Un 2015 decisivo per GAZPROM e per la UE (ma non decideranno loro)

gas

di Piergiorgio Rosso

Nel maggio scorso così concludevamo la nostra analisi di pari oggetto: “Se è vero che la recente decisione di GAZPROM di riprendere i lavori con SAIPEM segnala che i russi considerano sufficientemente stabilizzata la situazione politica nell’Europa Centro-Orientale, non si può non considerare la vicenda del TURKISH STREAM ancora estremamente fluida. In particolare considerando che la Turchia, paese NATO, sta subendo i vincoli politici ed economici che derivano dall’avere due guerre ai suoi confini Est e Sud, in entrambe delle quali dovrà giocare un ruolo decisivo per ottenere una stabilizzazione. Ruolo che gli USA sono disposti a concedere, ma a costo di un pieno allineamento della Turchia alla politica di accerchiamento/contenimento della Russia”

I fatti salienti succedutisi nel frattempo sono noti: in giugno GAZPROM ha terminato il contratto con SAIPEM sfruttando la clausola “per convenienza”, pagherà una penale ma i tubi non li metteranno più le navi italiane. Sempre in giugno GAZPROM ha sì confermato uno sconto alla società turca BOTAS del 10,25% sul prezzo del gas a partire da Marzo 2015 – come da accordo politico raggiunto a febbraio tra i ministri Novak e Yildiz – ma non ha ancora firmato l’accordo definitivo. Da parte sua il ministro russo dell’energia, Novak, ha rilasciato il 29 luglio u.s. una fredda dichiarazione secondo cui “il progetto potrebbe subire ritardi se non venisse firmato in tempo il relativo accordo intergovernativo”. Da ultimo, ma non per importanza, GAZPROM ha annunciato la firma di un’intesa formale (Memorandum of Understanding) per il raddoppio del gasdotto NORTHSTREAM nel Mar Baltico che arriva direttamente in Germania: partners sarebbero tedeschi, anglo-olandesi, austriaci.

Ricordiamo che il TURKISH STREAM è dimensionato per 63 miliardi di metri cubi all’anno (BCM) di cui 16 riservati alla Turchia, e le nuove linee 3 e 4 del NORTH STREAM per 55 BCM. L’attuale portata di gas naturale russo che – dopo aver attraversato l’Ucraina – arriva al nodo austriaco di Baumgartner è stimata pari a 80 BCM mentre altri 24 BCM transitano per l’Ucraina diretti in Romania, Bulgaria e Turchia lungo la costa ovest del Mar Nero.

Risulta chiaro da questi numeri che se la strategia di GAZPROM fosse quella di mantenere a tutti i costi la sua attuale quota di mercato in Europa, evitando però qualsiasi rischio di transito, allora sarebbero necessari entrambi i progetti obbligando la società russa ad un enorme sforzo finanziario.

A peggiorare le cose, i consumi di gas naturale in Europa hanno preso un colpo e la produzione di GAZPROM del primo semestre 2015 è scesa del 13% rispetto ad un anno fa. Anche il mercato interno russo è diventato difficile per la crescente concorrenza di Rosneft e Novatek. Il fatturato 2015 di GAZPROM è atteso scendere del 27% secondo gli analisti di Sberbank. E anche la Cina non ha più tanta fretta se è vero che ha sospeso l’accordo per il nuovo gasdotto SIBERIA-2 in attesa di valutare meglio quantità e prezzi.

Se non bastassero i problemi industriali e finanziari, GAZPROM dovrà combattere anche sul fronte politico. Nel prossimo settembre è previsto che si dirima la causa legale intentagli contro dalla UE relativamente all’uso politico del prezzo del gas esportato nei paesi centro-orientali, mentre a Novembre è previsto l’incontro tra i due Presidenti Erdogan e Putin che – per decidere se e come far partire definitivamente i lavori per il TURKISH STREAM – parleranno soprattutto di … Siria.

Dall’altra parte del pianeta, in terra nordamericana, è invece attesa con ansia la partenza – prevista tra novembre e dicembre 2015 – del primo carico di GNL – prodotto da shale gas – che partirà dal nuovo impianto della CHENIERE ENERGY di Sabine Pass, probabilmente alla volta dell’Asia. Un evento che sarà politicizzato e mediatizzato al massimo grado dagli spin doctors dell’impero.

Saranno decisamente mesi difficili per GAZPROM e decisivi per il futuro del suo ruolo come fornitore affidabile di gas naturale nella UE, ma altrettanto decisivi saranno per la UE che non ha fornitori alternativi credibili da qui al 2020 e comunque non certo allo stesso prezzo. Rimanendo comunque bisognosa fino al 2030 di una quantità di gas naturale da importare per usi civili ed industriali compresa fra 150 e 100 BCM ogni anno.