Una piccola Guerra Fredda: Russia, Europa e Stati Uniti
di George Friedman
[Traduzione di Francesco D’Eugenio da: Una piccola Guerra Fredda: Russia, Europa e Stati Uniti -Stratfor]
Stratfor ha raccontato ciò che chiamiamo la fine del mondo post-Guerra Fredda, un mondo che riposava su tre pilastri: gli Stati Uniti, l’Europa e la Cina. Negli ultimi anni due di questi tre hanno mutato atteggiamento. Abbiamo già discusso la fine dell’espansione cinese basata su tassi di crescita alti e salari bassi. Abbiamo altresì raccontato la profonda crisi istituzionale europea, risultato dei suoi problemi economici. Abbiamo parlato di alcuni dei potenziali successori della Cina. Quel che rimane da valutare è il sistema che emergerà dal mondo post-Guerra Fredda, e a tal fine occorre studiare i cambiamenti nel comportamento della Russia.
Caos in Russia
La Russia ha attraversato due fasi nel mondo post-Guerra Fredda. La prima è stata la fase di caos che ha inevitabilmente seguito il collasso dell’Unione Sovietica. A volte il caos viene confuso con il liberismo e molti pensano che la Russia fosse un paese liberista nel decennio successivo all’Unione Sovietica. Ma la Russia di Boris Yeltsin non era tanto liberista quanto caotica, con un programma di privatizzazioni che arricchì quelli in grado di organizzarsi rapidamente per avvantaggiarsi dei procedimenti poco chiari, con una società civile priva di forma e consistenza e un Occidente compiaciuto della caduta del potere sovietico e illuso che la Russia avrebbe rimodellato se stessa in una democrazia costituzionale di stampo occidentale.
La seconda fase è stata una reazione alla prima. Il disastro di Yeltsin non poteva continuare. Per lo più la Russia aveva cessato di funzionare. L’unica struttura che era sopravvissuta all’Unione Sovietica ed era ancora in funzione erano i servizi di sicurezza — e persino questi furono gravemente danneggiati dalle attività di Yeltsin. I servizi di sicurezza avevano tenuto insieme il paese e allo stesso tempo avevano partecipato all’accumulazione di ricchezze tramite il processo di privatizzazione. Nel fare ciò non solo conservarono, ma addirittura accrebbero enormemente il potere rispetto ai tempi dell’Unione Sovietica. Contemporaneamente era emersa una nuova classe di oligarchi, e i due gruppi oscillavano tra la competizione e la cooperazione.
La Russia non poteva continuare così. Stava scivolando verso una povertà straordinaria, peggiore che nell’Unione Sovietica; c’erano regioni che cercavano di separarsi dalla Federazione Russa; ed aveva poco o nessun credito internazionale.
Gli Stati Uniti e la NATO intrapresero una guerra in Kosovo, totalmente indifferenti verso le proteste russe. La Russia si oppose alla guerra sia perché la Serbia era un suo alleato, sia perché uno dei principi dell’Europa a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale era che non vi sarebbero stati cambiamenti dei confini. Era un principio consacrato, perché all’origine della guerra c’erano state dispute sui confini. La volontà della Russia fu ignorata.
La Serbia non cadde immediatamente sotto l’attacco aereo e la guerra prese ad andare per le lunghe, ai Russi fu chiesto di mediarne la fine. In cambio fu loro promesso un ruolo importante nella gestione post-bellica del Kosovo. Non fu così; il futuro del Kosovo divenne un problema dei decisori europei e americani.
L’influenza internazionale non è qualcosa che viene dal cielo. Un paese è influente per via della sua potenza, perché ignorarne le richieste comporterebbe conseguenze inaccettabili. Nel 1999 la Russia aveva raggiunto il punto più basso nella propria influenza internazionale.
Putin e il ritorno della Russia
Era logico che dal caos degli anni ’90 sarebbe emerso un uomo come Vladimir Putin. Putin era profondamente intrecciato con il KGB e il vecchio apparato di sicurezza. Durante la sua permanenza a San Pietroburgo Putin incontrò gli oligarchi emergenti e la nuova generazione di riformatori economici. Putin capì che per far risorgere la Russia dovevano succedere due cose. Primo, si dovevano minacciare gli oligarchi per farli allineare al Governo Russo. Era troppo debitore nei loro confronti per cercare di sbarazzarsene – sebbene lo fece in uno o due casi — ma non doveva loro così tanto da essere costretto a tollerare il saccheggio continuato della Russia.
Putin capì inoltre che per ragioni sia interne che estere avrebbe dovuto portare un minimo di ordine nell’economia. La Russia aveva riserve energetiche enormi, ma era incapace di competere sui mercati mondiali nell’industria e nei servizi. Così Putin si concentrò sull’unico vantaggio che la Russia aveva: l’energia e altri beni primari. Per fare questo dovette assicurarsi un certo grado di controllo sull’economia — non così tanto da riportare la Russia verso un modello sovietico, ma abbastanza da lasciarsi indietro il modello liberale che la Russia credeva di avere. O, messa diversamente, abbastanza da lasciarsi il caos alle spalle. Il suo strumento fu Gazprom, una compagnia a maggioranza statale la cui missione era di sfruttare l’energia russa per stabilizzare il paese e creare una base per lo sviluppo. Contemporaneamente, mentre disfaceva il liberismo economico, Putin impose controlli sul liberalismo politico, limitando i diritti politici.
Questo processo non avvenne da un giorno all’altro. Fu qualcosa che si evolvette in oltre un decennio, ma il risultato finale fu una Russia che non solo era stabilizzata economicamente, ma aveva riacquistato l’influenza internazionale. Secondo Putin, le conseguenze negative per le libertà politiche e personali non erano un prezzo elevato da pagare. Dal suo punto di vista, le libertà degli anni ’90 avevano danneggiato enormemente la Russia. Putin voleva creare una piattaforma stabile perché la Russia potesse proteggere se stessa nel mondo. Il terrore della disintegrazione, fomentato nella sua mente dalle potenze occidentali, doveva essere rovesciato. E la Russia non avrebbe potuto essere semplicemente ignorata nel sistema internazionale a meno che non fosse disposta a continuare nel ruolo della vittima.
La produzione di energia creò una base economica che il governo utilizzò per arrestare l’erosione della vita economica del paese. Diede inoltre alla Russia una carta che assicurò che non venisse più ignorata. La vendita di energia in Europa divenne una parte fondamentale della vita economica europea. La Germania, ad esempio, aveva bisogno di energia per sostenere la sua economia. C’era sempre la possibilità che la Russia bloccasse le vendite. In diverse occasioni, quando sorsero disaccordi tra Mosca e gli stati di transito, Bielorussia e Ucraina, il flusso di energia fu arrestato. Mentre i Russi sviluppavano riserve ancora maggiori, sopportare un’interruzione di un mese divenne più facile per loro che non per la Germania.
Per questo la Germania e il resto d’Europa cessarono di essere indifferenti verso le aspirazioni russe. Non potevano permettersi di ignorare gli interessi della Russia. Durante la Guerra Fredda, la Russia era stata povera ma potente. Dopo la Guerra Fredda era diventata ancora più povera e senza potere. Putin la restituì a una posizione migliore, dove godeva di un certo potere internazionale. Il fatto che i diritti individuali gli fossero del tutto indifferenti indispettì i liberali di città in Russia. Ma questo effetto è meno evidente all’esterno di Mosca e di San Pietroburgo, e la sua popolarità continua ad essere maggiore fuori dalle città principali.
Lo sviluppo di una strategia russa
Mentre l’Europa lotta contro i suoi problemi interni e la Cina si occupa dei propri problemi economici, la Russia ha conquistato una posizione di influenza regionale significativa — un’influenza che Putin sta cercando sistematicamente di aumentare. Putin ha adottato una politica che potremmo definire di “espansionismo commerciale”. I carri armati russi non stanno per dilagare negli ex satelliti sovietici dell’Europa come hanno fatto in Georgia, ma la debolezza dell’Europa ha costretto tali paesi a contare di meno sul resto d’Europa e cercare di tirare avanti da soli. Pur non potendo contare sugli Stati Uniti, dove il semplice problema dello scudo antimissile ha generato grande disagio, essi restano estremamente diffidenti verso la Russia. Tuttavia restano loro diverse opzioni, e i Russi stanno molto attenti a che i rapporti commerciali non vengano visti come strumenti di controllo politico.
Gli interessi russi si adoperano per aumentare le loro proprietà nel campo energetico e in una gamma di altre industrie. A causa della debolezza dovuta alla crisi europea, dappertutto vengono silenziosamente firmati accordi per joint ventures, acquisti e vendite. La maggior parte sono di piccola entità, ma sono le piccole relazioni che stanno legando le economie dell’Europa Orientale agli interessi russi. Per come la Russia gestisce la propria economia, anche le piccole imprese devono allinearsi alla strategia generale, e la strategia generale è che gli accordi debbano essere finanziariamente proficui, ma uno dei risultati è l’aumento dell’influenza russa.
Tutto ciò non si limita agli ex satelliti. Le ditte russe, con le tasche piene dei soldi dell’energia, hanno flirtato e concluso accordi nella travagliata Europa. La strategia è che i rapporti commerciali genereranno una pressione interna perché si eviti un confronto con la Russia su problemi politici, influenzando gli affari esteri.
Questa strategia introduce una nuova dinamica nelle relazioni russe con gli Stati Uniti. Durante gli anni dell’Unione Sovietica e sotto Putin, la strategia russa verso gli Stati Uniti è stata quella di creare problemi in svariate zone, per forzare un intervento USA che disperdesse la potenza americana e conducesse Washington ad impegnarsi troppo. Il Vietnam ne fu un esempio. Per Putin, la sfera di quest’azione è il Medio Oriente. Le guerre in Afghanistan ed Iraq sono state dei regali per i Russi. Gli Americani si sono impantanati, creando una finestra di opportunità perché i Russi riacquistassero l’equilibrio, ricostruissero il loro sistema e, quando l’opportunità si fosse presentata, espandessero il loro potere.
La fine delle guerre in Afghanistan e in Iraq non sono nell’interesse della Russia. Mosca beneficia, seppur con qualche costo, delle preoccupazioni USA nel mondo islamico. Perciò i Russi hanno recitato una parte sia in Siria che in Iran, essenzialmente spingendo gli Americani a continuare la loro politica in Medio Oriente e allentando la pressione sui Russi. Gli Stati Uniti hanno risposto aumentando la pressione sulla Russia affinché cessasse di appoggiare Bashar al Assad e gli Iraniani. I Russi hanno rifiutato.
La nuova Guerra Fredda
Facendo un passo indietro, si vedono gli Stati Uniti impegnati nel processo di sganciamento che di solito segue le guerre americane. Questo disimpegno sta avendo luogo mentre l’Europa attraversa una crisi economica interna che ha innescato una crisi istituzionale. Tutto ciò ha creato per i Russi delle possibilità di aumentare la propria influenza in Europa, laddove gli Stati Uniti stanno cercando di trovare un equilibrio. I Russi contribuiscono a mantenere situazioni di potenziale crisi in Medio Oriente, tali che gli Americani potrebbero essere tentati di lasciarsi coinvolgere. I Russi stanno inoltre riattivando ed espandendo una rete di rapporti con i regimi dell’America Latina. C’è un antiamericanismo di lunga data in America Latina, che identifica l’antiamericanismo con la sinistra politica. Oggigiorno non possiamo certo definire i Russi come ideologicamente di sinistra; sono nazionalisti. Ma per i Russi la capacità di creare tensioni tra Venezuela, Ecuador e Bolivia e gli Stati Uniti costa poco e presenta potenziali benefici.
L’ affare Snowden dovrebbe essere analizzato in questa prospettiva. Il caso Snowden coinvolge molti aspetti, dai problemi costituzionali degli USA agli obblighi verso chi ha delle autorizzazioni. Ma l’affare Snowden ha anche un altro aspetto: un americano con accesso a materiale segreto si è rifugiato in Russia. Gli Americani lo vogliono indietro. Dieci o 15 anni fa avrebbe potuto essere restituito, ma non oggi. Se i Russi lo avessero rimpatriato, tutti i potenziali disertori americani potrebbero decidere di non credere alla Russia. Se un equivalente russo si fosse rifugiato negli Stati Uniti, è improbabile che sarebbe stato rimpatriato per essere processato. Ma la diserzione sarebbe stata molto più sottotono, perché tanto meno i Russi ne avrebbero saputo, tanto meglio. Per ragioni che vanno forse oltre il loro controllo, o forse no, questa diserzione non può essere nascosta.
Ma ciò ha servito due scopi. Prima di tutto, ha creato una crisi politica negli Stati Uniti e tra gli Stati Uniti e i suoi alleati. Secondo, allinea la Russia con quei gruppi per la difesa dei diritti umani che (sia all’estero che all’interno della Russia stessa) hanno condannato la Russia per violazioni dei diritti umani. La Russia ha creato una situazione di equivalenza con gli Stati Uniti sul piano dei diritti umani, cosa utile nella guerra politica con gli Stati Uniti. Su questo piano l’affare Snowden è un problema minore. Ma oggi come oggi non ci sono opportunità troppo piccole per non essere sfruttate.
Non c’è pericolo di un confronto militare oggi e forse mai. Ma i Russi stanno usando la crisi economica europea e le tensioni tra Europei ed Americani per proiettare il proprio potere — commerciale, in questo caso — in Europa, per separare per quanto possibile gli Europei dagli Americani e per mettere gli Stati Uniti sulla difensiva.
Dal loro punto di vista i Russi non stanno seguendo una politica aggressiva. Nel 1991 hanno subito un gravissimo rovescio, che gli Stati Uniti in particolare hanno sfruttato in ogni modo possibile, dal Kosovo all’Ucraina al Baltico. Per un certo tempo sembrò che gli Americani ce l’avrebbero fatta a frammentare permanentemente la Russia. Se non fosse stato per l’11 settembre avrebbero potuto farcela. La Russia crede di stare costruendo per sé una sfera di sicurezza per proteggersi ed affermare i suoi interessi in qualità di potenza mondiale.
Gli Stati Uniti non hanno ancora delineato una linea politica nei confronti della Russia. Continuano a osservare il comportamento russo nel contesto di azioni isolate che non costituiscono un tutto coerente. Siria, Iran, Europa Orientale ed Ecuador vengono visti come provocazioni russe, non come elementi di una strategia. Ma si tratta di una strategia — la strategia di trovare i mezzi per impegnare e deviare l’attenzione degli Stati Uniti mentre la Russia crea una nuova realtà alla sua periferia e specialmente in Europa.
Gli Stati Uniti possono permettersi un po’ di confusione. Sono una grande potenza con tempi di reazione enormi. La Russia è in fondo una potenza debole. I suoi vantaggi nell’energia dipendono dal prezzo dell’energia e dallo sviluppo di fonti alternative e di clienti. La riaffermazione della Russia riposa su fondamenta debolissime e dubito che potranno sostenere il loro gioco. L’Unione Sovietica era sotto ogni aspetto più forte della Russia di oggi, e non riuscì a tenersi in piedi. E non ci riuscirà neanche la Russia.
Ma per ora, ha un gioco forte. Quel che fanno le sinistre latino americane importa poco. E gli Stati Uniti non si faranno risucchiare dentro il in Medio Oriente; due guerre sono abbastanza. Ma ciò che i Russi stanno facendo in Europa Orientale potrebbe cambiare l’Europa abbastanza da sfidare gli interessi americani. E’ difficile ignorare ciò. E’ anche difficile non reagire. Il problema americano è questo. Per ora, gli Stati Uniti non hanno una buona mossa da fare.
Questa è una delle ragioni per cui il Presidente Barack Obama sta valutando di cancellare il summit di settembre con Putin. Snowden è allo stesso tempo un pretesto e una delle cause, ma non si tratta solo di questo. Gli Stati Uniti stanno cominciando ad accettare il fatto che la Russia sia un avversario capace di condurre una strategia ben congegnata ed efficace, entro i limiti delle proprie possibilità, una strategia per la quale gli USA non hanno ben chiara la risposta. L’ultimo summit non conseguì alcun risultato, e questo finirebbe allo stesso modo.
Ne I prossimi 100 anni ho delineato una sequenza nella quale l’Europa e la Cina si sarebbero indebolite. Ho spiegato che la potenza che sarebbe emersa da questa debolezza sarebbe stata la Russia, che la Russia sarebbe finita in una piccola Guerra Fredda con gli Stati Uniti e che la Russia non ha la capacità di sostenersi per una generazione. Ma in questo scenario ho visto comunque il più plausibile successore al mondo post-Guerra Fredda. Penso che ormai ci siamo. Non siamo alla Guerra Fredda, ma questo è un po’ di più che uno spiffero passeggero. E diventerà un elemento centrale del sistema internazionale.