UNA GUERRA SENZA VIA D’USCITA
Altri due italiani finiti al creatore in una guerra senza più prospettive di vittoria né vie d’uscita dignitose, ed i nostri politici continuano a parlare di missione fondamentale. Altri due soldati morti in terra straniera per un conflitto che non mette a rischio il mondo ma esclusivamente una certa visione “escatologica” dei destini dell’umanità di cui sono portatori gli Statunitensi, il popolo eletto da Dio sul quale si sarebbe dovuto imperniare il nuovo secolo post guerra fredda.
C’è poi qualcuno che è stato profetico sui mezzi forniti agli italiani per difendere le proprie posizioni sul terreno afghano nonché spostarsi sui vari scenari di guerra in tutta sicurezza. Il veicolo tattico “Lince”, presentato agli occhi del mondo come un gioiello tecnologico, caratterizzato da agilità e resistenza, non si rivela adeguato allo scopo e si lascia dietro, oltre ai morti negli attentati con ordigni nascosti sulle vie di passaggio, “uno strascico di contusi, traumatizzati, feriti…E succede ogni volta che esplode anche la più modesta carica di esplosivo fatta brillare empiricamente al centro “carreggiata” od interrata ai bordi della viabilità (G. Chetoni http://byebyeunclesam.wordpress.com/2009/08/18/gli-effetti-lince-in-afghanistan/ ).
Stranamente, come ha detto il Generale Mini su Repubblica, prima ancora del cordoglio per le famiglie dei soldati e la preoccupazione per lo stato dei feriti, le reazioni della nostra classe politica, con la sola eccezione del Ministro Calderoli, sono state per la riaffermazione delle ragioni della presenza italiana in quel paese lontano e per il mantenimento degli impegni assunti con la Nato. Peccato però che dall’ “indispensabile” parte giocata dall’Italia in questo conflitto e anche da quella degli altri alleati della coalizione non discenda una reale condivisione della strategia complessiva e delle decisioni da prendere di volta in volta, tutte questioni che vengono stabilite dal comando Centrale Usa e dalle teste d’uovo di Washington. Cambi ai vertici militari, obiettivi strategici e tattici, surge, abbassamento dell’intensità delle operazioni, ritirate, ecc.ecc. quanti di questi momenti sono stati affrontati con collegialità e spirito di condivisione delle scelte dagli americani? E’ vero che loro hanno più uomini lì ma è altrettanto vero che questa è la loro guerra e che la stanno perdendo.
La natura di questo intervento si è trasfigurata, si è metamorfosata sotto gli occhi dell’alleanza occidentale, in seguito ai numerosi fallimenti sul campo e agli stessi obiettivi iniziali, troppo ambiziosi e irrealistici per poter essere raggiunti. Ora si tratta, sempre come afferma il Generale Mini, di stabilizzare “un contesto di guerra aperta tra una parte sempre più aggressiva di afghani e le forze internazionali”. Si chiarisca almeno questo aspetto per non mettere in difficoltà i nostri soldati e la si smetta di parlare di azione umanitaria e di missione di pace, come fanno impunemente gli esponenti del governo italiano e i pacifinti di centro-sinistra (i quali hanno contribuito con la loro codardia e il loro servilismo filo-Usa a farci entrare nel pantano afghano). Nel 2002, quando la missione dell'Isaf ha avuto inizio, forse non si poteva fare a meno di seguire gli americani, oggi il contesto internazionale è cambiato e sono cambiati gli equilibri mondiali che consentono di pesare diversamente la propria collocazione storica e geopolitica. In questa fase, ed in presenza di una grave crisi economica, si può anche dire di no e ricontrattare la propria disponibilità senza perdere la faccia. Ci si muova su questa strada.