UCRAINA: NON E’ LA MERKEL CHE CI HA SALVATI DALLA GUERRA
Gli accordi di Minsk 2 tra ucraini, russi, tedeschi e francesi hanno preso atto della situazione sul terreno. L’esercito di Kiev è in rotta, perde uomini, mezzi e territori in ogni singola battaglia e in tutti i segmenti della frastagliatissima linea del fronte. Poi c’è la sacca di Debaltsevo dove 8000 soldati ucraini rischiano di fare la fine dei tonni. Una mattanza senza scampo se le truppe non trasgrediranno gli ordini e si arrenderanno ai separatisti. Pertanto, giungere ad una tregua era interesse soprattutto degli ucraini e dei loro partner occidentali prima che la disfatta fosse completa e la resa incondizionata. La leadership kieviana non vuole accettare la realtà perché crede che la sua propaganda sia presa per buona da tutta la comunità internazionale. Secondo questa propaganda, che però comincia a vacillare anche in patria, a causa delle bare sempre più numerose che vengono rispedite alle famiglie all’ovest, sono loro a vincere la guerra. Non è così e Mosca a Minsk trattava da una posizione di assoluto vantaggio, il vantaggio di chi non tiene conto delle narrazioni ma della potenza dei suoi cannoni. Il Cremlino ha fatto valere i concreti rapporti di forza sul campo ma senza esagerare per non umiliare gli interlocutori. Alle fine della lunga maratona dei negoziati(iniziata dagli sherpa e dai vari consiglieri ben prima che i leader si sedessero al tavolo) il più scontento è risultato, ovviamente, Poroshenko che si è sentito messo in mezzo da nemici ed alleati (dai quali si aspettava un supporto più sostanziale) ma è già tanto che non gli siano state accollate le riparazioni di guerra e le spese di ricostruzione del Donbass che, secondo i patti raggiunti, formalmente resterebbe sotto la costituzione ucraina. Costituzione che, tuttavia, dovrebbe essere modificata dalla Rada nei principi generali, politici ed amministrativi, per consentire un federalismo con larga autonomia della minoranza russofona dell’est del Paese che si autodeterminerebbe nei fattori culturali e sociali (mentre economicamente il Donbass è già un’appendice del mercato russo).
Abbiamo detto sin dall’inizio che la minaccia americana di inviare armi letali a Kiev ha spaventato solo gli europei. Per i russi era una falsa intimidazione che non li avrebbe fatti indietreggiare nemmeno di un millimetro. Infatti, come ha detto Putin in una recente conferenza stampa congiunta col Primo Ministro ungherese Orban: “Per quanto riguarda le eventuali forniture di armi Usa all’Ucraina, queste sono già disponibili nel paese. E non c’è niente di insolito. In secondo luogo, io sono profondamente convinto che chiunque sia e qualsiasi arma consegni al governo ucraino otterrà soltanto di far crescere il numero delle vittime senza mutare il risultato di ciò che accadrà e che è ormai inevitabile”. Cioè, il Donbass si staccherà di fatto dall’Ucraina e farà la sua strada, insieme alla Crimea e alla Russia. Più chiaro di così Putin non poteva essere. Quindi smettiamola di dire che la Merkel ci ha salvato dalla III guerra mondiale, grazie anche alla presenza dell’impalpabile Hollande. Germania e Francia non hanno fatto assolutamente nulla per evitare che il golpe di Kiev avesse successo, anzi hanno provato a spartirsi la torta con Washington piazzando propri protégé nella Junta nata dalla cacciata di Yanukovic. Certamente, le mosse sciocche di tutti questi mesi, a partire dalle sanzioni contro un partner di primo livello, hanno creato malumori nell’Ue. Parigi e Berlino, o almeno quei gruppi dirigenti nazionali ancora gelosi della propria sovranità decisionale, trovano che l’ “affaire” ucraino li stia danneggiando oltremodo e vorrebbero chiudere al più presto la disputa con la Russia per non rovinare ancora preziose relazioni geopolitiche e finanziarie. Ma c’è anche dell’altro. Militarmente le cose vanno sempre peggio per Bruxelles, ormai soggiogata da un’allenza che è diventata una prigionia. Gli Usa si stanno ergendo a “pattugliatori” dei confini europei, più che in passato, appropriandosi della gestione delle politiche di sicurezza continentali.
Questa condizione di crescente vassallaggio è appena mascherata da fantomatici pericoli esterni generati artificiosamente dagli Usa per giustificare la loro presenza-occupazione: dal pericolo islamico a quello russo sino al nucleare iraniano o coreano. L’Is, per esempio, è una creatura di Obama (in senso lato ovviamente), proprio come lo sono i nazionalisti ucraini (protagonisti dei fatti più sanguinosi durante Majdan e l’Ato) che potrebbero presto essere tirati fuori dal cilindro e spediti direttamente al governo se Poroshenko dovesse dimostrarsi troppo debole nel perseguire gli interessi d’oltreoceano.
Molto dipenderà da come si chiuderà la vicenda Debaltsevo. Se gli ucraini si arrenderanno Poroshenko sarà messo sul banco degli imputati per il fallimento delle operazioni militari. In previsione di queste accuse, gli uomini del Presidente stanno mettendo le mani avanti e rivolgendo dure critiche ai loro predecessori. A loro dire Yatsenyuk e Turchinov sono i veri responsabili della guerra nel Donbass. Uno di questi collaboratori, scagionando Putin, ha apertamente dichiarato: “è molto comodo dare la colpa dello scoppio delle ostilità nel Donbass a Putin, ma è il momento di dire la verità alla gente. I responsabili per l’ATO sono coloro che erano al potere dopo il rovesciamento di Yanukovych, cioè Yatseniuk e Turchynov”. Il redde rationem interno è ormai questione di mesi ed il caos che seguirà ricadrà sulla testa degli europei.
La nostra previsione è che in ogni caso a Kiev non potrà mai esistere un governo antirusso. Raggiunta la pace nel Donbass dovranno essere normalizzati i rapporti tra i due vicini. Passata la follia settaria di quest’ultimo anno la popolazione sceglierà leader migliori di quelli attuali che sapranno ritessere i fili con la Russia e rispristinare quei normali legami di amicizia che sono stati spezzati da manine straniere e oligarchi traditori. Siamo convinti della bontà di questa previsione, mentre non siamo convinti del pieno ravvedimento europeo. Anche l’Europa avrebbe bisogno di riannodare con la Russia per oltrepassare la difficile fase storica e spezzare le catene della sua dipendenza atlantica che ormai le costa troppo in termini sociali, politici ed economici.