TUTTO SCORRE, ANCHE LA SINISTRA
Il divenire, Eraclito ce l’ha insegnato, è come un fiume.
Si sa che il fiume della sinistra è sempre stato diverso e distaccato da quello della destra. Ormai da tempo è osservabile come i corsi di tali fiumi tendano ad incrociarsi, a sovrapporsi, o, talvolta, a scambiarsi il letto. Il risultato è sostanzialmente uno: la foce è diventata la stessa per entrambi i fiumi. L’acqua del fiume cambia, si rinnova, rifluisce, ma, paradossalmente, diventa sempre più putrida e melmosa. Chi tenta di uscirne per superare il pantano viene suddiviso in molteplici ruscelli che vanno, man mano, a prosciugarsi. Oggi, metaforicamente parlando, sembra funzionare così la politica italiana, ma bando a metafore e similitudini ed occupiamoci della prassi per cercare di comprendere il suddetto rinnovamento, implicito al divenire.
La sinistra di una volta era trasversalmente caratterizzata dal “mito del progresso”, di matrice positivista, in politica interna e dall’ ”internazionalismo proletario” in politica estera, di certo non esenti da critiche, sui quali però non intendo soffermarmi ora, sia per questioni di spazio, sia perché ciò di cui voglio trattare in questo momento è ben altro.
Dunque il rinnovamento della sinistra italiana, in vista della “fine della storia” e dopo il “crollo delle ideologie”, è stato una corsa ai ripari, rottamando il mito del progresso per un nuovo sgargiante mito: quello dell’antiberlusconismo. Mito più flessibile e temporaneo, proprio come i contratti a tempo determinato, tant’è che alla fine del contratto è più che probabile, e in tal caso auspicabile, che li vedremo tutti in mezzo alla strada.
Ovvia conseguenza di questo rinnovamento è che per essere ossequiosamente fedeli al nuovo mito può capitare di immolare il vecchio progresso, come nel recente quesito referendario sull’energia nucleare, riuscendo, allo stesso tempo, a farsi opportunisticamente promotori di nuove “soluzioni”, come il rinnovabile, cavalcando l’onda emotiva ed elettorale.
Vediamo così raccolto dalla destra il “mito del progresso”, sebbene in maniera infausta, in quanto oramai fra la popolazione italiana, e non solo, va più di moda il regresso, o meglio la decrescita.
Sappiamo, però, che il fine ultimo delle forze politiche di sinistra era infliggere un’altra sconfitta a Berlusconi, in declino ed emarginato anche dai suoi, come lo dimostrano i recenti accadimenti. La Camera, infatti, si è appena pronunciata a favore dell’arresto del deputato del Pdl, Alfonso Papa, col beneplacito della Lega, lasciando Silvio Berlusconi amareggiato e stizzito. Subito è sopraggiunto un altro colpo basso, sempre per mano leghista, dall’onorevole Roberto Castelli che, il 20 Luglio, ha dichiarato: “Mi dispiace che Berlusconi fosse furibondo (per l’esito della votazione sull’arresto di Papa NdR) ma personalmente io domani gli darò’ un altro dispiacere, perché non voterò il decreto per il rifinanziamento delle missioni in Libia: mi dispiace, ma io la penso così”.
Non sarà il solo della maggioranza ad agire in questo modo, abbiamo sentito le dichiarazioni e tutte le riserve espresse nei mesi scorsi, in particolar modo dalla Lega, che diventa sempre più l’artefice della frattura all’interno della maggioranza.
È proprio sulla guerra che adesso le contraddizioni divampano incredibilmente.
Rifiorisce così l’interventismo di sinistra, avvolto dalla retorica dirittoumanista e non più nazionalista come una volta, bensì cosmopolita. Questa è la fine ingloriosa che hanno fatto fare all’internazionalismo, che nella sua forma più degenerata si è trasformato in un “cosmopolitismo filantropico”, che non riconosce alcuna sovranità nazionale e che si arroga il diritto di decretare chi è buono e chi è cattivo, chi deve detenere il potere e chi deve essere spodestato per il bene del “popolo”, ovvero per il bene dell’Occidente. Sembra un remake delle settecentesche Guerre di Successione, solamente in chiave più buonista ed ipocrita.
Dall’altra parte cresce rigoglioso un pacifismo di destra mai visto prima d’ora, o per lo meno non così imponente da surclassare i residui di pacifismo della sinistra, rimasti in mano ai partitini più “estremi”, che recitano uno svizzero “né con la Nato, né con Gheddafi”, che fa inconsapevolmente il gioco dei primi. È ovvio che risulta difficile e fuorviante ricondurre semplicisticamente tutta la destra al pacifismo e tutta la sinistra all’interventismo, sono però evidenti le contraddizioni nate, o finalmente palesate, all’interno delle rispettive fazioni politiche. Va anche precisato che, nonostante i rammarichi personali e le riserve, la posizione del governo è stata quella di asservirsi ai diktat della “Comunità internazionale”, cioè gli USA e i suoi accoliti, così come ha fatto anche l’opposizione e soprattutto la marionetta super-atlantica di Napolitano.
Il mito dell’antiberlusconismo sembra incidere anche sulla politica estera della sinistra, che disprezza tutti i “dittatori amici di Berlusconi”, quali Gheddafi, Lukashenko, Putin. Anche per questo il leitmotiv della sinistra è diventato quello di difendere a tutti i costi i “diritti umani”, anche a costo di un intervento manu militari, che, paradossalmente, viola i diritti umani, i quali, a quanto pare, valgono solo per pochi eletti, così come la loro violazione. Infatti gli stessi che si arrogano il diritto di intervenire “umanitariamente”, nei casi in cui siano loro a violare i diritti umani, vengono “graziati” dai mass-media asserviti e dai tribunali internazionali. Non è un caso che nessun presidente americano sia mai stato processato o estradato all’Aja, né tanto meno qualche caporione della NATO.
Rimane, invece, duraturo un altro mito: quello del popolo ribelle. Tant’è che i ribelli, che sono in realtà frange minoritarie, sono identificati con il popolo, quindi con la maggioranza della popolazione. Questo significa, nella logica del sinistroide occidentale medio, che per forza di cose lottino per la “libertà e la democrazia”, anche se sono filo-monarchici.
Dietro la “difesa della popolazione civile” a suon di bombe NATO, si nascondono in realtà gli interessi particolari dei singoli Stati occidentali (o meglio della triade USA-GB-FR) e della grande industria e finanza internazionale, che proprio in questo momento soffre particolarmente. C’è chi, come Bersani, tenta di attribuire la “sofferenza” dei mercati al factotum Berlusconi, auspicando con la solita litania di andare al voto, perché “la maggioranza non è più credibile”. Come se l’opposizione lo fosse. A dire il vero c’è da chiedersi se sia mai stata credibile, ammettendo ottimisticamente che vi sia mai stata un’opposizione.
Si “dimentica”, il segretario del PD, che la crisi è strutturale e non tanto personale ed è quindi in larga parte indipendente da Berlusconi. Forse però Bersani è impaziente di prendere lui il timone della “nave” che va inevitabilmente sempre più a picco, come nell’America del democratico Barack Obama, dove il rischio default si è già ufficialmente realizzato nello Stato del Minnesota, nonostante la scarsa risonanza mediatica.
Se n’è accorto perfino Di Pietro, fautore dell’antiberlusconismo, che non c’è un vero programma per la sinistra, ma solo personalismi da contrapporre a Berlusconi.
La fine di Berlusconi è prossima, proprio per questo è vicina anche la fine della sinistra italiana odierna, che inconsapevolmente gli deve la sua esistenza. Questo fa sì che, come detto all’inizio, il “fiume” di sinistra sia ormai strettamente legato nel suo corso a quello di destra.
Quindi quando le fitte radici dell’antiberlusconismo saranno costrette a sfaldarsi, non avendo più il muro su cui germogliare, allora vedremo il contenuto che c’è dietro: il nulla.