TRONTI E TONTI

TRO

Non siamo Tronti, ma nemmeno tonti. Se l’intellettuale, cioè colui che si definisce tale, crede di trattarci da cicisbei, per punizione gli daremo dell’intellettuale al quadrato, affinché gli sia chiaro che è lui a non capire un tubo, benché si arrischi a farci la lezioncina meritandosi una bella lezione.

Tronti va trotterellando da una categoria rivoluzionaria all’altra, da un soggetto intermodale della trasformazione sociale all’altro, così a cazzo di cane, sin da quando era convinto che le lotte operaie fossero il fattore decisivo per le innovazioni di processo. Manco per niente, perché è la competizione tra proprietari/dispositori dei mezzi di produzione ciò che spinge costantemente la divisione tecnica del lavoro, con conseguente moltiplicazione di ruoli e funzioni nel processo produttivo. Per Tronti all’inizio erano gli Operai contro il Capitale (Operai e Capitale, 1966. Una curiosità, il libro è stato inserito nel Dizionario delle opere della Letteratura Italiana Einaudi, a testimonianza del fatto che lo scritto in questione era più un romanzo più che un saggio) ora invece è il turno dei benzinai emiliani. Dalle bettole a Bettola. In un bel libro degli anni ’60, Scienza e realismo, Ludovico Geymonat spiega come la scienza sia nata dalla critica del mito e della magia. Una teoria scientifica che non prende atto dei suoi errori categoriali e previsionali è destinata a rientrare nell’universo dei dogmi e della mitologia. Ergo, Tronti è uno stregone o peggio ancora un prete che ci fa la predica da un pulpito spianato. E come tutti i prevosti che hanno una doppia morale costui non può che cadere in contraddizione. Sentite qua: “Politica non è camminare su e giù per un palco con un microfono in mano: Non è attraversare a nuoto lo stretto di Messina. Non è uscire vincente da un faccia a faccia per virtù demagogiche. Da che parte stai, e perché e come. E se non vieni da lontano, non andrai molto lontano. Questo ci hanno insegnato i nostri padri. E certo, anche «la golpe e il lione», ma non verso i tuoi, contro i tuoi avversari. Prima di iscriversi direttamente alla Presidenza del Consiglio, ce n’è strada da fare.” Ma poco prima aveva sentenziato: “Bersani davanti alla pompa di benzina ha offeso la sensibilità̀ degli opinionisti del Corriere. Ma come: ancora dalla parte dei benzinai, invece che da quella dei petrolieri? Ma allora siete sempre voi, sempre quelli, proprio inguaribili, dalla parte di chi lavora con le mani. Per fortuna, è arrivato chi vi rottama. Non so se si è capito, ma questa è l’aria che si respira… Ci vuole un atto simbolico che spezzi la spirale perversa. Bersani al primo turno. Non va concessa al rottamatore la tribuna del ballottaggio.” Ah è così, il microfono in mano no ma la pompa sì? La nuotata in mare no e ed il bagno di finta umiltà nel carburante si? Non c’è da fare tante differenze tra i due fenomeni, in entrambi i casi si ha a che fare con un distributore…di puttanate.

Esimio Professor Tronti, per risanare la sinistra non servono le primarie, ci vuole piuttosto un primario, ma di quelli bravi. Con siffatte premesse quel “balzo di tigre nel futuro” da lei auspicato prova soltanto che il paziente ha gravi problemi di sdoppiamento della personalità. Le gabbie di matti sono piene di gente che pensa di essere Napoleone. A questa aggiungeremo ora anche le persone che si credono un gattone, come certificato dall’intellettuale di cartone.

 

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Alla sinistra serve un balzo di tigre
di Mario Tronti

NON BASTA CHE VINCA BERSANI. È NECESSARIO CHE BERSANI VINCA AL PRIMO TURNO. Questo è l’impegno che, nel campo del centro-sinistra, dovrebbero prendere le persone dotate di buon senso politico. Ed è la conseguenza da trarre, visto il tono, e il senso, che ha preso il dibattito delle primarie nelle ultime settimane. Si è disvelato un progetto, si è presentata l’alternativa, vera: la rottamazione è l’azzeramento finale di una storia. Attenzione, non la storia della sinistra, ma la storia delle componenti popolari che hanno fatto civile, e moderno, e avanzato, il Paese.
Si vuole portare a termine il lavoro sporco che il ventennio berlusconiano, con i suoi fallimenti, non è riuscito a compiere. Nell’esperimento Pd, non con tutta la chiarezza che sarebbe stata necessaria, quelle componenti, quelle culture, quegli insediamenti sociali, non sono semplicemente sopravvissuti, sono cresciuti, fino a proporsi come possibile, probabile, soluzione di governo, dentro la crisi, e oltre la crisi.
Questo ha gettato nel panico l’establishment, bisogna dire meno quello direttamente economico, di solito più sobrio e attento, piuttosto quello politico-mediatico, più superficiale e volgarotto, specchio però sempre di interessi ben definiti. Per questi, di bocca buona, tutto va bene, se serve allo scopo: ben venga la corruzione di alcuni per dire male di tutti, ben vengano i privilegi di casta per demonizzare la professione politica, ben vengano le pulsioni populiste per indebolire le istituzioni, e soprattutto ben vengano i rottamatori se servono per liberarsi dei competitori. Missione quasi compiuta, esultano in questi giorni.
Si è sbagliato a non reagire in tempo, a lasciar passare questo gioco al massacro, senza alzare la voce, per avvertire che, alimentando quest’aria cupa di vendetta contro quella storia, si recava un danno incalcolabile allo sviluppo della coscienza civile del Paese, si mettevano in crisi, non le stanze del Palazzo, ma la democrazia dei partirti. Badate, quella storia viene aggredita non per le battaglie che ha perso, ma per quelle che ha vinto, conquistando per i lavoratori salari decenti, sicurezze sociali, diritti intoccabili. È questo che si vuole rottamare, in continuità tra governi di centro-destra e governi di centro-tecnica.
Bersani davanti alla pompa di benzina ha offeso la sensibilità degli opinionisti del Corriere. Ma come: ancora dalla parte dei benzinai, invece che da quella dei petrolieri? Ma allora siete sempre voi, sempre quelli, proprio inguaribili, dalla parte di chi lavora con le mani. Per fortuna, è arrivato chi vi rottama. Non so se si è capito, ma questa è l’aria che si respira. La parola brutta rottamazione non è sufficiente sostituirla con la parola bella rinnovamento. Questi non vogliono rinnovare un bel niente. Trent’anni di liberismo selvaggio, in cui si sono presi tutte le soddisfazioni possibili contro il mondo del lavoro e si è permesso il loro laissez faire non gli bastano. Ancora, ancora, dicono come i bambini quando gli fai lo scherzetto. Non contenti di comandare su tutto, vogliono comandare in casa nostra: togliete quello, mettete quest’altro. È questo che sta accadendo. Un partito ha il dovere, collegiale, di difendere il suo gruppo dirigente, sotto attacco, altrimenti si espone a tutte le scorribamde possibili. Il ricambio lo decidono i militanti, i quadri, gli iscritti, non i giornali o le televisioni, non si decide sui blog e con i twitter.
Non siamo di fronte al vecchio nuovismo. Stavolta è diverso. I novatori anni Novanta stavano legittimamente all’interno del nostro campo. Quelli di oggi parlano da fuori. Concediamo la buona fede. Forse per scarsa accortezza politica, forse per eccessiva autostima, o forse per quella spregiudicata intraprendenza che hanno imparato dai codici delle leggi di mercato, non si accorgono di star recitando una parte loro assegnata. Danno la loro voce al coro di questa tragedia moderna contemporanea, che ripete ogni giorno: fine della politica, fine della storia, fine dei grandi soggetti collettivi, che con la politica volevano cambiare il corso della storia. Non è la proposta di un rinnovamento, è la miseria di una reazione rancorosa, ripeto, vendicativa. Va resa chiara la posta in gioco al nostro popolo, organizzando una controffensiva.
Attraversando la piazza della Cgil di S. Giovanni, sabato scorso, mi dicevo: certo, per vincere si deve allargare il campo ai vicini, agli amici, agli alleati, non si è così ingenui da pensare di farcela da soli, ma se non si parte da qui, da queste persone, da queste storie, da queste vite, non si è niente, niente. Si vada a chiedere consiglio a queste vittime viventi del lavoro, invece che ai maghi rampanti della finanza.
Si imparerebbe che cos’è politica. Politica non è camminare su e giù per un palco con un microfono in mano: Non è attraversare a nuoto lo stretto di Messina. Non è uscire vincente da un faccia a faccia per virtù demagogiche. Da che parte stai, e perché e come. E se non vieni da lontano, non andrai molto lontano. Questo ci hanno insegnato i nostri padri. E certo, anche «la golpe e il lione», ma non verso i tuoi, contro i tuoi avversari. Prima di iscriversi direttamente alla Presidenza del Consiglio, ce n’è strada da fare.
Allora. Ci vuole un atto simbolico che spezzi la spirale perversa. Bersani al primo turno. Non va concessa al rottamatore la tribuna del ballottaggio. Anche se battuto, marcherebbe, per il dopo, una presenza che il suo messaggio non merita. Occorre concentrare tutto il consenso disponibile, da subito. Poi, c’è un percorso ulteriore da impiantare. Ma questo passaggio assumerebbe il significato di un atto fondativo. È importante il governo, ma altrettanto importante, e per lo stesso governo, è che emerga e cresca una grande forza di popolo, che prenda in mano le sorti di questo devastato Paese, con dignità e responsabilità, per portarlo nell’Europa di domani, non più quella dei mercati, ma quella del lavoro. Capita, è capitato, che una forza che si vuole distruggere, si rinnova veramente e fa il balzo di tigre nel futuro.