tenuta sociale di questo paese allo sfascio. Qualcuno potrebbe dire che la minaccia di dimissioni di Saccomanni (riguardante l’aumento dell’IVA) preludeva alla decisione di Letta e Napolitano di non accettare mediazioni sul modo di far quadrare i conti del bilancio statale. Dall’altra parte sembra abbastanza difficile comprendere la strategia di Berlusconi visto che la sua decisione di far saltare il banco – dato che il tentativo, legittimo, di scaricare la colpa dell’aumento dell’IVA su Letta difficilmente troverà molto ascolto tra la gente – potrebbe annullare completamente il tentativo di modifica dell’Imu per il quale il Pdl si era tanto speso. La maggior parte dei commentatori, tra l’altro, non pare in grado di produrre analisi minimamente decenti; il prof. Guido Rossi, ad esempio, in un articolo del 29.09.2013 scrive:

<<Il momento storico è per il nostro Paese particolarmente delicato, poiché si accompagna, come sta succedendo anche altrove, con la sparizione delle classi medie, o più precisamente ancora della borghesia. Non sarà stonato ricordare quanto scrissero Marx ed Engels nel Manifesto del partito comunista, che «la borghesia ha giocato nella storia un ruolo altamente rivoluzionario». Se è pur vero che lo stesso fiorire del capitalismo va iscritto al gran merito della borghesia, è purtroppo altrettanto vero che il capitalismo nella sua ultima deriva finanziaria è riuscito a distruggere la stessa borghesia che lo aveva creato. È diventato così strumento fondamentale delle disuguaglianze, nemico del Welfare e accentratore, anche nella attuale crisi della terribile depressione economica, di sempre maggior ricchezza nelle mani di un sempre più scarso numero di persone, come vanno denunciando grandi economisti, da Joseph Stiglitz a Paul Krugman>>.

Il capitalismo borghese, come La Grassa e questo blog hanno spesso ripetuto, è quello che è stato analizzato da Marx e che faceva riferimento all’Europa Occidentale e in particolare all’Inghilterra dall’inizio della Prima Rivoluzione Industriale sino alla piena maturazione della Seconda (1). Il capitalismo americano (cioè Usa) ebbe, invece, origini affatto diverse e la componente “borghese” svolse un ruolo secondario nel suo sviluppo, caratterizzato da un notevole salto qualitativo dopo la guerra civile la quale consacrò, ferocemente, l’affermazione della componente più dinamica e avanzata, “unionista”, nei confronti del conservatorismo dei “confederati”. E’ esistita, comunque, una “cultura borghese” che ha caratterizzato buona parte dei paesi europei fino all’inizio del Novecento. Tradizionalmente, per la borghesia, la conquista definitiva del potere politico in Europa, dopo la grande Rivoluzione francese del 1789, viene situata attorno al 1830, col cedimento dei regimi di restaurazione definitivamente battuti nel 1848 e l’affermarsi del liberalismo ad un tempo ideologia, pratica politica e fonte di legittimazione giuridica per la “classe trionfante”. Il capitalismo borghese è però anche caratterizzato da rapporti sociali capitalistici peculiari, che sono quelli enucleati da Marx: prevalenza della proprietà sulla direzione nel processo di produzione, riduzione dell’unità produttiva a fabbrica perché il concetto di impresa e imprenditore non era ancora maturata nei fatti, predominio del principio dell’efficienza economica e del primato dell’estrazione del pluslavoro/plusvalore. Con la società (capitalistica) dei funzionari del capitale La Grassa ha, poi, introdotto l’idea di una formazione sociale caratterizzata dal primato della funzione manageriale (che può occasionalmente fondersi con la proprietà) e imprenditoriale (innovazioni, soprattutto di prodotto) che viene progressivamente trasformandosi in un sistema di rapporti (economici, politici e culturali) dove il principio del minimax diviene subordinato al conflitto per la supremazia, in cui si scontrano strategie di gruppi tesi ad esprimere il maggior grado di efficacia “bellica” (in senso lato). La nozione di ceto (o classe) medio (a), inoltre, deve essere distinta da quella di “borghesia”; questo concetto appartiene alle problematiche attuali, o comunque recenti, della società capitalistica e risulta essere profondamente legato a quello di Stato sociale o Stato del benessere, il cui declino è iniziato ben prima dell’attuale grande depressione. In esso si fondono funzioni e ruoli lavorativi e/o piccolo imprenditoriali di diversi generi e viene normalmente declinato secondo la semplificazione dualistica lavoro dipendente/lavoro autonomo. Riguardo, infine, allo spettro della finanza “diabolica” dobbiamo ripetere per l’ennesima volta che le iniziative di aggiustamento normativo che dovrebbero imbrigliare i “cattivi” istinti della finanza “irresponsabile” sono, non la causa ma semmai l’effetto di quella dinamica delle masse monetarie in gioco nei mercati dei titoli, delle monete, del credito e delle merci senza il quale il capitalismo “buono” cioè quello in grado di migliorare la condizione di vita di milioni di persone non potrebbe esistere.

(1)La seconda rivoluzione industriale è il processo di sviluppo industriale il cui inizio viene cronologicamente riportato al periodo compreso tra il congresso di Parigi (1856) e quello di Berlino (1878) e che giunge a pieno sviluppo nell’ultimo decennio del 1800. La seconda rivoluzione industriale, che sia pure in tempi diversi a seconda dei paesi, prende avvio attorno alla metà del secolo XIX, si sviluppa con le grandi innovazioni tecnologiche e scientifiche: l’introduzione dell’acciaio, l’utilizzo dell’elettricità, dei prodotti chimici e del petrolio ecc. (Da Wikipedia)

Mauro T. 29.09.2013