UNA “REVOLVING” PUNTATA ALLA TEMPIA di G.P.

Le carte di credito revolving sono un’altra di quelle trovate finanziarie che, sotto forma di agevolazione al credito, spillano quattrini alla gente, imponendo rimborsi a tassi usurai che sfiorano il 26%. Questa è l’ultima frontiera del debito che arriva sino a noi dagli Usa, patria della finanza spericolata e dei subprime (i mutui concessi agli insolventi) alla base di un recente terremoto che sta facendo traballare l’economia mondiale. Ma come funziona la carta revolving e a quali presunti vantaggi assolve? Questa carta di credito opera secondo il principio di tutte le altre ma permette, in più, di accedere ad una linea di credito il cui ammontare è stabilito dall’istituto finanziario emittente dopo una valutazione di solvibilità(?) del cliente. L’Istituto può concedere un importo disponibile che, per il momento, va dai 3 ai 10 mila euro, senza limiti di tempo. Ovvero, mano a mano che si procede al rimborso mensile di quanto speso la carta torna magicamente a rimpinguarsi fino alla cifra massima preventivamente accordata. Il titolare della carta può effettuare acquisti di beni e servizi nell’ambito del circuito degli esercizi che accettano pagamenti con carta di credito o può, addirittura, prelevare direttamente in contanti (utilizzando la carta come un bancomat) ciò che gli serve. Per i rimborsi, che come abbiamo detto sono molti vicini a tassi usurai, istituto emittente e debitore si accordano su rate minime mensili che il cliente, tuttavia, può decidere di rimodulare in alto o in basso, fermo restando il fatto che gli interessi maturati nel mese di riferimento vanno comunque pagati per intero.

Il “macchiavello”, in questo caso, sta nel fatto che la linea di credito accesa dal cliente è a tempo indeterminato per cui pagando le rate si ricostituisce la somma iniziale e si genera nuovamente la possibilità di accedere ad altri impieghi. Messa in questi termini la cosa può sembrare un affare (non a caso l’utilizzo di carte revolving ha avuto in Italia un’impennata dell’11% nell’ultimo anno) ma se andiamo a verificare bene ciò che accade nella realtà, come al solito, scopriamo che chi ci guadagna sono solo le banche. Come si diceva all’inizio, innanzitutto, va attentamente valutato il livello del tasso d’interesse applicato. Il Taeg (interesse effettivo) è in media del 19,30% con punte del 25% (Barclaycard, for example).

Generalmente, chi si serve di detto servizio sono i consumatori appartenenti ad una fascia medio-bassa che stanno pagando il mutuo della casa o la rata della macchina ed ai quali può far comodo coprire le spese della “quarta settimana” con denaro che non hanno e che possono rimborsare il mese successivo a rate. Ma che cosa accade se per un motivo o per un altro non si riesce a pagare le rate? (perché, putacaso, la ditta dove lavori chiude o perdi il lavoro per qualsiasi altra causa).

Semplice si accende un’altra carta revolving, presso un altro Istituto, e si tappa la prima falla dischiudendone una seconda. Alla fine ci si ritrova invischiati in un meccanismo che autoalimentandosi ti mangia il patrimonio.

Questa è la situazione nella quale sono sprofondati molti consumatori americani e inglesi. Come si legge su “Il Giornale” di ieri, in un articolo firmato da Renzo Foa, i risultati dell’utilizzo di queste carte sono preoccupanti: “oggi le famiglie britanniche hanno un “rosso” da revolving pari a 71 mld di euro, quelli statunitensi pari a 627 mld di euro”. Mediamente, un americano, per appena galleggiare sulla sua situazione finanziaria, è costretto a tappare i “fori” da revolving traslando il debito da una carta all’altra e c’è chi arriva a possederne fino a 5 di queste carte.

Ma come è possibile arrivare a tal punto? E’ presto detto, le banche quando si tratta di meccanismi “creativi” (che generano profitti solo per esse) diventano di una leggerezza disarmante, infatti, sono poche quelle che danno avvio a controlli incrociati per verificare la reale solvibilità dei clienti. La ratio è la stessa dei mutui subprime, poichè, nonostante la possibilità del rientro del credito non sia assicurata dalla condizione finanziaria e patrimoniale del cliente, basta alzare i tassi d’interesse per ottenerne un profitto immediato e  poi, se proprio le cose dovessero precipitare, ci penserà la “mano invisibile” del mercato (sotto forma di iniezioni di liquidità da parte delle banche centrali) a far tornare tutto in equilibrio.

L’Adusbef descrive un quadro globale poco rassicurante tanto che si parla di carte revolving che si mangiano interi stipendi e pensioni, ben oltre la cessione del quinto del reddito come massimo esborso stabilito dalla legge.

In questo scherzetto ci è cascata persino mia nonna (in maniera inconsapevole) in quanto è stata spinta da un centro commerciale, dove aveva acquistato alcuni mobili a rate, ad attivare la carta per pagare “con maggiore comodità”, o almeno così le era stata prospettata la cosa. Naturalmente, capito l’inganno, abbiamo rispedito al mittente la stessa ma dovendo saldare, in ogni caso, gli interessi sulla cifra inizialmente utilizzata.

Da questa descrizione si capisce che la revolving è un vero e proprio boomerang, anzi no, e il solito revolver che le banche ti puntano alla tempia per toglierti persino le mutande.

A GIAVAZZI PIACE “PICCOLO” di M. Tozzato

Nel suo editoriale sul Corriere del 29.10.2007 il prof. Giavazzi sembra porre alcuni problemi e temi, riguardanti il funzionamento economico del nostro sistema-paese, in maniera abbastanza seria, ma da corifeo e complice qual è  di quella che chiamiamo GFeID , in realtà si limita a tener bordone al “grande LCdM” e ai suoi sodali. L’inizio dell’articolo cita come esempio da apprezzare il caso del Cotonificio Albini, nel bergamasco, che un paio di anni fa di fronte a gravi difficoltà nell’export verso le consuete aree di vendita ebbe il coraggio e la forza, anziché arrendersi o puntare sulla delocalizzazione, di trasformarsi. Riuscì così a concentrare le risorse per dare vita a <<una nuova organizzazione del lavoro con un uso intenso di tecnologia, un nuovo stabilimento (in Puglia, non in Cina), nuovi disegni>> e per implementare <<gli acquisti verso l’area del dollaro>> e le <<vendite verso la Russia, l’Oriente, l’America Latina, i paesi che crescono di più.>> Giavazzi poi elenca altre piccole e medie imprese che sono riuscite a divenire competitive nei settori più innovativi e nelle tecnologie avanzate: dai nano-computer alla <<tecnologia dei cristalli ottici e dei sistemi che operano sotto vuoto o in atmosfere di gas puro>>, dalle macchine rettificatrici ad alta precisione alle biotecnologie e alla farmacologia per l’oncologia e le malattie rare. Esisterebbe così (ne darebbe conto anche uno studio recente di Bankitalia ) un tessuto di piccole e medie imprese che, anche grazie alla scrematura, con relativa uscita dal mercato di diverse aziende marginali, avrebbero ottenuto risultati considerevoli dopo aver <<investito , soprattutto a monte (in ricerca e sviluppo e in nuovi prodotti) e a valle (marchi, distribuzione in mercati lontani).>> Ma il prof. Giavazzi nel bel mezzo dell’articolo si lascia sfuggire una frase rivelatrice:<<Non esiste solo la Fiat, che pure ha compiuto una svolta straordinaria [corsivo mio. n.d.r.].>> La Grassa e Petrosillo hanno, anche negli ultimi giorni, commentato in maniera estesa “la questione Fiat”; da parte mia posso solo aggiungere che questo presunto slancio innovativo e di investimenti nei campi tecnologicamente più avanzati nel momento stesso in cui viene collegato alle formule magiche del “mago Marpionne” e ai presunti successi della “grande sanguisuga” di Torino diviene improvvisamente poco credibile. Le piccole e medie imprese italiane sono state in grado, e non solo da ieri, di ritagliarsi una posizione in grado di sfruttare le “nicchie” che il mercato offre a volte anche “dentro” settori “di punta”. L’essenziale però è che le quote di mercato acquisite in questi settori decisivi sono sostanzialmente molto piccole: si tratta di innovazioni di prodotto “complementari”, strategicamente secondarie e quindi adeguate alla prospettiva di una piccola-mediopiccola impresa.  Cercando di confondere le acque il famoso economista prova a tessere un elogio di questo ceto piccolo imprenditoriale così lontano, nelle sue “virtù”, <<dai politici>> ma <<anche da imprenditori più famosi, grandi banchieri e monopolisti di telefoni ed energia che non sanno cosa sia la concorrenza internazionale e si sostengono a vicenda incrociando le partecipazioni azionarie.>> E così fingendo anche qualche blando rimprovero ai propri padroni l’esimio professore nell’esaltare il mondo dei piccoli imprenditori come il solo in cui si sappia davvero cosa vuol dire <<talento, eccellenza, merito, concorrenza, che cosa vuol dire saper decidere e rischiare>> conclude rivolgendosi speranzoso al “nuovo” leader del “nuovo” Partito Democratico, Walter Veltroni. Si appella, quindi,  proprio al partito voluto dalla grande finanza e da Confindustria, costituito in tempi abbastanza rapidi e senza pensare ai consensi elettorali immediati – che nel breve periodo potrebbero anche non essere rilevanti – perché il progetto è quello, anche attraverso alcuni passaggi intermedi, di farne il perno di un sistema politico prono ai voleri statunitensi e funzionale ad un Europa sottomessa agli USA e pronta a sostenerla in un futuro quadro di conflittualità policentrica.

                     

01.11.2007