UNA “GABBIA DI MATTI” di Giellegi

AGGIUNTO UN PS

I lefebvriani (veramente uno del nord-est) dichiarano che le camere a gas servivano a disinfettare. Gli ebrei tedeschi vogliono rompere con la Chiesa cattolica. Quelli romani o forse invece quelli israeliani (scusatemi ma non riesco più a seguire bene tutte le follie di questi tempi) pretendono il carcere per chi osi dire solo “bah” sull’Olocausto. Battisti sostiene di essere stato aiutato a scappare in Brasile dai servizi segreti francesi. Allora La Russa vuole la sospensione dell’amichevole Italia-Brasile; Frattini risponde che non se ne parla nemmeno. In effetti, non si capisce la reazione sul calcio; bisognerebbe rompere le relazioni diplomatiche con la Francia, poiché i servizi segreti sono emanazione dello Stato.

Tutto questo bailamme mentre si accavallano notizie sempre più gravi sulla crisi economica. Oggi è in primo piano il disastro dell’economia giapponese con il record di disoccupati; Sony, Toshiba in semifallimento, la Toyota che “non si sente troppo bene”, ecc. A me sembra che siamo ormai in mano ad una massa di incoscienti e totalmente incapaci (di intendere e volere). Un’autentica “gabbia di matti”. Da un pezzo vo’ favellando (lasciate “pazzià” un poco pure me) circa la crescita esponenziale del disordine man mano che ci si addentrerà nel multipolarismo. Non mi riferivo però al “disordine mentale”; in specie di governanti e politici di paesi che potrebbero essere fra i più duramente investiti dalla crisi. Ho anche scritto, nell’ultimissimo saggio, che quando il fuoco divampa, tutti i propositi di cooperazione per il bene comune vanno a farsi benedire.

Vi ricordate pochissimi mesi fa, quando la crisi era prettamente finanziaria, ma certamente devastante? Tutti a riunirsi nei G7 o 8 o nei G20 o magari solo 4. Grandi chiacchiere sui piani di salvataggio di qua e di là, e discussi in comune (poi si capiva benissimo comunque che ognuno faceva per sé). Adesso arriva la parte più hard della crisi, quella reale, e il “sciogliete le file” appare più evidente. Gli unici paesi che ragionano ancora con un minimo di serietà – ognuno per sé, per questo sono seri! – sono Usa, Russia e Cina. L’Europa fa ridere; l’Italia è una UE all’ennesima potenza. Siamo al ridicolo, ma è invece una situazione che non induce per nulla al riso. C’è un federalismo fiscale, di fatto bipartisan, di cui nessuno sa indicare nemmeno a spanne il costo; tanto meno si capisce quanto contribuirà – e proprio solo inconsapevolmente? – allo sfascio del paese nella sua unità, e dunque indipendenza, nazionale.

Le misure “anticrisi” sono poco più che elemosine; d’altra parte, sia chiaro che nessuno saprebbe indicare con quali risorse sarebbe possibile andare oltre queste. La sinistra bofonchia, dice che questo non va bene, quest’altro va fatto diversamente; tirasse però fuori una qualche idea concreta, con relativo concreto impegno di spesa (e dove trovare i “schei”)! L’unica idea è quella dei poveri residuati “comunisti”, invitati da Rifondazione a distribuire pane a basso prezzo. Se questo è un paese, e se esiste in esso qualcuno che fa politica, allora io sono una Ferrari “modificata” che sta attraversando l’Atlantico a 300 all’ora. Siamo alla più totale deriva, in mano a bande di deficienti e, forse, di “cospiratori” che puntano a pescare nel torbido, dopo aver ben rimestato i pozzetti fognari dove “si svuotano l’intestino” le nostre sedicenti “classi dirigenti”.  

Gli unici che sembrano ancora ricordarsi della crisi sono gli industriali (et pour cause); tuttavia, vogliono ben altro che elemosine, e sempre a favore dei “soliti noti”: industria automobilistica e metalmeccanica in genere. Il Marchionne, dopo la bella trovata della Chrysler – per avere i soldini di Obama – dichiara che sono a rischio 60.000 posti di lavoro in Italia se il Governo non si affretta a dare un congruo “obolo”. La Marcegaglia rilancia: ad ogni posto nell’automobile se ne affiancano cinque nell’indotto, di conseguenza ben 300.000 sono in realtà i posti in forse. Il ricatto è il solito, i sindacati si sono quindi mossi all’unisono con questi industriali parassiti sempre assistiti (dalla fine della seconda guerra mondiale; anzi già con il fascismo; anzi già con Giolitti) e che richiedono ulteriore assistenza; per poi, se ci sarà in futuro una ripresina, chiedere ancora aiuti per poterla prendere a volo, ecc. ecc., e così via “nei secoli dei secoli”. Quousque tandem – Marpionne-Marcegaglia, Monteprezzemolo-Elkann – succhierete le nostre risorse?

 

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Bisognerebbe uscire dal ricatto; ma è la stessa UE che ci mette in difficoltà. La notizia riportata qui sotto da Franco dimostra come gli organismi europei – servi degli Usa più dei singoli Stati – vogliano finanziare ampiamente la costruzione del gasdotto Nabucco che, solo “ufficialmente”, è pensato per renderci indipendenti dalla Russia; mentre è un chiaro progetto, politico, degli Usa (in combutta con i paesi europei orientali fortemente antirussi e filoamericani) per indebolire o ritardare l’ascesa del polo Russia. L’Italia, con l’Eni, è più che ben sistemata con la Gazprom per la costruzione dell’alternativo Southstream, che sarebbe pronto anche prima del Nabucco e vedrebbe accordi proficui con le omologhe compagnie libica e algerina; quindi con area di smercio, non certo scevra di influenza più generale, che parte dal Caucaso, si dirama verso l’Europa est e sud e arriva in parte dell’Africa o comunque del mondo arabo (quello meno legato all’Arabia Saudita e ai paesi filoamericani e filoisraeliani dell’area).

Che si tratti di Nabucco o di Southstream, non siamo in presenza di “energie alternative” né di settori tecnologici legati alle più avanzate innovazioni di prodotto, alla schumpeteriana distruzione creatrice. Il problema non è economico né tecnologico secondo la mentalità deviante degli economisti ed “esperti” dei (pre)dominanti (servi degli Usa) e di quella dei poveri “marxisti”. Il problema è squisitamente politico, di crescita di nuovi poli antagonisti dei (pre)dominanti; il Southstream è una possibile base di rafforzamento della nostra indipendenza, consentendo di stabilire ottimi contatti con uno di questi nuovi poli e con i paesi della nostra area mediterranea, disponibili a sottrarsi all’influenza statunitense (non parliamo nemmeno di Israele).

Nella prossima fase della crisi – che tutto lascia presagire assai poco piacevole – bisognerà seguire con la massima attenzione l’evolversi della nostra politica in merito alla questione appena precisata: qui si vedrà chi farà un gioco progressivo o fortemente reazionario, chi funzionerà da accumulatore o invece da dilapidatore delle nostre sempre più scarse risorse. Anche i dati ufficiali ci danno in de-sviluppo sia per il 2009 che per il 2010. Si tratta di decidere se dovrà trattarsi di semplice decrescita (quantitativa, legata agli indici economici) o di autentico sviluppo negativo (caos e destrutturazione sociale all’interno e ulteriore perdita di influenza della nostra formazione particolare nell’ambito di quella mondiale). Come accade in campo militare, un esercito può a volte anche arretrare e ciononostante migliorare la propria posizione strategica. Con l’establishment economico (produttivo-finanziario) che ci ritroviamo (la GFeID) e con un ceto che definire politico è frutto di grande fantasia (non parliamo di quello giornalistico e intellettuale), le speranze non sono molte. Tutto comunque ruota – e non per la prima volta nella nostra storia – attorno all’Eni; in tal caso con forte attenzione ai rapporti con la Russia.

Esiste in Italia, non è la prima volta che lo dico, un blocco di potere – non un vero blocco sociale – di tipo “concertativo” (ed ora neoconcertativo) che, nella nostra specifica situazione, si aggruma intorno alla finanza succube di quella dei (pre)dominanti, all’industria tipo Fiat, alle “burocrazie” (termine non proprio esatto, ma ci siamo intesi) sindacali. Tale blocco va denunciato continuamente. Anche i lavoratori, che non siano gregge di questi sindacati conservatori, vanno sollecitati a muoversi, per alcuni anni, nella direzione del “centro di potere” cui abbiamo accennato, quello che potrebbe costituire la nostra chance di sviluppo positivo contro le mene della UE, della Banca Europea: insomma, in ultima analisi, contro il Nabucco, a favore invece dell’“altro progetto”.

E’ “simpatico” (detto ironicamente) vedere tutti scaldarsi contro i banchieri americani, immorali, che si prendono il bonus anche dopo averci condotto al disastro. Dal nostro Tremonti fino al più “potente” Obama, tutti a tuonare per il ritorno all’etica dei veri capitalisti, degli “affari corretti”. Non ho alcuna intenzione di difendere questi signori; però, a parte i bonus, la crisi non è stata causata solo dalla loro proterva fame di proventi più o meno illeciti. Nemmeno mi limiterò a ricordare l’ineluttabilità della crisi per il sistema (che pure non è invenzione del “cattivo” Marx). Dico solo che crearsi un “buon capro espiatorio” non risolverà il caos che sta nascendo e incrementandosi. E sostengo inoltre che certa industria (di cui quella automobilistica è buona rappresentante) “succhia sangue” alla popolazione mondiale ancor più di tutti i manager finanziari statunitensi.

Poche balle, quindi, cari signori! In Italia, intanto, bisognerebbe resistere ai ricatti, mettere in opera un sistema minimale (perché non credo ai miracoli) di “ammortizzatori sociali”, in particolare per la disoccupazione e il precariato, senza fornire sostegni indebiti all’industria decotta e alla finanza asservita. Non è ancora possibile ottenere questo; occorrerebbe una forza politica diversa, di carattere nazionale, durissima contro i parassiti e i loro complici politico-ideologici. Una forza che trattasse per carità con gentilezza Obama, ma chiarendogli che gli interessi americani stanno fuori dalla nostra porta di casa. Lui fa il “furbetto”, l’aperto, ecc. Ma si può essere sicuri che dietro il progetto Nabucco, e l’appoggio che vogliono dargli gli organismi europei (a nostro detrimento), ci sta la nuova amministrazione americana con la stessa determinazione della vecchia (solo con la “faccia buona”; per il momento, se non la si contraddice). Non solo questi Yankees ci fregano, ma dovremmo anche ringraziarli perché ci consentono di “affrancarci” dal gas russo. E’ come darci una tazza di the, portandoci via i cucchiaini d’argento del “servizio buono”.

In campana!  

P.S.

A conferma di quanto detto da La Grassa, riportiamo questa ulteriore notizia che dimostra l’impazzimento generale in questa fase storica.

I francesi hanno richiamato il proprio ambasciatore in Israele perchè l’esercito "democratico" dell’unica democrazia Medio-Orientale ha sparato in aria mentre un diplomatico d’oltralpe tentava di raggiungere Gerusalemme. C’è qualcuno che è ancora capace di avere qualche sussulto di dignità, mentre in  Italia si tenta di fermare un’amichevole di calcio come atto di ritorsione per il caso Battisti. Da vomitare…

SPARI IN ARIA AL VALICO, FRANCIA RICHIAMA AMBASCIATORE. La Francia ha richiamato l’ambasciatore in Israele per protestare contro gli spari in aria esplosi dai soldati israeliani che hanno fermato un diplomatico francese a un valico con la Striscia di Gaza. Lo ha reso noto il ministero degli Esteri di Parigi. Secondo il portavoce del ministero, Eric Chevallier, il convoglio, proveniente dalla Striscia di Gaza e diretto a Gerusalemme, e’ stato rimasto bloccato al valico di Erez per sei ore. A bordo si trovava il console generale francese. Stando a Chevallier, i militari israeliani hanno sparato due colpi in aria in segno di avvertimento (fonte: affaritaliani.it)