UN PAESE ORMAI DISFATTO, di GLG
E’ indubbio che l’esperienza fascista – dopo essere stata, checché se ne dica, piuttosto seguita dalla popolazione italiana negli anni ’30 del ‘900 – ha lasciato esiti negativi in seguito alla brutta esperienza della seconda guerra mondiale, in cui il paese, malgrado le sue capacità di compiere indegne “capriole”, è uscito di fatto sconfitto. In effetti, è stata quell’esperienza che ci ha consegnato – tuttavia come tutta l’Europa occidentale, ivi compresi i paesi vincitori: l’Inghilterra e la Francia – al culto e ammirazione della “democrazia” americana. Un’ammirazione poco comprensibile, in verità, visto che negli Usa metà della popolazione non fa sentire la sua voce in nessun senso; e il resto vota due partiti assai poco dissimili, in mano a potenti lobbies che profondono soldi a volontà per condurre campagne elettorali assai variopinte e carnascialesche, in cui tutto si dice salvo quali sono i reali intendimenti poi messi in atto dai vincitori della “kermesse héroique”.
La lezione Usa è stata fra l’altro mal appresa, anche perché il tutto si è dovuto per oltre 40 anni adattare alla presenza di un mondo bipolare con l’Urss pensata quale paese di tipo socialista, quindi alternativo al capitalismo. La presenza del nemico “anticapitalista” – unita a quella del più forte partito comunista dell’area capitalistica; comunista tanto quanto era socialista l’Unione sovietica, e tuttavia sempre pensato quale pericolo incombente per il sistema sociale e politico in auge – ha fatto sì che esistesse di fatto nel nostro paese un unico grosso partito al governo (la DC), circondato da partiti minori (a parte il Psi di dimensioni medie) facenti parte dello stesso orientamento, salvo differenze abbastanza marginali. Il Pci rappresentava un’opposizione cospicua, ma era pur sempre soltanto opposizione; la presenza della Nato (cioè degli Usa, paese predominante dell’intera area capitalistica) impediva ogni possibilità di ricambio. Il Pci accettò fin da subito, dopo essere stato cacciato nel 1947 dal governo di unità nazionale, tale situazione di minorità costante; successivamente, a partire dagli anni ’70, come abbiamo rimarcato più volte, iniziò il suo coperto, piuttosto segreto, spostamento di campo, preparando un quadro dirigente che poi apertamente rovesciò le sue alleanze internazionali non appena il campo “socialista” e l’Urss implosero in modo piuttosto subitaneo. E le rovesciò continuando a trascinarsi dietro un veramente ormai ottuso e spento corpo elettorale in buona parte ancora convinto di stare seguendo un partito favorevole alla trasformazione sociale dell’Italia.
Crollata l’Urss – e quindi senza più alcun pericolo per un campo capitalistico, ampliato di tutta l’Europa orientale, divenuta del tutto succube degli Usa – venne condotta in Italia, per via giudiziaria e senza alcuna chiarezza politica, l’operazione di sostituzione del regime fondato sulla Dc (con appoggio sostanziale del Psi craxiano) con un altro, assai più prono ai voleri americani e poggiante sugli ignobili personaggi che ormai guidavano il partito (plurinominato nel giro di pochi anni: Pds, Ds, Pd) erede del “Pci voltagabbana”. Il tentativo fu abbastanza malamente condotto, coinvolgendo anche alcune parti (“di sinistra”; tutto da ridere) della Dc e qualche dirigente del Psi. Tuttavia, l’inettitudine dei personaggi in questione, e l’improprio e impolitico modo di mettere in piedi questa finzione di schieramento di “sinistra”, fecero fallire l’intenzione di mettere in piedi un altro regime abbastanza solido come il precedente. Intervenne un altro personaggio, tutt’altro che di ottima caratura, ma del tutto sufficiente a mettere in crisi il progetto preparato fin dai viaggi di esponenti del “fu” Pci negli Stati Uniti (già a partire dai primi anni ’70). E così iniziò un periodo, durato circa un quarto di secolo, di situazione molto confusa ed estremamente negativa per l’Italia, sempre più allo sbando.
In ogni caso, il nostro paese è stato sempre, più o meno, una base operativa della Nato, cioè di coloro che comandano realmente in questa organizzazione: gli Stati Uniti evidentemente. Dopo il crollo dell’Urss, per una decina d’anni almeno questo paese ormai nettamente predominante si è sentito sicuro di non avere più effettivi competitori. Ci sono state azioni di consolidamento della situazione condotte, ad es., in Irak (prima guerra del ’91, ancora sussistente l’Urss per pochi mesi) e in Serbia. Tutto sommato, direi che si è trattato di accentuare l’influenza Usa in Medioriente (tenuto, fra l’altro, conto della presenza di paesi non fidati come l’Iran) e di stoppare ogni velleità anche soltanto futura di paesi come la Germania, che si stava espandendo economicamente in molti paesi dell’Europa orientale e nei Balcani. Del resto, bloccare tale paese fin da subito – assai prima che rappresentasse effettivamente un concorrente di pur minima pericolosità – significava nel contempo l’arresto di ogni prospettiva di sua pur lontana proiezione verso est, verso magari un’alleanza con una Russia che poteva rimettersi in piedi, soprattutto appunto in simbiosi con i tedeschi.
2. In questo periodo, in Italia si è andò portando a termine la fine della prima Repubblica, cioè del regime Dc (e Psi) non più ritenuto necessario, e ci si propose – non riuscendoci, come già detto, per l’inettitudine di coloro cui si affidò il compito – di sostituirlo con quello degli ex piciisti ormai “bolliti” (in senso filoamericano) al punto giusto. Si portò comunque avanti il progetto di liquidazione dell’industria “pubblica”, che interessava molto a quella “privata” (guidata da Agnelli), un settore industriale che è sempre stato il tramite, fin dalla seconda guerra mondiale, dell’influenza anglosassone in Italia. Del resto, l’indebolimento della parte “pubblica” del sistema economico – che da sempre aveva costituito un punto di forza di settori decisivi della Dc (e di una opposizione tutto sommato “leale” da parte del Pci) – era misura coerente con l’ulteriore nostro asservimento alle finalità del paese che, dalla fine della guerra, orientò il “campo occidentale” (diciamo pure capitalistico).
Con il XXI secolo – per fissare una data, usiamo il famoso episodio delle “due Torri” dell11 settembre 2001 – la situazione si fa più intricata; sia pure lentamente si comincia a notare che la Russia non è completamente fuori da ogni gioco, è molto indebolita ma con possibilità di ripresa per i tempi a venire. Si ha progressivamente quel mutamento di strategia degli Stati Uniti – con punto culminante nello sconquasso provocato in Nord Africa e accentuazione della pressione in Medioriente – di cui non credo si abbia ancora un’idea veramente precisa e coerente. Continuo comunque ad avere molti dubbi sul fatto che si sia alla fine dimostrato quali gravi errori abbiano commesso gli Usa e che da tali vicende stia uscendo sostanziale vincitrice la Russia intervenuta in Siria. In ogni caso, semplificando la questione, si nota il mettersi in moto di una tendenza, tutt’altro che chiara e lineare, al multipolarismo con crescenti difficoltà – ancora tutt’altro che insormontabili – per il predominio mondiale statunitense. La Russia è in fondo meno forte e determinata di quanto qualcuno oggi la ritenga; tuttavia, resto convinto che nel giro dei prossimi anni (non pochissimi) sarà ancora l’antagonista principale degli Usa. Inoltre, tale paese, pur sempre predominante, sta giocando in Africa e nel Medioriente una partita abbastanza complessa, in cui cerca di sfruttare non più la semplice contrapposizione tra Israele e determinati movimenti arabi, bensì proprio una serie di contraddizioni a questi ultimi interne.
In una situazione di così crescente complessità, diventa viepiù rilevante la funzione della “portaerei” Italia; la sua posizione geografica è sempre più allettante, ma deve essere supportata da una situazione politica adeguata, che tuttora manca. Si è messo fine ad ogni pur assai superficiale e debole “balletto” tra Russia e Italia con proiezione verso la Libia: non era difficile ottenere il risultato poiché una certa politica di Berlusconi – non così allineata come quella degli ignobili ex piciisti e con aperture ai russi, fatte passare per amicizia personale tra questo ambiguo personaggio e Putin – era semplicemente dovuta ad interessi probabilmente molto personali. Per cui è bastato il pericolo di danneggiamenti di altri interessi, o magari ulteriori pericoli ancora più personali, e quella politica ha fatto acqua da tutte le parti.
Ciò malgrado, non credo si sia giunti per semplice errore al massacro di Gheddafi che ha consegnato quel paese al caos più indescrivibile. Probabilmente, si è evitata ogni possibilità di qualche infiltrazione russa pur avendo “messo a regime” Berlusconi. Non ci si scordi che il coinvolgimento di quest’ultimo (tramite influenza sull’Eni, di cui si cambiò il presidente Mincato con Scaroni per accelerare l’accordo con la Gazprom) è avvenuto nell’agosto del 2003 quando Putin si fermò in Sardegna dopo un importante viaggio proprio in Libia e in Algeria (continuo a pensare che l’attuale regime di tale paese si sia salvato, per vari motivi nient’affatto conosciuti, dal subire un trattamento simile a quello di Gheddafi). La Russia è oggi confinata a compiere movimenti vari, assai poco trasparenti, nell’area della Siria; e deve tenere almeno il porto di Tartus e qualche altra area d’influenza, ma il tutto “congelato” in quella zona dove si stanno svolgendo giochi a “geometria variabile” (e, lo ripeto, per nulla limpida).
Bene, tornando all’Italia, tutto questo ambaradan – complicato ulteriormente sia dalla rivalità tra Turchia ed Iran e dai problemi che si stanno creando in Europa per la questione dei migranti, da cui sembra derivare un certo rafforzamento dei settori euroscettici – esige cambiamenti notevoli nel nostro paese, in una situazione in cui il passato quarto di secolo ha condotto ad un pauroso abbassamento di ogni qualificazione politica dei partiti composti da autentici mediocri e meri opportunisti, che cambiano casacca ad una velocità supersonica. E’ ormai indispensabile, per i predominanti Usa, sostituire gli ex piciisti dimostratisi degli autentici incapaci e in fase di forte perdita di credibilità e consenso. Bisogna però dire che i nuovi settori (diciamo, per semplicità, “renziani”) sono più o meno indecenti quanto i precedenti; semplicemente hanno il 90% dei media, in mano a venduti di ogni sorta, che li incensano. Una simile copertura non è però del tutto sufficiente a dare popolarità adeguata a simili buffoni. Essi godono pure della coperta complicità di quel laido personaggio che è Berlusconi, evidente solo a chi capisce qualcosa di politica (molto pochi in verità). E i suoi “alleati” del “centrodestra”, sempre più convinti di doverlo mettere da parte, non chiariscono affatto il suo ruolo di tradimento, indebolendo così il loro comportamento e consentendo al “nano d’Arcore” di figurare come fosse lui il tradito.
Indubbiamente, per gli interessi americani si sta rivelando molto utile l’inettitudine e poca coerenza dell’opposizione in Italia. I cosiddetti pentastellati sono un ammasso abbastanza caotico di incompetenti pronti, io credo, a porsi al servizio degli Usa se questi decidessero di sfruttarli per la solita necessità di avere un paese ridotto a semplice area geografica delle loro operazioni; non solo verso Africa e Medioriente, ma pure per ostacolare i movimenti euroscettici. E anche le forze dette di centro-destra, incapaci come già detto di regolare definitivamente i conti con i forzaitalioti berlusconiani, danno l’impressione di dover rimanere sempre all’opposizione. Il vero difetto di tutti questi partiti è di essere alla disperata ricerca di voti; il culto settantennale della finta “democrazia all’americana” gioca sempre brutti tiri. Non ci si rende conto che una siffatta “democrazia” esige la presenza di forti lobbies, dotate di mezzi per strapagare media e corrompere tutto e tutti. In un paese come il nostro – in cui i gruppi di potere e gli apparati di servizio agli stessi (l’Intelligence in primo luogo) sono subordinati ad interessi predominanti (degli Usa appunto); e in cui anche i gruppi industriali e bancari, soprattutto dopo il forte indebolimento dei settori “pubblici”, giocano nello stesso senso – le lobbies, così essenziali alla “democrazia” da burletta, sono o straniere o al servizio di queste ultime. Le povere opposizioni, se semplicemente si adattano alla ricerca dei voti, non riescono ad emergere. E qualora si rafforzassero un po’, subito si formerebbero gruppi di meschini opportunisti venduti (alle lobbies in questione).
3. Un sintomo, non fra i maggiori ma significativo, di quanto sta avvenendo in Italia è il rimaneggiamento subito via via dai settori dell’economia “pubblica”. L’IRI ebbe momenti di fulgore, fin dall’inizio sotto la presidenza di Beneduce. Dopo la guerra fu rafforzata con la Finmeccanica (1948), l’Eni (1953), l’Enel (1962-63). Negli anni ’80 (notate, come “coincidenza”, che ciò avvenne dopo il caso Moro, su cui mi sono diffuso più volte spiegando a che cosa fosse molto probabilmente dovuto) si ebbe la presidenza di Prodi (“sinistra” DC), durante la quale vennero cedute 29 aziende del gruppo (fra cui l’Alfa Romeo, che andò alla Fiat), liquidate Finsider, Italsider, Italstat; si verificò inoltre il tentativo di vendita a prezzo molto basso della SME a De Benedetti, fallito per l’intervento di Craxi e che poi portò ad una vendita ad un prezzo molto, ma molto più alto. Nel ’92, l’IRI diventò una società per azioni (quindi più facilmente scalabile e vendibile) e iniziò l’epoca delle privatizzazioni con l’accordo tra Andreatta (altro Dc di “sinistra”) e Van Miert (per la Comunità europea). E’ indubbio l’influsso (e le pressioni) di detta Comunità, ma anche la Dc di “sinistra” (che viene salvata in quegli anni da “mani pulite” assieme agli ex piciisti) ci mise la sua parte; come pure l’ex Pci. Ex piciisti e diccì di “sinistra”, i “miracolati” di “mani pulite”, si unirono nel combinare tutti i disastri dell’ultimo quarto di secolo.
Voglio ancora ricordare che, quando presero un più celere avvio le privatizzazioni, l’IRI era affidato alla direzione del Tesoro, dove si trovava un “certo” Draghi”, che fu tra i “complici” di fatto della svendita della Telecom ai privati Gnutti e Colaninno con la “benedizione” del governo D’Alema. Le privatizzazioni iniziano con il Credito Italiano (’93) e poi proseguono celermente, smantellando di fatto l’IRI che chiude definitivamente nel 2002. E nel corso di questo inizio secolo, a parte qualche sprazzo (come il già ricordato accordo Eni-Gazprom, di fatto promosso da Putin e Berlusconi), si ha un continuo indebolimento delle aziende strategiche quali Eni e Finmeccanica. Ultimamente, è sembrato che finisse la smania delle privatizzazioni e che si volesse mantenere sulle imprese rimaste la mano dello Stato. In realtà, queste imprese sono state affidate ad un certo controllo (non però totale, perché comunque nella proprietà azionaria ci sono anche privati) della Cassa Depositi e Prestiti. Una simile proprietà pubblica, secondo me, serve solo a mantenere aperti certi canali di finanziamento per i settori governativi attuali. Non mi sembra si possa esercitare una effettiva direzione da parte dello Stato, cioè da parte di qualche nucleo “pubblico” dotato di capacità strategiche.
In Italia non esiste più un’industria, né privata né pubblica, in grado di supportare appunto vere strategie di carattere nazionale. Tutti i settori importanti – del tipo dell’informazione, telecomunicazioni, aerospaziale, biotecnologie o altro di rilevante – sono molto indeboliti. Si sta proseguendo con alacrità nella distruzione dell’economia del paese, con crescenti disservizi da paese assai poco avanzato, costi elevati, totale inettitudine delle forze lavoro con un minimo di preparazione specialistica (i “preparati” se ne vanno ormai sempre più a lavorare in altri paesi meno disastrati).
4. Non voglio allungare troppo il discorso con temi che ho già trattato molte volte. Ribadisco semplicemente che noi italiani non possiamo permetterci il lusso di una falsa democrazia come quella in vigore da settant’anni scopiazzando gli Stati Uniti, paese di ben altre dimensioni e potenza. Non abbiamo l’ampiezza territoriale né soprattutto la popolazione né l’avanzamento economico e tecnico – e soprattutto proprio nei settori di punta – indispensabili allo sviluppo ed esercizio di un’appropriata forza, anche bellica. Dobbiamo destreggiarci in un complesso sistema di relazioni internazionali, in una fase di tendenziale, anche se tortuoso, affermarsi del multipolarismo, che è preludio alla necessità (non vicina) di determinati “regolamenti di conti” per la conquista di una supremazia.
Una serie di condizioni esistenti all’uscita dalla seconda guerra mondiale, unitamente alla quasi cinquantennale cristallizzazione bipolare del mondo, hanno consentito la presenza in Italia, pur affidandosi a quella “democrazia”, di forze politiche al governo che, pur essendo nella sostanza strettamente legate all’alleanza atlantica (cioè di fatto subordinate agli Usa), sono riuscite ad ottenere una serie di vantaggi in termini sia economici sia di struttura sociale. E hanno saputo in certi casi mantenere una qualche autonomia di movimento in campo internazionale. Oggi non è più così; e soprattutto quel partito, che per decenni fu abbastanza vicino all’Urss, è divenuto il più piatto e vile esecutore degli ordini impartiti d’oltreatlantico, mettendo nel contempo in mostra una mediocrità tale da ridurre il paese nelle condizioni (anche culturali, per l’autentica infamia del ceto detto intellettuale) in cui, disperatamente, si trova.
Non ne usciremo mai se non saremo in grado di attuare il ben noto “stato d’eccezione”. Ogni scipita e falsa democrazia (all’americana) andrebbe sospesa per un periodo di tempo non precisabile né tanto meno programmabile in anticipo. In particolare va colpita a fondo la sedicente “sinistra” senza che d’altra parte si possa minimamente supporre nell’attuale opposizione, altrettanto ridicolmente detta di “destra”, l’esistenza delle qualità necessarie alla sua sostituzione. Finché esiste questa opposizione avremo questi governanti che s-governano, che eseguono soltanto gli ordini provenienti dalla “democrazia” americana. Occorre la lotta a questa “democrazia” ed è necessario spostare le alleanze verso paesi antagonisti degli Stati Uniti. Insomma, bisogna giostrare in una situazione internazionale che andrà facendosi sempre più complicata. E non ci si può illudere che la potenza ancor oggi preminente “lasci andare” l’Italia senza far di tutto per boicottare, e pesantemente, ogni tentativo di sua minima autonomia. Resistere a simili pressioni implica una tale durezza di comportamenti che non se ne può ottenere l’investitura tramite il voto di milioni di cittadini del tutto ignari della situazione; e con una parte cospicua d’essi che continua ottusamente, ciecamente, a credere alla “sinistra”, alla forza politica del tradimento di tutto e tutti da oltre quarant’anni.
Riprenderemo tante volte questo discorso; quindi non continuiamolo adesso.