Uscire dall’euro e dall’Europa ad ogni costo di L. Polastri
Riceviamo e pubblichiamo
L’unione europea copierà, il 9 maggio di quest’anno, 64 anni di vita. Questa data non è entrata nel cuore di nessuno. E’ invece un anniversario che ricorda a tutti ( Germania compresa) il fallimento del piano che i padri ispiratori, J. Monet e R. Schuman in primis, avevano ideato alla fine del secondo conflitto mondiale. Entrambi vicini al mondo delle banche ( J. Monnet diventerà banchiere), francesi, auspicavano un controllo congiunto della produzione del carbone e dell’acciaio, i principali materiali per l’industria bellica. L’idea di fondo era che, non avendo il controllo sulla produzione di carbone e ferro, nessun paese sarebbe stato in grado di combattere una guerra. I paesi che aderivano a questo piano di reciproco controllo avrebbero dovuto abdicare alla gestione delle materie prime. L’unione europea nasceva pertanto non come idea di libertà economica ma come costrizione a controlli reciproci, sulla diffidenza di uno stato nei riguardi dell’altro. Secondo P-H Spaak, belga, anche lui uno dei padri fondatori dell’unione europea, unire gli Stati per mezzo di obblighi vincolanti derivanti da un trattato, costituiva il mezzo più efficace per garantire pace e stabilità.
Al di là dei successivi trattati stipulati ( Messina e Roma) il progetto europeo, sostenuto fattivamente dai francesi che lo vedevano come organo di controllo nei riguardi dei tedeschi ed in maniera idealistica quanto effimera da parte degli italiani ( De Gasperi e Spinelli), non decollò fino alla caduta del muro di Berlino nel 89 e la conseguente riunificazione tedesca del 90. Era cambiato lo scacchiere internazionale. Con l’implosione dell’URSS si passava da un equilibrio bipolare ad equilibrio unipolare. Da quel momento in poi l’Europa avrebbe perso progressivamente importanza sulle cartine geopolitiche americane e sarebbe stata relegata a zerbino dell’America sui cui pulirsi gli scarponi militari ed economici. L’attuale ministro Bonino è quanto di più squallido possa aver partorito questa evoluzione. Schifosa è stata quella “coccola” fatta da Kerry a questa piccola donna prima di sapere che le armi tossiche sarebbero dovute transitare nel maggior porto gestito dalla n’dragheta, Gioia Tauro. E non c’è da meravigliarsi se la maggiore base dei droni sia qui in Italia, se il crocevia dello scandalo sul datagate è stato qui in Italia e se nessuno ha fiatato, anzi ha ringraziato per la sicurezza offerta.
La perdita di sovranità era stata appoggiata caldamente anche da W. Churchill, emissario fidato degli USA, anche se ben se ne guardò di aderire ai patti europei. Agli inizi degli anni ‘90, pertanto, era maturato il tempo di dare una svolta al vecchio continente. Con la firma dei trattati di Maastricht, gli Stati membri devono garantire il coordinamento delle loro politiche economiche ed istituire una sorveglianza multilaterale vòlta alla disciplina finanziaria e di bilancio. Per far questo il trattato prevedrà l’instaurazione di una moneta unica a partire dal gennaio 1999. Un esperimento era già stato fatto con l’ECU, moneta europea virtuale introdotta nel 1978 ma mai adottata ufficialmente. E’ interessante notare che il cambio delle valute europee con l’ECU, fu mantenuto per i paesi membri pressoché uguale anche nella conversione con l’Euro, tranne per l’Italia. 1 Ecu valeva circa due marchi e 6,9 franchi francesi. I cambi sono circa gli stessi anche ora con l’euro. Per la Lira invece 1 ECU valeva 1.483 lire. In altre parole con il passaggio all’euro l’Italia si è “rivalutata” del 23%. Con il passaggio dalla Lira all’Euro l’Italia ha pertanto avuto una perdita secca di competitività.
Ma quello che si sarebbe rivelato micidiale era che il cambio fisso (sopravvalutato) che impediva svalutazioni competitive era basato su una moneta non più “creditizia” ma debitoria. Gli stati che avrebbero voluto immettere moneta sul mercato, dovevano prima indebitarsi con la BCE con l’emissione di certificati. La Banca d’Italia, diventando privata, non era più garante della stabilità monetaria. Un circolo perverso che non prevedeva l’abbassamento del debito pubblico anche se il bilancio delle partite correnti fosse stato in attivo. Gli interessi sul debito infatti sarebbero stati il volano per la sua impennata costante. Si sarebbero potuti ripianare i conti solo a fronte di una robusta riduzione dei salari (in Germania da quando è entrato in vigore l’euro c’è stato una decurtazione degli stipendi del 22% circa) ed una bilancia commerciale estremamente attiva. Dunque l’euro è una moneta deflativa, vòlta ad impoverire i popoli, costretti a continui sacrifici per rincorrere la chimera del 3% del rapporto debito/PIL.
Questo quadro ha tinte ancora più fosche se si considera che la nostra classe politica è una tra quelle più corrotte sul pianeta, che l’Italia di fatto è una nazione acerba e che storicamente la sua unità è stata problematica, che il suo tessuto industriale è stato distrutto e delocalizzato, che non rivestendo più un ruolo di rilevo sullo scacchiere internazionale sarà sospinta nei bassifondi mondiali. Dunque una nazione che darà molti problemi a tutti i paesi membri nel breve periodo. I segnali sono del resto evidenti. Con l’imminente abolizione del reato di clandestinità il nostro territorio diventerà incontrollabile e caotico. Del resto Napolitano è stato rimesso al suo posto dall’America per completare l’opera di distruzione e destabilizzazione di questo paese. Lui alle soglie dei 90 anni è già al sicuro.