TUTTI AI POSTI DI COMBATTIMENTO: TORNATE SUI BANCHI! Di G.P.

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[Siccome sono stufo dei rompiballe anonimi, da oggi  in poi verranno pubblicati solo i commenti che riportano in calce la firma]

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C’è qualcosa che non va in questa “rivolta” studentesca che dovrebbe fare riflettere i nostri giovani barricaderos. Questi ragazzi, con troppo slancio emotivo e poca capacità critica, stanno confondendo una operazione di bilancio statale, con tagli alla scuola per mancanza di risorse (discutibili ma non irrazionali), con una riforma che stravolgerebbe assetti consolidati, di cui tutto si può dire fuorché siano ottimali. Ma non solo. In verità non è in essere alcuna riforma in quanto non si può definire tale un semplice ritorno al passato, come nel caso della proposta del maestro unico.

Non diamo adito ai soliti proclami della sinistra che fomenta strumentali campagne da ultimo stadio a difesa della democrazia ogni qual volta la destra va al governo. Qui non è in questione la libertà dell’istituzione scolastica, né la messa a repentaglio del patrimonio culturale del Paese, il quale sarebbe perennemente sottoposto a saccheggio da parte dell’orda mongola dei berluscones, portatrice di una sottocultura filo-imprenditorialista. Se c’è crisi culturale, questa è trasversale e riguarda soprattutto la sottocultura sinistroide.

Ed è anche il caso di non tirare nuovamente fuori vecchie questioni sulle quali si sono costruite menzogne sesquipedali, dal ’68 sino ai nostri giorni. All’epoca si diceva che la scuola era la “staffa del padrone” (che bella scoperta!) e con questo imprinting, piuttosto ambiguo, si voleva dare l’avvio ad una rivoluzione socialista la cui scintilla sarebbe scoppiata, per l’ appunto, dall’istituzione scolastica per poi dilagare nelle fabbriche. L’alleanza operai-studenti fu però un vero fallimento e quando quest’ultimi s’accorsero che con i primi si faceva poca fortuna, poiché troppo rozzi e inadeguati al raggiungimento del loro vero obiettivo, quello della scalata alla piramide sociale, pensarono bene di mollarli al loro irrevocabile destino di lavoratori produttivi (questa iattura della quale parlava Marx), rivolgendosi nuovamente ai loro padri ed affini per una buona parola e l’entrata in società.  

Ciò che fu portato a compimento nel ’68 fu il sovvertimento valoriale di una società ancora contadina che, con tutto il suo armamentario di arcaiche convinzioni, mal si adattava alla “disinvoltura” necessaria nella nuova fase dei consumi di massa e di un vorticoso sviluppo industriale. Una rivoluzione culturale all’interno di uno spazio sociale già modificatosi che richiedeva una corrispondente sovrastruttura morale ed etica, molto più adeguata ai tempi. Tradotto: la vera rivoluzione la fece il sistema per l’estensione dei rapporti sociali capitalistici e per la sua incipiente accumulazione!

Ma le cose si spinsero troppo oltre e dopo le contestazioni studentesche del ’68 la scuola è divenuta quel “bordello democratico” del quale stiamo ancora pagando le conseguenze in termini di inefficienze e di spese mal gestite.

I vecchi contestatori hanno, nel frattempo, fatto carriera conservando la stessa mentalità furbina con la quale si muovono ancora mirabilmente sulle piazze, portandosi al guinzaglio la nuova generazione che non ne vuole proprio sapere di camminare sulle proprie gambe.

I maneggioni assiepati nei posti che contano, fattisi classe dirigente, di tanto in tanto emettono richiami di appartenenza invocando l’adunata di tutto il ceto semicolto (del quale gli insegnanti costituiscono la punta avanzata) sensibile alla belle epoque del “tutto e subito”. Questi e quelli hanno fatto un pezzo di strada assieme ed hanno difeso le piazzeforti sessantottine accatastando feticci culturalistici con i quali continuano ad ammorbare i giovani per meglio raggirarli. Questi snob “ex-cathedra”, forti dell’egemonia culturale, impartiscono lezioni di democrazia al mondo intero, indignandosi per la longa manus berlusconiana nelle tasche dei fondi scolastici (perchè magari preferirebbero gestirli in proprio), dopo aver lasciato che Prodi & C. facessero e disfacessero a proprio piacimento nel medesimo senso.

La scuola continua ad essere la staffa del padrone, proprio come prima del ’68, ma i reggitori non sono più i Malipiero ingessati della canzone di Gaber, bensì gli strilloni, un po’ smunti, che si sgolavano con il ritornello “i borghesi son tutti dei porci”, prima di prenderne, come camaleonti arrivati in cima al podio, le stesse movenze pantagrueliche.

Se vogliamo parlare in termini assoluti non possiamo non rilevare che “la cultura che si impartisce nelle scuole non è mai altro che una cultura di secondo grado, una cultura che nelle intenzioni di un numero talvolta ristretto, talvolta più largo d’individui di questa società, e su degli oggetti privilegiati (le belle lettere, le arti, la logica, la filosofia, ecc.), “coltiva” l’arte di rapportarsi a questi oggetti: come mezzo pratico per inculcare in questi individui norme ben definite di condotta pratica nei riguardi delle istituzioni, dei “valori”, degli eventi di questa società. La cultura è l’ideologia d’elite e/o  di massa di una società data. Non è l’ideologia reale delle masse (poiché in funzione delle opposizioni di classe, vi sono numerose tendenze all’interno della cultura): ma l’ideologia  che la classe dominante tenta d’inculcare, direttamente o indirettamente attraverso l’insegnamento o altri mezzi (cultura per le elite, cultura per le masse popolari) alle masse che essa domina” (Althusser). Tutto ciò per ribadire come i pesci nell’acqua “non vedono l’acqua nella quale nuotano”. Così la cultura di cui sono imbevuti questi professori illuminati di sinistra, soprattutto quando cercano d’imporsi per una diversità che è solo elitismo spocchioso, veicola in ogni caso l’ideologia dominante, la quale al suo interno è strutturata per tendenze che fanno la soddisfazione di clienti differenziati.

Per questo ogni battaglia culturale deve essere dirottata sul terreno politico dove le forze in campo sono costrette a prendere posizioni più nette. Ed è qui che scopriamo quanto sono cialtroni i semicolti di sinistra che fingono di non vedere il disfattismo della parte alla quale appartengono.

 

Dopo questa breve digressione torniamo al tema che ci interessa. Cosa sta facendo il governo Berlusconi? Esso, sulla base delle indicazioni del Ministro dell’Economia Tremonti, il quale nella finanziaria di luglio ha approntato una serie di ricette per fare quadrare i conti del Sistema-Italia – fermo al palo a causa delle troppe inefficienze – sta tentando di recuperare risorse che altrimenti non saprebbe dove andare a prendere.

Mi dispiace dirlo, ma se la Nazione non è in grado di risollevarsi e di crescere produttivamente l’unica cosa che si può fare è risparmiare sforbiciando un po’ di qua, un po’ di là. Certo si può accusare il governo di non essere stato in grado di rilanciare lo sviluppo, di non aver approntato programmi di irrobustimento o di ripristino di un sistema economico ormai in piena decadenza, di essere stato ancora troppo tenero con i poteri forti (nonostante lo stesso Tremonti abbia tentato di porre un argine alla loro famelicità con l’introduzione della Robin Hood tax, già riassorbita dai previsti aiuti di Stato alle banche implicate nella debacle dei prodotti derivati) che hanno ridotto l’Italia con le pezze al culo, ma, del resto, esso è in buona compagnia e si spartisce equamente tutte queste responsabilità con gli altri governi che si sono alternati alla guida del paese da vent’anni a questa parte.

Le commistioni a distanza, in termini di indirizzi di politica economica, tra destra e sinistra sono così evidenti (anzi i sinistri hanno fatto anche di peggio) che ci si aspettava dagli studenti un’azione meno succube del solito tran tran antiberlusconiano, figlio di un’ideologia ingiallita che nemmeno i canti partigiani (che non c’entrano un cazzo!) possono ravvivare. Si va in passeggiata, cari studenti, gomito a gomito con i veri affossatori della nazione i quali, niente meno, si ritrovano in prima fila nei cortei con rinnovata verginità politica. Aveva torto Brecht quando diceva che il nemico marcia sempre alla testa degli sfruttati?

Da questo punto di vista ha ragione anche Paolo Barnard quando denuncia che nella finanziaria dell’Ulivo, quella del 2006, i tagli alla scuola erano di molto superiori agli attuali, eppure nessuno trovò motivazioni sufficienti per organizzare manifestazioni e sit in di contestazione. Ed ha ancora ragione Barnard quando sostiene che la vera protesta andrebbe fatta (non sono le sue parole ma il significato non tradisce) mettendo a ferro e fuoco le sedi del Pd, quelle di Rifondazione e di tutto il resto della sinistra (Sindacati compresi), per estirpare, una volta per tutte, queste metastasi partitico-confederali dal corpo del nostro pauvre pays sempre più pays pauvre.

La coperta è divenuta così corta che non si può tendere di più. Ad ogni movimento si lascia fuori qualcosa e la soluzione più comoda (ben incarnata da tutte le forze politiche, senza distinzioni di sorta) è sempre quella dei tagli ai servizi pubblici essenziali.

Forse l’austerità imposta agli italiani sarebbe più accettabile se almeno questi stessi servizi, seppur ridimensionati, funzionassero meglio e non venissero ridotti a camere di compensazione degli appetiti della politica. La classe dirigente italiana, da destra a sinistra, è colpevole sia per il fatto di limitarsi ad amministrare l’esistente (il che, in una situazione di crisi tremenda come quella in corso, equivale alla resa incondizionata su tutti i fronti) sia di approfondire lo sfascio italico con il suo voler arraffare quello che resta in cassa.  Se il primo atteggiamento di passività sarebbe già da considerarsi un reato grave per il quale la pubblica fustigazione sarebbe il minimo della pena, per il secondo dovrebbero cominciare a rotolare le teste giù dai patiboli, e non in senso metaforico.

Detto ciò, caro studenti, la vostra discesa in piazza al fianco di questa gente è un vero e proprio controsenso. E quegli stessi paladini che dicono di voler difendere con i denti la scuola pubblica mandano i propri rampolli nelle migliori scuole private dove si impara a parlare con la “r” arrotondata e l’accento british. A questi tentativi di raggiro si deve rispondere con il giusto disprezzo, facendo sì volare le cattedre ma nell’unica direzione possibile…

I figli dei vip di sinistra? Tutti alle scuole private


di Antonio Signorini

In piazza istigano gli studenti a battersi per la pubblica, ma in famiglia guai a mescolare i loro ragazzi con gli altri. Rutelli, Finocchiaro, Santoro hanno preferito istituti d’élite. Dove si studia e non si occupa. Francesco, professionista delle occupazioni. "Noi in 9mila ma a occupare sono in trenta"

Roma Tanta preoccupazione per la scuola pubblica si può spiegare solo come un atto estremo di altruismo, visto che quando si tratta di decidere il destino dei figli un bel pezzo di centrosinistra si orienta direttamente verso le scuole private. E magari straniere. Sorprende, insomma, tanta acrimonia nei confronti del ministro Gelmini, visto che non sono pochi gli esponenti della sinistra che di contatti diretti con la riforma della scuola, non ne avranno mai. Lo ha candidamente ammesso Michele Santoro nel corso dell’ultima puntata di AnnoZero, tutta dedicata alla scuola e alla nuova ondata di contestazioni studentesche.

Voleva dimostrare al leghista Roberto Cota quanto fosse sbagliata l’idea di «classi ponte» per insegnare la lingua straniera ai figli di immigrati. In sintesi: l’integrazione è facilissima anche quando un bambino si trova in un’aula dove tutti parlano una lingua che non sa. Per spiegarlo ha riportato, con comprensibile orgoglio paterno, l’esempio della figlia che frequenta una scuola straniera «e già parla un’altra lingua ». Applausi. Non si sa se dedicati alla bravura della bimba poliglotta o all’accostamento tra chi frequenta il costoso istituto francese «Chateaubriand», con l’obiettivo di diventare bilingue ed evitare le storiche carenze della scuola italiana, e i figli degli immigrati alle prese con la durissima battaglia per l’integrazione.

Ospite della trasmissione, il segretario Ds Walter Veltroni. Dei suoi investimenti immobiliari e formativi a New York a favore della figlia si sa già tutto. D’altro canto il Pci non c’è più. E con i comunisti è scomparso anche il divieto non scritto che vigeva per i dirigenti:mai iscrivere i figli alle private. Lo conferma il caso diGiovanna Melandri, la cui prole è stata affidata all’istituto privato «San Giuseppe». Si dice che l’esponente Pd abbia anche cercato di fare entrare la figlia in una scuola inglese. La stessa – la «Rome International School» – scelta dall’ex parlamentare di Rifondazione comunista Franco Russo, ansioso di dare un’educazione un po’ amerikana ai discendenti.

Niente pubbliche o comunali anche per i nipoti di Fausto Bertinotti, iscritti a suo tempo ad un prestigioso asilo romano dal metodo di insegnamento rivoluzionario. Ma a pagamento. E in effetti non è sempre la caccia alla lingua straniera la molla che fa scappare i genitori democratici dalle pubbliche. È il caso dell’ex ministro dell’Istruzione Giuseppe Fioroni, contestato dai giovani del centrodestra per aver mandato il figlio ad un Liceo scientifico paritario di Viterbo, proprio negli anni in cui era in carica nel dicastero di viale Trastevere.

La seduzione del privato-straniero ha fatto breccia anche tra i più intransigenti girotondini. È il caso di Nanni Moretti, il cui figlio frequenta la scuola americana di Roma, la «Ambritt». Stessa scelta per il discendente di un vero e proprio outsider del Partito democratico: Mario Adinolfi. Proprio in questi giorni l’ex esponente del Ppi, per sua stessa ammissione allergico alle occupazioni, ha lodato la nuova ondata di studenti contestatori vedendoci l’embrione di un «conflittogiovanile di massa contro queste destre ». Chissà se anche dalle parti della scuola americana di Roma farà breccia l’atteso nuovo Sessantotto.

Scuola privata catanese anche per le figlie diAnna Finocchiaro, presidente dei senatori Pd. Al club del «no alle statali» si è iscritto anche Francesco Rutelli, Anche lui negli ultimi giorni si è espresso, non tanto a favore della protesta studentesca, quanto contro la linea «dura» di Berlusconi. Sicuramente nessuna delle sue due figlie dovrà subire interruzioni delle lezioni: una è iscritta al liceo privato «Kennedy» e l’altra alla prestigiosissima «San Giuseppe De Merode», scuola convista su Piazza di Spagna. Da quelle parti di okkupazioni, e cortei, se ne vedono pochi.