UALCHE RIFLESSIONE SUL SIMBOLISMO DI ALFRED N. WHITHEAD: E’ POSSIBILE “VOLTAR PAGINA NELLA STORIA”? di G. Duchini

Il paradigma fondamentale del contrasto “Capitale/Lavoro,” è stato assunto come un importante archetipo sociale dal marxismo del secolo scorso, reso longevo dalla forma sintetica della “lotta di classe,” che come un simulacro ha rappresentato un sorta di “richiamo della foresta”, dove tutti potevano attingere senza essere tacciati di tradimenti ideologici; una conseguenza logica di una lunga storia comunista che nel momento in cui perdeva pezzi importanti della propria tradizione nel più genuino marxismo, creava intorno a se vuoti storici di memoria collettiva in totale perdita di spirito critico della società capitalistica; un esempio tra tutti, un continuo riferimento di analisi ad un capitalismo di tipo Borghese (quello Ottocentesco di Marx), quando quest’ultimo era da lungo tempo sostituito da un Capitalismo Manageriale (dei “funzionari del capitale”) di marca Usa che subentrò ad esso fin dai primi decenni del Novecento.
L’imbroglio ideologico fu reso possibile dalle commistioni dei governi delle Sinistre con l’insieme dei Sistemi economici-finanziari parassitari a cui contribuirono i socialdemocratici, della repubblica di Weimar ( prima dell’avvento del nazismo) e da tutti i governi succedutisi in Italia, dalla sinistra giolittiana in poi (prima dell’avvento del fascismo).
Una sostanziale coazione a ripetere di una storia, già vissuta drammaticamente, ha fatto sì, che anche dal secondo dopoguerra in poi, si siano potuti riprodurre, con una certa pervicacia, “quei germi partecipativi e corrosivi” con l’insieme del sistema politico-economico, nelle alternanze delle Sinistre ai governi, come se nulla fosse successo e/o senza alcun insegnamento da ricevere dal proprio passato, né uno straccio di analisi minimamente seria, almeno per quanto riguarda le caratteristiche delle formazioni economico sociali venutesi a creare durante il fascismo-nazismo; contrabbandando quest’ultimi, e al contrario, in una rancida interpretazione dei regimi totalitari: una chiave di lettura che poteva essere riassunta come un “male assoluto” da combattere.
Inoltre, se si fa riferimento al “Ventennio” (fascista), esso è stato sempre considerato, dalla storiografia ufficiale italiana, non solo una parentesi storica, superata dalla provvidenziale democrazia importata al seguito della vittoria Usa, quanto e soprattutto, da una convenevole versione di “rappresentanza politica-ideologica” da trasmettere alle generazioni future come “Rivoluzione antifascista,” cioè un fascismo da
combattere sempre e dovunque, come se fosse ancora presente: un “Antifascismo di maniera” (si veda il mio ultimo articolo apparso sul blog ripensaremarx “Il Pci tra rivoluzione antifascista e socialismo”), suddiviso con una certa colorazione, tra l’insieme dei partiti “dell’Arco Costituzionale usciti dalla resistenza.”
Se non si tiene un punto fermo su queste fondamentali leve ideologiche e simboliche, della “lotta di classe” e dell’antifascismo che, dal dopoguerra in poi, hanno (man)tenuto come in una “maschera di ferro” l’insieme dei partiti, onde occultare un Capitalismo Manageriale a marca Usa che si andava dispiegando nel “Bel Paese,” fino al ben noto golpe giudiziario di mani pulite (1992), ben poco storia italiana si può capire.
E da questo punto di vista, il sistema Italia fu una grande laboratorio politico, nel creare un grande modello di sistema economico- parassitario totalmente asservito agli Usa e denominato ”Grande-Finanza-IndustriaDecotta;” grazie e soprattutto, alla forza politica della Sinistra con tutta l’accolita genìa dei comunisti “immaginari,” sempre in lizza tra loro, nel frapporre forti resistenze ad un “voltar pagina nella storia,” imprimendo con ciò una carica distruttiva al sistema sociale che avevano contribuito a civilizzare.
Ma come ciò sia potuto accadere può risultare un tentativo non facile, per un’analisi strutturale appena accettabile. Occorre intanto avere qualche strumento analitico in più, magari preso a prestito da qualche grande pensatore, onde ripercorrere con la memoria, l’epilogo del Pci nella vulgata della “Sinistra progressista.” Un riferimento all’inglese Alfred North Whitehead(1861- 1947) nel suo “Simbolismo” (1928), può apparire opportuno, essendo stato non solo uno tra i più grandi pensatori filosofico-scientifico del Novecento, nel doppio volto, di matematico e filosofo, diviso tra l’insegnamento della matematica a Cambridge e della filosofia, all’università Usa di Harvard (1924), quanto e soprattutto per la sua mirabile e virtuosa ricerca filosofica, non dissimile dagli altri suoi grandi coetanei, quali Bergson e Husserl.
Il simbolismo cui fa riferimento Whitehead può rappresentare un maglio ideologico che impedisce ad ogni struttura sociale di evolversi: una sorta di “pensiero riflesso di un mera azione condizionata simbolicamente.” Il simbolo, del resto, ha sempre fatto parte del tessuto sociale di ogni società: il linguaggio stesso è un simbolismo; pare che “l’umanità debba trovare un simbolo per potersi esprimere.” Una società per poter sopravvivere deve
garantire la conservazione sociale, anche in presenza della “ forza cieca delle azioni istintive.. che costellano abitudini e pregiudizi. Perciò non è vero che ciascun progresso nella scala della cultura tenda inevitabilmente alla conservazione della società. In generale è vero proprio l’opposto…”
Quando si fa riferimento ad un agire in società in conformità con le sue “necessità” secondo la “dottrina convenzionale di uno stato che nasce da un contratto originario,” si scopre che il simbolismo che si viene ad ereditare è un importante agente operativo; “esiste un complesso simbolico espresso dal linguaggio e dall’azione e che evoca un apprendimento fluttuante sulla base degli scopi comuni… La risposta dell’azione al simbolo può essere tanto diretta da escludere qualsiasi riferimento efficace alla cosa che viene simbolizzata. Questa eliminazione del significato viene definita azione riflessa …il simbolo evoca fedeltà nei confronti di nozioni concepite vagamente, fondamentali per la nostra natura spirituale. Il risultato è che le nostre nature vengono spinte a sospendere tutti gli impulsi antagonistici, così che il simbolo possa fornire la risposta richiesta nell’azione.. e si rimanda alle vaghe ragioni ultime, con la loro componente emotiva, attraverso le quali i simboli acquistano la facoltà di organizzare la folla eterogenea in una comunità perfettamente funzionante…. L’arte della società libera consiste in primo luogo nella manutenzione del codice simbolico e in secondo nel suo coraggio di revisione, per assicurarsi che il codice serva a quegli scopi che soddisfano una ragione illuminata. Quelle società che non riescono a coniugare la riverenza nei confronti dei propri simboli con la libertà di revisione, finiscono inevitabilmente col decadere nell’anarchia o nella lenta atrofia di una vita soffocata da inutili ombre.”
G.D. luglio ‘09