Tu chiamale, se vuooiii……elezioni!!,
Mancano ancora circa otto mesi alle elezioni politiche e già quell’appuntamento si sta rivelando un potente magnete.
La forza inesorabile e irresistibile di quella calamita sta richiamando l’argenteria di casa Italia, quella da mettere con compiacenza in mostra ma da utilizzare solo nelle grandi occasioni; il vasellame, ma anche gli oggetti metallici conservati e dimenticati negli angoli più nascosti ed improbabili, quindi pressoché, spesso involontariamente, inutili; sino a smuovere i rottami più improbabili, da tempo immemore in evidente crisi esistenziale.
L’evidenza ingannevole della realtà spingerebbe a intravedere un’anima in quegli oggetti, piuttosto che riconoscerli schiavi delle aride e impersonali leggi della fisica; la deterrenza degli ostacoli, dell’attrito, del peso, della distanza del percorso sarebbero scambiati per naturale e iniziale resistenza al cedimento.
Quell’evento, in realtà, possiede una forza potente ma cieca; la natura del raggruppamento provocato è determinato dalla qualità dell’ambiente circostante su cui essa si esercita.
Una casa ordinata, con ante, finestre e porte ben fissate consente una selezione dei componenti l’insieme; una abitazione caotica, con gli infissi slabbrati e l’intelaiatura inchiavardata malamente provocherebbe la fuga incontrollata e indistinta di tutto, con il rischio che anche i chiodi sfuggano agli incastri per cumularsi in un groviglio inestricabile e che alla fine la dimora vacilli attorno ad esso.
Il rischio maggiore è che sarà sempre più difficile discernere da quel groviglio in un ambiente del tutto instabile.
Non si può certo dire che Casa Italia manchi di sinistri cigolii che fungono da accompagnamento ai disordinati tintinnii metallici.
Fuor di metafora, il pallino è apparentemente in mano alle due principali forze politiche: il PD e il PDL.
Entrambi hanno l’interesse a tardare il più possibile il varo della riforma elettorale per concedere agli ultimi arrivati il minor tempo possibile per strutturarsi in base alle regole elettorali e per dettare le condizioni di alleanza e i confini dell’opposizione; hanno, altresì, la possibilità di deciderne le modalità di svolgimento, una volta che la calamita abbia costretto la gran parte degli intrusi a emergere, spingendoli in qualche modo a sgomitare tra loro prima ancora di conoscere le possibilità di premio in palio; possono consentire, inoltre, nel frattempo la massima libertà di azione possibile all’attuale Governo Monti, senza gli intralci e le contraddizioni di una lunga campagna elettorale.
Tra i due, il primo, il PD, è quello in apparenza avvantaggiato, più dotato di un ampio respiro e di legami con le analoghe forze in Europa; quello che, quindi, ritiene di poter puntare alla guida del governo. Il secondo, il PDL,apparentemente in una fase di mero contenimento dei danni, tenta di raggiungere un risultato che possa garantire l’integrità del partito con la resurrezione in scena del proprio leader e con il rischio e timore concreto di un sovvertimento dei pronostici infausti, specie se supportato dal sorgere di liste civiche; Tremonti e Montezemolo sono infatti lì che scalpitano.
Già dalla costruzione del nemico e dal modo con cui si intende affrontarlo, si può intuire la direzione che prenderà il dibattito e lo spazio che ciascuno vorrà occupare.
Il confezionamento è praticamente pronto, come anche le etichette aberranti da affibbiare: nazionalisti antieuropeisti e populisti, ben melassati in un unico accogliente calderone. Se i primi, però, hanno ancora una fisionomia indefinita, predisposta a un generico esorcismo, i secondi, “i populisti dell’antipolitica”, hanno assunto sembianze meglio definite: il Movimento5Stelle (M5S).
L’atteggiamento nei suoi confronti rappresenta una vera e propria cartina di tornasole. I costruttori di opinione del PDL tendono ad una critica e a un atteggiamento distruttivi di chi vede in esso non tanto un competitore nello stesso bacino di pesca, quanto di un soggetto che possa rompere l’esclusiva di determinati argomenti, di proprio appannaggio. Il M5S rappresenta il coagulo politico e l’evoluzione dei movimenti civici, comunitari, girotondini, legalitari, ambientalisti in grado di pescare più dal bacino della sinistra e forse di parte della Lega ma con, nel proprio repertorio, alcune tematiche sensibili (euro, tassazione, anticasta, poteri forti) proprie del versante opposto e complementare del sistema politico.
L’atteggiamento del PD verso il M5S è tipico, invece, del “politicamente corretto”, teso a fronteggiare nel tempo l’avversario senza tentarne la distruzione; una campagna elettorale, del resto, tutta improntata sull’europeismo monocorde ha bisogno di un alter ego alternativo, ma poco strutturato sul piano delle proposte e delle strategie contrapposte in modo da poter giocare sulle paure e sul buon senso delle popolazioni per proseguire nelle politiche in corso. L’esito delle recenti elezioni in Olanda e in Grecia devono far riflettere attentamente in proposito.
Le caratteristiche del M5S, del resto, possono, nel caso più estremo, contribuire tutt’al più a destrutturare caoticamente questo sistema politico senza creare alternative valide; più probabile che serva ad alimentare i progetti di fronte democratico ed europeista, sulla falsa riga di quelli antifascisti in auge sino a pochi lustri fa e, quindi, di governi e coalizioni più o meno emergenziali; un indizio importante sarà l’eventuale pubblicità, compresa quella negativa, fornita dai mass media così come avvenuto alle elezioni amministrative scorse.
Tutto questo a prescindere dalle intenzioni personali del primo attore in scena, Monti il quale pare molto poco propenso a sobbarcarsi gli oneri di una ulteriore gestione quinquennale dell’Esecutivo, funzione esercitata con qualche mal destrezza di troppo, piuttosto che di un incarico di indirizzo, in sostituzione dell’attuale sabaudo, più a diretto contatto con gli ispiratori e meno implicato nella gestione corrente.
La melina dei due partiti sulla legge elettorale genera, comunque, controindicazioni, incognite e lacerazioni pesanti in seno ad essi, specie nel PD. Sotto il vessillo europeista, del tutto in linea con la concezione euro-atlantica vincente nel paese dagli anni ’50, sta maturando una contraddizione acuta tra una componente più liberale propugnatrice della prosecuzione pedissequa del programma e, probabilmente, della coalizione attuali, con la semplice variazione di alcuni nomi ed una, attualmente maggioritaria, marcatamente keynesiana ma velleitaria perché essenzialmente economicista, redistributiva e interventista nelle sole strutture di mercato; destinata, quindi, a ridimensionarsi nettamente rispetto ai proclami e a favorire la subordinazione ulteriore dei “progressisti democratici” e del paese da loro gestito alle logiche geopolitiche ed economiche dominanti. Non è un caso che proprio questa componente più riformista viva di una commovente e dichiarata infatuazione, refrattaria ad ogni evidenza sul campo, delle attuali politiche obamiane e delle tesi di Clinton, quelle stesse le quali, sotto altre spoglie, barattarono, negli anni ’90, il precario galleggiamento dei ceti medi con strategie e politiche finanziarie ed economiche avventuriste, di tipo egemonico nel paese dominante e di asservimento dei paesi “amici”.
Più articolato e, nel medio periodo, più fruttuoso appare il tatticismo del PDL il quale, in qualche maniera, tenta di far convivere nella propria area le componenti europeiste e quelle più sensibili alle critiche sull’euro, sul sistema di tassazione e di gestione della spesa pubblica. Una posizione che gli potrebbe consentire di gestire in futuro un ruolo tanto di compartecipazione al governo, quanto di opposizione addomesticata, in base agli esiti elettorali. Non è un caso che i propugnatori “più convinti” delle tesi “sovraniste” di questa area, come Tremonti, siano strettamente e dichiaratamente legati all’establishment americano e giocheranno la carta “nazionalista” in funzione delle mere rivalità interne all’Europa. Una politica non nuova tra i gruppi dirigenti italiani e ben presente tra gli antieuropeisti negli anni ’50 come pure tra buona parte degli europeisti tiepidi dei decenni successivi.
Sia i “keynesiani” che i “sovranisti” pelosi non hanno di meglio che additare nella finanza, in particolare nelle sue degenerazioni, il nemico da combattere e da ammansire. Una assonanza che dovrebbe far riflettere “gli indignati”, gli “occupy”… di qualcosa e gli antiglobalisti del ‘99% così impegnati a combattere contro i mulini a vento.
In realtà, gli attori presenti nel gioco italico in grado di influenzare e determinare gli eventi, anche inconsapevolmente e per inerzia, sono ben più numerosi e determinanti dei due soggetti citati impegnati sul proscenio politico; gli interventi della magistratura nei vari gangli delle amministrazioni e dei centri di potere, le campagne di stampa riesumative degli anni critici di questo paese, come i primi anni ’90, i giochi complessi nel sistema finanziario ed economico sono solo i segnali più evidenti degli smottamenti sotterranei in corso entro cui trovano ampio spazio le intromissioni e i legami esterni al paese. Tanto è il clamore con cui partono queste campagne destabilizzanti, altrettanto è il silenzio su gran parte degli esiti giudiziari di tanto ardore; le recenti vicende di Finmeccanica sono l’ennesima conferma dell’andazzo. Il dilettantismo di tanti personaggi, compresi buona parte dei tecnici in auge, così propensi a legarsi anche a figure improbabili pur di sopravvivere, non fa che accentuare l’improvvisazione ed il caos.
L’aspirazione, in pratica, è quello di un gioco ordinato e addomesticato tra maggioranza e opposizione; la foga con cui i fedeli in ultima istanza cercano di coprire tutte le posizioni è indice di questa aspirazione.
I confini del campo, però, sono mal delineati e variabili, le risorse scarseggiano e le faglie sotterranee in deciso movimento; tutti fattori che alimentano e rischiano di accentuare la frammentazione; il presupposto per soluzioni di emergenza o ecumeniche, ma con gravi rischi collaterali.
Più il groviglio è caotico, più è difficile selezionare le componenti e garantire la tenuta dell’insieme; in Italia, purtroppo, sono già presenti, in nuce, le forze che potrebbero spingere allo scompaginamento; l’attuale loro stato dormiente, accompagnato da qualche figura barbina, non comporta necessariamente la loro estinzione.
In Europa, tra l’altro, sotto il vessillo ipocrita dell’europeismo e della tutela delle minoranze e dei regionalismi, le abbiamo viste attivamente all’opera in Jugoslavia ad alimentare le rivalità delle fazioni in lotta sulla base di interessi nazionali di un pugno di stati europei e degli Stati Uniti; ancora li vediamo menar vanto della loro missione.
Almeno sino a quando non nascerà una terza forza della quale stiamo cercando di definire le caratteristiche essenziali.
Una strada lunga e impervia della quale non si riesce ad intravedere ancora il punto di arrivo.
L’Italia non è Macondo, si trova per fortuna e suo malgrado nel bel mezzo del Mediterraneo e saldata al Centro-Europa; non le sarà mai consentito di vivere “cent’anni di solitudine”.
Checché ne dicano gli europeisti remissivi e, in cuor loro codardi, ben presenti soprattutto nella sinistra i quali confidano nella presunta perifericità e marginalità dell’Europa (sto citando pressoché testualmente) per cullare le loro illusioni di Unione Politica alimentate dalla propria decadenza e dalla benevolenza e assenza disinteressata delle potenze circostanti; saranno i più pronti, nell’eventualità, ad invocare “l’arrivo dei nostri”, con sprezzo del pericolo altrui e disprezzo del proprio popolo. Li abbiamo conosciuti negli anni ’50, spesso con cognomi e origini europei, ma con passaporto americano; oggi proseguono l’impegno i loro nipotini, spesso dallo stesso cognome, ai quali si sono aggiunti i “folgorati sulla via di Damasco”, un tempo abbagliati da altre “magnifiche sorti e progressive” e i loro rispettivi discendenti.
Come uniche attenuanti alle loro scelte vanno riconosciute le diversità di condizioni offerte ai rispettivi popoli.