Un ideale minuto di silenzio

gianfranco

 

 

E’ morto un altro dei “mostri sacri” d’un tempo che non sembra soltanto d’un altro secolo, ma proprio di un secolo e più fa. Mi dispiace della morte di Fo come della morte di un qualsiasi altro, che mi ricordi quei tempi lontani e in cui non soltanto ero molto più giovane, ma soprattutto ero, come molti altri, assai credulone. Per mia fortuna non ho mai pensato ad una rivoluzione vicina, tanto meno che “padroni e borghesi” avessero “pochi mesi”. Già allora intuivo (e anche qualcosa in più) l’ingrippamento del sedicente “socialismo” e dell’Urss in particolare. Tuttavia, ancora pensavo che si potesse riformulare una teoria rivoluzionaria di impronta marxista e che si riuscisse – non subito, nel giro di un bel po’ d’anni – a rilanciare una certa pratica nella direzione per il momento abbandonata. Non ho particolare nostalgia di quella credulità, ma ricordo egualmente quei tempi come qualcosa di perduto.

Detto questo, sono rimasto sbalordito di fronte al premio Nobel assegnato a Fo; secondo me possiamo ricordare di lui al massimo il “Mistero buffo”, nient’affatto male. I testi più politicizzati sono non proprio eclatanti e abbastanza demagogici. In particolare, scordiamoci di quando veniva sostenuto in merito agli operai che, se non fossero stati soffocati e deviati dai dirigenti sindacali e piciisti, avrebbero fatto la rivoluzione. La saldatura tra movimento studentesco del ’68 e l’autunno caldo operaio del ’69 è stata di fatto un’interpretazione assai forzata; e non c’era bisogno dell’attentato del venerdì 12 dicembre ’69 per creare forti imbarazzi alla “rivolta”. I capi studenteschi (pomposamente definitisi “potere operaio”, “lotta continua” e via dicendo) si sono piuttosto presto riciclati; ed erano già all’inizio fin troppo ambigui. Il movimento operaio, malgrado alcune “energiche” manifestazioni, non aveva alcuna finalità rivoluzionaria. Solo minoranze non sconvolgenti avevano idee di mutamento sociale; ma di una vecchiezza sconfortante. Ed infatti quelle minoranze furono messe a posto in poco tempo. La maggioranza degli operai aveva intenzioni decisamente approvabili di un effettivo miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, quelle che oggi vengono rimesse in piena discussione; e non solo per i ceti operai ma per almeno i due terzi del cosiddetto ceto medio.

Sia chiaro una volta per tutte che le cosiddette masse sono importanti per qualsiasi movimento radicale; da sole manifestano tuttavia puri motivi di malcontento, di disagio, perfino di piena rivolta se le condizioni di vita diventano insostenibili (in senso materiale e non solo, anche come totale disorganizzazione del vivere civile). Tuttavia, o sono dirette da gruppi di vertice estremamente decisi e preparati alle strategie necessarie sia per vincere sia per dar vita ad una nuova riorganizzazione della società che ridiventi stabilmente vivibile, oppure addio rivoluzione. Che ci siano masse pronte alla rivoluzione, che sappiano cosa fare e che poi tuttavia vengano spente dai loro capi, è una pura e semplice fantasia demagogica, tipica appunto di uomini di spettacolo o comunque con la testa tra le nuvole.

Ricordiamo Dario Fo, ma non con gli stessi sentimenti provati per Giorgio Gaber, il vero cantore di un fallimento generazionale, del disincanto; o anche per Jannacci e molti altri (in primo luogo, per i grandi registi e attori della “commedia all’italiana”). In ogni caso, è vero che tutti hanno rappresentato un periodo decisamente migliore vissuto da questo paese ormai in totale degrado. Quindi, chiniamo pur sempre il capo e rispettiamo il nostro ideale minuto di silenzio. Oggi c’è da piangere; proprio per quanto si è dilapidato vergognosamente. Non lo si chini invece mai quando moriranno (alcuni già sono morti e io non l’ho certo chinato) tutti quelli che hanno tradito il paese; a partire dai “padri dell’Europa” e dal falso “antifascismo della liberazione” (cioè dell’asservimento) per arrivare ai piciisti del tradimento e svendita allo straniero (che li privilegiò con “mani pulite”). E infine non lo si chini, anzi si intonino inni di gioia, quando creperanno i venduti odierni, che stanno apprestando altri più aperti tradimenti per i prossimi anni. Il dramma di personaggi come Fo è che, zeppi di ideologia e incapaci di capirne l’ormai irrimediabile insostenibilità e l’inversione di segno, hanno continuato ad essere sostenitori fino alla fine dei traditori e di chi ha svenduto questa povera Italia.