UN COMUNE CAMPO DI DISACCORDO
(risposta sintetica a Franco)
Ringrazio Franco per le sue osservazioni, dimostrazione che il disaccordo è utile quando si manifesta entro un comune campo di sua delimitazione. Dovrò però essere telegrafico, data la mole di lavoro che ho davanti (oltre ai banali aspetti di vita oggi più ingombranti di ieri). Lenin disse: “senza teoria rivoluzionaria niente azione rivoluzionaria”. Mi sentirei di apportare una variazione; senza teoria non vi è azione né rivoluzionaria né reazionaria e conservatrice. Se negli ultimi decenni la seconda ha prevalso, è anche perché i reazionari sono stati più bravi in teoria dei rivoluzionari. Diciamo che hanno avuto molti più mezzi. Verissimo, ma non è tutta la spiegazione: alcuni reazionari hanno dimostrato migliore attitudine alla teoria, ne hanno compreso meglio la rilevanza e le funzioni. Quelli che sono rimasti con la voglia di cambiare il mondo (capitalistico, detto molto in sintesi) hanno di fatto, vista la tremenda e definitiva lezione storica ricevuta, svalutato la teoria, hanno cominciato a dire: “ma non proponiamo nulla di concreto, dobbiamo metterci in azione (e in gioco), ecc.”. Gramsci ha dato le sue cose migliori, quelle che restano veramente, in carcere, isolato dal contesto sociale e politico, senza potersi mettere in gioco se non con le sue malattie e poi la morte.
Semmai bisognerà precisare un duplice aspetto della teoria. Da una parte offre interpretazioni della realtà che vanno pian piano a confondersi con la storia (quella ragionata in base a categorie appunto interpretative). Da questo punto di vista vige il noto principio della “Nottola di Minerva ecc. ecc.”. In questo senso la teoria è in ritardo, poiché le interpretazioni esigono un certo lasso di tempo storico passato da indagare, non possono non assestarsi post festum (Marx). La teoria è però anche quella che ordina certi fatti del presente per categorie perfino molto generali (tipo mono e policentrismo, con fase di multipolarismo, ecc.); anch’esse riflettono, e generalizzano, aspetti del passato, ma proprio per fornire ordinamenti di un campo in costruzione oggi tramite il fare teoria. Al contrario di Althusser – che, in apnea teorica dopo Leggere il Capitale, cadde pure lui nel movimentismo – credo non solo che le “squadre” (non esattamente le “classi” in senso marxiano) entrino in campo già formate, ma che lo stesso campo da gioco debba essere apprestato, almeno nella sua delimitazione e organizzazione di base, prima ancora dell’entrata in campo delle squadre. Certo poi, concretamente, tutto avviene in apparente contemporanea, secondo una sorta di circolo (virtuoso o vizioso) in cui cause ed effetti si rincorrono.
E’ la solita questione: è nata prima la gallina o l’uovo? Bene, il teorico fa la scelta: io parto dal principio che prima è nata la gallina (una determinata formazione sociale “nata” da una “mutazione genetica” con successiva “selezione”) e poi vengono le uova. Studiare la formazione sociale, ordinarla nelle sue (non reali) strutture, ecc. viene per me prima (logicamente prima) di ogni altra successiva analisi. So bene, tuttavia, che ci sarà sempre chi vuol invece prima aprire l’uovo e vedere se è “gallato”, se contiene il nuovo pollo in nuce. Nulla di male; i due personaggi saranno sempre in polemica fra loro, e non è una polemica infeconda.
Sull’ultimo punto, ho già svolto un lavoro non proprio minore; e lo sto riprendendo. La debolezza di Marx, e quindi l’avanzamento e non arretramento teorico legato alla messa in primo piano del principio della razionalità strategica, è appunto nell’aver ottimisticamente creduto che il capitalismo – poiché la sfera economica prendeva il davanti della scena rispetto alle altre e imprimeva l’alto sviluppo delle forze produttive mai visto prima – significasse la prevalenza della razionalità del minimo mezzo (pienamente recuperabile nella fase socialista in vista del raggiungimento del comunismo). Si tratta, cioè, della razionalità che conduce alla cooperazione umana per un fine produttivo superiore; la proprietà dei capitalisti, divenuti rentier, sarebbe allora divenuta soltanto parassitaria e destinata perciò alla sconfitta storica. Nulla da fare; anche nel capitalismo, precisamente come nelle altre società, prevale comunque la razionalità del conflitto, della vittoria sugli altri, della supremazia. Questo è avanzamento e non arretramento teorico. Chi resta a quell’ottimismo marxiano condurrà ancora la vecchia (presunta) lotta di classe, ormai scaduta a semplice conflitto sindacale tra capitale e lavoro. Credo che questo già ci sia fra l’altro in quelle prime 14 cartelle del mio nuovo lavoro che vi ho inviate.
E adesso torno a quest’ultimo, ringraziando Franco dell’attenta lettura.