TURCHIA-RUSSIA. COSA CAMBIA? FORSE NON MOLTO
Ad un atto di guerra si risponde solitamente con un atto di guerra (almeno in determinati contesti), eppure l’establishment russo, impegnato in uno scenario di conflitto caotico come quello siriano, ha reagito con insospettabile moderazione all’abbattimento dei suoi jet da parte dei turchi.
Putin ha parlato di pugnalata alla schiena ma trattandosi della Turchia, un paese che in modo risaputo finanzia i ribelli islamisti contro i quali i russi stanno ingaggiando numerose battaglie a protezione del regime di Assad (e delle sue basi che si affacciano sul Mediterraneo), c’era, quanto meno, da aspettarselo.
Descrivere l’attacco turco come un fendente alle spalle è improprio, perché solo gli amici possono coglierti così di sorpresa. Da un nemico o da un interlocutore ambiguo puoi invece aspettarti di tutto. Anche se esistono accordi tra le varie parti in causa, che affermano di voler combattere contro il califfato, le prospettive di partenza e gli obiettivi finali degli attori sono talmente distanti che ciascuno prova a spegnere il protagonismo dell’altro.
E’ vero che Ankara ha in ballo molti affari con Mosca, soprattutto nel settore energetico (il 60% del suo approvvigionamento energetico dipende dalla Russia), ma quando si accendono dispute territoriali o contese sulle reciproche sfere d’influenza l’economia passa in secondo piano. Gli accordi commerciali possono saldare le alleanze geopolitiche ma non ne sono il perno essenziale.
Anzi, anche in una situazione di scontro aperto tra due o più potenze i legami economici possono proseguire senza spezzarsi, nonostante “episodi” come quello avvenuto lungo la frontiera siriana. Pensate alle industrie tedesche che facevano affari con le omologhe statunitensi durante il II conflitto mondiale.
I turchi, che sono stati (e lo sono ancora) sponsor di gruppi di jihadisti presenti in Siria, hanno deciso di combattere contro il Califfato con la coalizione occidentale, ma a modo loro. Ankara, dopo aver compreso di non poter spingersi fino a Damasco, data la crescente presenza russa e iraniana sul terreno, ha ridimensionato i suoi scopi ma da questi non ha intenzione di recedere di un solo millimetro. I turchi puntano a creare una zona cuscinetto dove favorire la popolazione autoctona turcomanna (turcomanni erano infatti i miliziani che hanno sparato ai due piloti russi eiettatisi dai Sukoj in caduta). Gli Usa appoggiano la Turchia in questa iniziativa, non a caso Obama, in riferimento all’episodio, si è schierato immediatamente con il diritto di Ankara di proteggere i suoi confini (che non sono suoi confini, essendo stati sottratti ad un paese vicino). Washington, inoltre, sostiene il progetto della zona cuscinetto sul confine turco-siriano e rafforza la sua base aerea di Adana che viene attrezzata per i futuri scontri in tutta l’area. L’incidente di ieri si incardina in queste dinamiche contrastanti. Ora Mosca potrebbe attivare una controffensiva piuttosto speculare sul piano politico-militare. Potrebbe rispondere ad Ankara sostenendo maggiormente i guerriglieri curdi che si sono già detti disponibili ad aiutare il Cremlino a vendicarsi dell’affronto subito, in cambio di un sostegno più forte alla causa del loro indipendentismo. Un esperto militare russo ha indicato questa direzione come la migliore per controbattere colpo su colpo alla strategia di penetrazione in Siria della Nato.