UN FATTO INDICATIVO di G. La Grassa
Credo si sappia che cos’è il Mps (Monte Paschi Siena), uno dei pezzi pregiati della finanza detta “rossa” (con alto sprezzo del ridicolo). Questa banca, già tempo fa, passò un brutto momento per aver assorbito la Banca del Salento, dimostratasi poi del tutto dissestata (con la rovina di alcune migliaia di poveracci che le avevano affidato i loro soldini). Si verificò il caso del tutto anomalo dell’ad (amministratore delegato) della banca incorporata – dato per “amico” di D’Alema (che smentì con una lettera al Foglio, smentita a cui non so quanti abbiano creduto) – diventato ad del Mps (l’incorporante), per essere in seguito “dimissionato” dopo la rivelazione del dissesto della banca pugliese (cadendo però in piedi, visto che andò a dirigere la sezione italiana della Deutsche Bank). Nel blog abbiamo raccontato, almeno in parte, questa vicenda circa un anno e mezzo fa. Tralascio quindi la riesposizione degli incresciosi fatti che forse, prima o poi, dovrebbero essere più accuratamente riesaminati poiché sono un vero “paradigma” del modo di procedere del nostro capitale finanziario (con il mondo politico che vi è connesso), e più in generale del capitalismo italiano, attraversato da anni da una autentica guerra per bande.
Vogliamo ancora ricordare che, all’epoca dello scontro interbancario (e intercapitalistico in generale) che condusse alla defenestrazione di Fazio e alla sua sostituzione con il (fino allora) vicepresidente dell’americana Goldman Sachs, il Mps si guardò bene dall’appoggiare l’altro pezzo importante della finanza “rossa”, l’Unipol, nel suo tentativo di acquistare la Bnl (Banca nazionale del lavoro), di cui – dopo l’intervento (sempre molto “ben giocato”) della Magistratura, che mise fuori gioco tale istituto assicurativo, i “furbetti del quartierino”, ecc. – si appropriò invece il Banco di Bilbao, mentre l’Antonveneta, cui mirava il ben noto Fiorani, cadde preda dell’olandese AbnAmro, più tardi incappata in alcune traversie finanziarie.
Più di recente si sono verificate sia l’unione tra Intesa e San Paolo che quella tra Unicredit e Capitalia (in entrambi i casi, si è trattato in realtà dell’incorporazione delle seconde da parte delle prime), per cui sembrava che il Mps dovesse ridursi a poca cosa nel panorama finanziario italiano. Improvvisamente, il “colpo d’ala” (apparente): con una barcata di soldi – da tutti giudicata eccessiva, veramente enorme (9 miliardi di euro), nettamente al di sopra del valore della banca incorporata – il Mps ha “inghiottito” l’Antonveneta rilevandola dall’istituto spagnolo sopra nominato. Per la verità, l’acquisto non è perfezionato, i soldi non sono stati ancora raccolti; se non erro, l’operazione dovrà però concludersi entro il prossimo luglio.
Ricordiamo intanto che tra i “patrocinatori” della banca toscana c’è Caltagirone (suocero di Casini, detto così per inciso) – considerato oggi molto vicino al Pd veltroniano – il quale ha già da tempo rilevato dai Benetton Il Gazzettino (il “quotidiano del nord-est”). Con l’acquisto dell’Antonveneta da parte del Mps viene a formarsi un polo bancario legato, anch’esso, al nuovo organismo politico del centrosinistra; si tratterebbe dunque di una ulteriore mossa compiuta nel tentativo di favorire la penetrazione di tale schieramento in una zona del paese sfavorevole all’attuale maggioranza governativa. Nulla di meglio, per compiere tale tentativo, che mettere in piedi un nodo finanziario-mediatico. Il povero Fassino ha fatto la figura che ha fatto chiedendo al telefono a Consorte: “Allora abbiamo una banca?”. Oggi, se volesse, il più fortunato Veltroni potrebbe ben dire: “Abbiamo finalmente una banca”. Ma queste sono quisquilie.
Interessa assai di più sapere come farà l’Mps a raggranellare infine i soldi (9 miliardi, lo ricordo) necessari per acquistare definitivamente l’Antonveneta. Intanto ha intenzione di lanciare un aumento di capitale di 5 miliardi (che offrirà, come prima opzione, ai già azionisti; e il principale socio privato della banca, con il 4% azionario, è appunto Caltagirone). Due miliardi dovrebbero essere raccolti mediante obbligazioni, 1,95 miliardi tramite cessione di asset (sempre di attività patrimoniali si tratta, malgrado il più anodino nome inglese) considerati “non strategici” (non chiedetemi quali sono e perché non sono strategici; questa non è materia da profani). Infine, è previsto un altro miliardo da raccogliersi mediante emissione di nuove azioni “al servizio di strumenti innovativi di capitale” (anche su questo, non chiedetemi alcuna spiegazione, provate eventualmente a telefonare al centralino del Mps). Se i calcoli non sono un’opinione, siamo perfino oltre i 9 miliardi richiesti, ma tutti sulla carta. Non c’è un solo miliardo di cui si possa dire con certezza: questo lo abbiamo qui ed ora, pronto sull’unghia, ben conservato nella nostra “cassa”.
Qual è però la più “simpatica” notizia diffusa in merito a tale faccenda? In attesa dell’abbondante e florida messe che verrà certamente raccolta da cotanto Istituto, il tutto verrà garantito dall’appoggio di banche, in maggioranza americane (alla faccia della ultimamente tanto declamata italianità), quali Goldman Sachs (che noia, è sempre tra i piedi, non c’è operazione in Italia che non la veda “in mezzo”), Merril Lynch e Citigroup. Queste ultime due, poi, pur essendo anch’esse senza dubbio giganti, sono rimaste pesantemente implicate (e impigliate) nella brutta faccenda dei prestiti immobiliari difficilmente recuperabili (subprime), hanno già dichiarato perdite di non ricordo quanti miliardi di dollari (ma tanti comunque) e, se non vado errato, i loro ad si sono già dimessi. Ci sono poi Crédit Suisse e Mediobanca, ma come “advisors” minori [è possibile tradurre con consulenti, assistenti finanziari, “piazzisti” di attività varie, ecc.? Mah, il termine inglese lascia più spazio all’immaginazione di qualcosa di meraviglioso e che risolve ogni problema, anche quello che Pinocchio tentava di risolvere seminando gli zecchini d’oro!]. Comunque, si tratta di operazioni complesse e non starò a raccontare che comprendo sino in fondo come esse si svilupperanno concretamente (nel frattempo, ho letto che in qualche modo c’entra pure la JP Morgan).
Mi interessava solo far notare che questo è il “grande” capitalismo italiano, tutto intento ad operazioni meramente finanziare, condotte assieme a imprese (della superpotenza oggi mondialmente dominante) che, date le loro dimensioni e la ramificazione mondiale, sono sicuramente quelle che hanno in mano “il bandolo della matassa”. Il tutto ha un sapore da Repubblica di Weimar; per fortuna non c’è al momento alcuna “crisi del ‘29” e nemmeno un movimento “nazista” in fieri. La pericolosità di situazioni del genere mi sembra però evidente. L’Italia è un paese attraversato dalle scorrerie altrui, senza progetti industriali, senza sviluppo, senza ricerca scientifico-tecnica, senza un minimo di autonoma capacità di dare autentico impulso a quelle poche imprese di rilievo che abbiamo: Finmeccanica, Eni, Enel, ecc. Tali imprese conseguono certo importanti successi, ma sembrano sempre estranee al nostro sistema-paese; e l’attenzione del nostro miserabile establishment (e dei suoi servi politici) non è mai concentrata su di esse, bensì sulle grandi banche, sulle Generali (altro pezzo della finanza) e, al massimo, sulla Fiat, questa sanguisuga che da oltre mezzo secolo vive di “luce riflessa” (aiuti dello Stato).
A primavera ci sarà il cambio della guardia alla testa delle grandi imprese di pregio appena nominate, che sono ancora in gran parte in “mano pubblica”. Se questo marcio Governo, che infesta il paese e lo sta riducendo al lumicino, ancora non cade, ciò è (in parte) dovuto al fatto che, prima, le nostre cosche in lotta debbono decidere che fare (o forse disfare) di queste imprese d’avanguardia (tramite i loro lacchè di centrosinistra al governo) nonché regolare i loro conti ancora in sospeso (Intesa sta producendo il massimo sforzo, ma è ancora lungi dall’assicurarsi la vittoria nello scontro con Unicredit e gli altri: Mps appunto, Fiat e via dicendo). E’ in corso una lotta multipolare, con alleanze che sempre si annodano e si sciolgono, con posizioni da “giocatori delle tre carte” (come nel caso di Alitalia). Per capirne qualcosa di più preciso, dovremmo avere rapporti privilegiati con i servizi segreti (o almeno con la magistratura “in servizio permanente attivo”). Noi del blog non li abbiamo; ci arrabattiamo e intanto forniamo – a quei troppo pochi che ci leggono – qualche informazione “utile”. Più di così non siamo attrezzati a fare, ci mancano i mezzi.