Un non Caffè americano

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Ho scritto in tempi recenti (http://www.conflittiestrategie.it/il-necessario-funerale-al-sovranismo, http://www.conflittiestrategie.it/il-sovranismo-e-morto-finalmente) sulla morte di sovranismo e populismo. Con il riposizionamento di populisti e sovranisti nostrani a favore di Draghi abbiamo anche il certificato di morte di queste ideologie cialtrone. I due avamposti contro la finanza globale finiranno per dare un qualche sostegno ad un membro delle istituzioni finanziarie internazionali e delle banche d’affari. Il cerchio si è chiuso. Ma Draghi non è semplicemente una pedina della finanza mondiale, Draghi è l’uomo degli americani, di quelli che controllano la finanza predominante. Era al loro servizio e per accontentarli ha contribuito a svendere i tesori italiani. Se non si intende anche la finanza nei suoi rapporti di forza intrinseci si finisce per affermare quelle sciocchezze, oggi come ieri, tanto in auge che raccontano di una Finanza Moloch sfuggente al controllo di tutti e divoratrice di ogni cosa. Non è così perché la sfera finanziaria, per quanto decisiva nel capitalismo, resta sottoposta, nei frangenti cruciali, al potere politico, quello degli Stati in primis. Gli Stati che si fanno dominare dalla finanza o dai mercati sono organismi subordinati primieramente al potere politico di altri Stati i quali si servono dei meccanismi finanziari per esercitare la loro egemonia.
Chissà se il grande maestro di Draghi, Federico Caffè, avesse in mente questo percorso per il suo allievo. Permettete che ne dubiti considerato che Caffè scriveva “contro gli incappucciati della finanza”. Draghi è uno di quei personaggi in cui l’ambizione ha finito per superare la bravura la quale è stata messa al servizio della propria carriera ma, soprattutto, di ristretti interessi di parte, anche contro gli interessi generali del suo Paese. La vicenda del Britannia è stato il marchio indelebile di questo operare. Se Caffè aveva ragione, e secondo me ne aveva da vendere quando affermava che: “Le decisioni economiche rilevanti non sono il risultato dell’azione non concordata delle innumerevoli unità economiche operanti sul mercato ma del consapevole operato di ristretti gruppi strategici in grado di limitare l’offerta e di influire sulla domanda, orientandola a loro piacimento” allora è inevitabile dedurne che o Draghi è immemore delle lezioni del maestro oppure deve averle apprese talmente bene da aver scelto di saltare dall’altra parte della barricata, quella contro cui parlava Caffè.
Quando Draghi suggeriva agli stranieri cosa e come comprare per spolpare l’Italia, garantendo da parte sua l’approntamento di mezzi per la svendita, faceva esattamente il contrario di quello che Caffè perorava: “Una strumentalizzazione politica delle indubbie difficoltà finanziarie che non lasci intravedere la speranza risulta, in ultima istanza, autopunitiva. Dovrebbero tenerne conto le prefiche che, dalle difficoltà finanziarie mondiali, già delineano scenari catastrofici. Quale peccato che non abbiano saputo, o voluto, apprendere la lezione di Keynes che, pur essendo rimasto prolungatamente una Cassandra inascoltata, non è mai venuto meno al compito intellettuale di alimentare una speranza. Mentre è proprio questa capacità che, con buona pace dei cosiddetti «monetaristi», lo pone «al di sopra della condizione di uomo saggio e tra i profeti della nostra età moderna».”
Bene, Draghi ci ha tolto molte speranze in passato ed ora si presenta come nuovo responsabile, da vecchio irresponsabile quale è stato, per uscire dall’attuale impasse politico. Voi comprereste un’auto usata da chi vi ha già fregato una volta?