TUTTO IL RESTO E' NOIA (di G. Gabellini)

Ciò che si evince dal disordinato e apocalittico "dibattito" contemporaneo, che vede una massa informe di uomini politici e comuni cittadini gridare allo scandalo di fronte alla recente sceneggiata organizzata per l'arrivo di Gheddafi in Italia, è la totale, dilagante mancanza di discernimento, la disarmante incapacità di separare le questioni cruciali da quelle contingenti, molto spesso del tutto prive di importanza.
Questa deriva è dimostrata non tanto dai continui richiami di stampo evidentemente moralista, appannaggio esclusivo di questo avariato "centro – sinistra" e dell'editoria ad esso connessa, quanto dall'incredibile, generale attenzione che viene riservata ai dettagli più ridicoli e insignificanti, tralasciando di valutare il nocciolo della questione. Questo tipo di atteggiamento che rimane saldamente ancorato alla superficie delle questioni è probabilmente il più avvelenato dei frutti nato dalla mastodontica opera di ammaestramento di massa propugnata dai "sinistri" e dalla loro stampa di riferimento. Il collante di questa "Armata Brancaleone" è un antiberlusconismo viscerale, che trasferisce il campo di battaglia dalla politica alla società e alla giustizia, e al letto. Il bello è che la teppaglia politicamente corretta italiana che aveva trasfigurato la discussione politica in un caotico battibecco scandalistico, scambiando il parlamento per un salone da parrucchiera, ha dimostrato ampiamente di condividere con Berlusconi tanto la vocazione truffaldina e arraffona quanto la mania di persecuzione giudiziaria (si pensi all'inchiesta "Why not?" e alla conseguente alzata di scudi di Rutelli e di altri "sinistri", che in quel momento si sono chiamati fuori da quel rispetto alle istituzioni che pretendono invece dall'inquilino di Arcore). Se, anziché approcciare alla realtà con i fuorvianti parametri dell'ideologia, si assumesse come metodo operativo l'analisi marxiana (e leniniana), che fa dell'economia la struttura e si occupa quindi di valutare gli interessi in gioco, ci si affrancherebbe di parecchio da questa stagnazione paludosa e si riuscirebbero probabilmente a comprendere molti degli aspetti che regolano la vita politica italiana, uno dei quali è proprio il rapporto che Roma intrattiene con Gheddafi, oggi evidente oggetto della più assoluta incomprensione. Gheddafi salì al potere l’1 settembre 1969 (esattamente quarantuno anni fa) all'indomani della destituzione del re Idris, fortemente sostenuta dal governo italiano, il quale era fortemente interessato a scardinare il predominio geopolitico di Francia e Gran Bretagna sull'area, notoriamente ricca di fonti di approvvigionamento energetico primario. Gheddafi, uomo estremamente ambizioso, rovesciò l'inerzia fino a quel momento favorevole alle due potenze europee sopra citate, e fece dell'Italia il primo partner commerciale. Ciò infastidì sensibilmente il governo inglese, che si adoperò attivamente per ripristinare le vecchie condizioni e avviò la cosiddetta "operazione Hilton", volta a spianare il terreno, a soli due anni dalla presa del potere da parte di Gheddafi, a un controgolpe militare. L'operazione saltò grazie all'intervento decisivo dell'intelligence italiana, che informò tempestivamente il leader libico del piano ordito ai suoi danni. Anche la Francia, dal canto suo, vide la propria egemonia messa in scacco da Gheddafi (rifornito e assistito da membri in congedo dell'aeronautica militare), che aveva invaso il Ciad, vero e proprio protettorato francese, occupato la striscia di Aouzou (ricca di uranio) e fomentato una guerra civile finalizzata ad insediare al potere il presidente filolibico Gukuni Ueddei. Gheddafi rappresentava all'epoca una minaccia reale e consistente per l'equilibrio geopolitico e geostrategico vigente in Nord Africa, anche in considerazione delle mire egemoniche panarabiche che mostrava apertamente di perseguire. Fu in quel contesto che maturò la strage di Ustica, sulla quale, non a caso, per anni ed anni è stato calato un silenzio letteralmente assordante. In ogni caso, le abili trame filoarabe tessute da uomini politici come Andreotti e Craxi avevano consentito all'Italia di ritagliarsi uno spazio importante in Africa del Nord, riconsegnandole quel ruolo centrale che, tenuto conto della sua posizione geografica, le spettava naturalmente. E' in questa ottica che va letto (cosa già sottolineata da altri) l'appello, che Gheddafi ha lanciato un paio di giorni fa, a "Liberare il Mediterraneo da flotte militari degli Stati non rivieraschi". Le logiche che regolano un'epoca multipolare come quella verso la quale ci stiamo avviando impongono di stringere rapporti di alleanza strategici, in grado di legare a doppio filo le nazioni e di dotarle degli strumenti necessari a fronteggiare gli inevitabili colpi bassi che verranno inferti dalle potenze rivali. Alcuni dei protagonisti della cosiddetta "Prima Repubblica", come i già citati Andreotti e Craxi e, molto più di loro, Enrico Mattei, dimostrarono di saper giocare le proprie carte (Mattei giunse a chiudere contratti addirittura con l'Unione Sovietica) con un discreto successo. Berlusconi non è certo l'uomo politico più adatto per raccogliere la pesante eredità lasciata da costoro, ma è sicuramente migliore dei suoi dirimpettai, quei "sinistri" che cianciano di "Dignità svenduta per avere ospitato un dittatore" (Antonio di Pietro), quei centristi come il capogruppo dell'UDC D'Alia che contesta la "Decisione di prestare un ramo del Parlamento a fare da prestigioso megafono a un leader autoritario che non rispetta i diritti umani e civili" e quei "finiani" di Generazione Italia, i quali, udite udite, si indignano perché "Gheddafi non ha speso mezza parola in favore di Sakineh, la donna iraniana condannata alla lapidazione in quanto colpevole di adulterio", omettendo accuratamente di far presente che l'angioletta in questione si è anche resa responsabile di complicità nell'omicidio del marito. Comunque, lasciando da parte la malafede dei "finiani" e tornando su questioni molto più importanti, la vista di Gheddafi a Roma, pur condita dalle solite esagerazioni boccaccesche di pessimo gusto, segna un colpo vincente per l'Italia, in quanto ha consentito ad aziende, alcune delle quali ancora parzialmente statali come l'Eni e la Finmeccanica (chiamate a fare la parte del leone), di chiudere contratti molto importanti, i cui particolari sono descritti molto accuratamente nell'articolo apparso su "Il Tempo" del 31 agosto firmato da Mario Sechi. Curioso che i più grandi successi di politica estera conseguiti dall'Italia, che sono il gasdotto "South Stream" e gli accordi con Gheddafi, siano oggetto di continui attacchi da parte di tutte le forze politiche che vanno dai "finiani" e dal loro braccio armato "Fare Futuro", al Partito Democratico, all'Italia Dei Valori. A quanti, di fronte a questo scandalo, si ostinano a non voler fare due più due, si consiglia di correre in edicola a comprare il libro di memorie di Patrizia D'Addario e quei giornali diretti da ricconi altezzosi, sedicenti portatori di una certa "Kual Kultura", e di documentarsi sul numero di hostess presenti alla sceneggiata riservata a Gheddafi e sulla performatività sessuale di Putin, notorio ospite abituale del mignottaio di Palazzo Grazioli, perché, come è noto, tutto il resto è noia. O no?
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